mercoledì 13 febbraio 2013

Il Tribunale Miltare Straordinario di Spezzano Albanese


Il Tribunale Militare Straordinario di Spezzano Albanese

di Francesco Marchianò

Sul fenomeno del brigantaggio meridionale post - unitario (1860 -1870) esiste un’ampia e varia letteratura che, da circa un secolo e mezzo, cerca di definirne le cause e di delinearne i contorni politici, militari e sociali (1).
Tutti gli storici sono comunque concordi nell’affermare che il momento più cruciale e cruento fu quello compreso nel periodo 1861-’65, definito brigantaggio politico poiché, per certi aspetti, vi era predominante l’atteggiamento di ribellione contro la politica economica e militare imposta dai Piemontesi e mirava alla restaurazione dell’anacronistico trono borbonico (2).
Nel periodo citato, la rivolta contro il nuovo regime politico unitario assunse fenomeni di massa sproporzionati ed incontrollabili tanto che il governo inviò nelle province meridionali oltre la metà dei reggimenti di cui disponeva impartendo agli alti comandi l’ordine di reprimere le sollevazioni con ogni mezzo, lecito ed illecito (3).
Non potendo venire a capo della situazione, il neo governo italiano promulgò la famigerata legge Pica - Peruzzi che, dall’agosto 1863 a tutto il 1865, permetteva di comminare la pena di morte, con processo sommario anche in base a semplici indizi, a briganti, manutengoli, vagabondi e girovaghi, ed imponeva forti misure restrittive anche alla popolazione civile. Insomma per il Sud non esistevano garanzie costituzionali! (4)
Il regio esercito italiano si scatenò così contro le inermi masse meridionali, costituite per la maggior parte da contadini e pastori al servizio di latifondisti, provocando un vero e proprio genocidio di cui ancora oggi si ignora l’entità (5).
A tal proposito scrive il Rossani: " La repressione fu sinonimo di stato d’assedio, fucilazioni in piazza senza processo, processi addomesticati o, se necessario, truccati, e in più migliaia di prigionieri deportati nei campi di concentramento in Piemonte e in altre regioni del nord. …." (6).
Nella provincia di Cosenza si distinse per ferocia il colonnello Pietro Fumel il quale, pur di sradicare il brigantaggio, non ebbe scrupoli a far ricorso alla tortura, ad esecuzioni di massa, a finte fucilazioni, all’incarceramento dei parenti dei briganti! (7)
I deputati meridionali venuti a conoscenza di queste brutalità chiesero ed ottennero la creazione di una commissione parlamentare d’inchiesta che riuscì ad allontanare il Fumel ed altri ufficiali accusati di crimini, ma non ottenne la soppressione dei Tribunali Militari Straordinari (o di Guerra) che continuarono ad operare secondo i nove articoli della legge Pica (8).
Scrive il Rossani: "Viene istituito un tribunale militare di guerra nei seguenti capoluoghi: Potenza, Foggia, Avellino, Caserta, Campobasso, Gaeta, L’Aquila, Cosenza. I tribunali saranno costituiti da un colonnello (o luogotenente colonnello) presidente, da cinque giudici di cui due ufficiali superiori, gli altri capitani, oltre a quattro supplenti, da designarsi tra i maggiori o capitani" (9) .
Ma questi organi giuridici militari, dato l’enorme numero di arrestati, vennero coadiuvati da altri tribunali, come quello di Cosenza che annoverò Rogliano e Spezzano Albanese (10).
Il Tribunale Militare di Cosenza, nel periodo 1863 –’64, giudicò e condannò a varie pene i briganti appartenenti alle bande della Sila e del Pollino, fra questi quella dei Saracinari, dello spezzanese Angelo Maria Cucci (1819-’64), di Antonio Franco, Lavalle, Carlo Di Napoli, etc… Negli atti processuali di questo tribunale spiccano i nomi di alcuni manutengoli spezzanesi, benestanti, fiancheggiatori del Cucci (11).

Circa il manutengolismo praticato da elementi agiati di Spezzano Albanese, il Cassiani nella sua esigua cronaca sul brigantaggio scrive coraggiosamente: " Il colonnello Fumel, mandato qui dal governo, esplicò una energica azione di rastrellamento, e se si potesse rinvenire la corrispondenza di questo funzionario col Ministero degli Interni molte famiglie vedrebbero compromessa l’origine della loro ricchezza e la piccola boriosa istoria familiare, alimentata in origine dalla turpe corrispondenza coi briganti, che di notte tempo alloggiavano nelle loro case" (12).
Il Cassiani si riferiva forse al noto losco manutengolo e benestante Giulio Longo e ad altri personaggi che presero parte al rapimento della povera Rina Mascaro, moglie del proprietario Vincenzo Bevacqua, sequestrata dalla banda Bellusci per oltre un mese (13).
Spezzano Albanese, all’epoca era un popoloso borgo e capoluogo mandamentale di oltre 4000 abitanti, dove funzionava, dal 1856, il telegrafo, la pretura, il carcere, e dove erano presenti locande, negozi, caffè, trattorie, alberghi, la posta per il cambio dei cavalli,….. (14)
Insomma, per la sua felice posizione geografica, posta al centro della vasta provincia cosentina, per la Strada Consolare delle Calabrie ("Udh’ e re") che attraversava la sua parte occidentale, Spezzano Albanese era il centro di tante attività e di incontro di gente di ogni risma proveniente da tutto l’ex Regno delle Due Sicilie.
Forse per i motivi sopra elencati e, soprattutto, per i trascorsi liberali della sua popolazione e la presenza di un’agguerrita Guardia Nazionale diretta da provati patrioti, le autorità militari decisero di istituirvi, dal 1863 al 1866, il Tribunale Militare Straordinario che condannò a varie pene centinaia di briganti o sospetti.
L’organo giuridico militare aveva sede nell’ex-caserma borbonica e già Ritiro del  Carmine, mentre gli ufficiali risiedevano nell’albergo Leonetti (15).
Gli ufficiali componenti il Tribunale Militare di Guerra locale erano: il Maggiore Scipione Baraggia (presidente), i capitani Maurizio Abrate, Luigi Nardi, Giovan Battista Ravina, Ferdinando Civati e Filippo Pelkiner (16).
La sicurezza del paese era garantita dalla presenza di un reparto di fanteria di linea e, dal 1861, da una dozzina di Regi Carabinieri che avranno l’assegnazione definitiva della stazione nel 1871 (17).
Le sentenze di morte, emesse dal tribunale locale non venivano eseguite nei pressi della nostra chiesa del Carmine, come erroneamente ha scritto il Serra, ma dietro quella del Carmine di Cosenza (vicino alla vecchia stazione FS) e nel triste e noto Vallone di Rovito, dove i condannati venivano fucilati o spesso anche ghigliottinati (18).
Ma da dove provenivano le decine di briganti imputati di complicità e brigantaggio giudicati nel nostro paese e condannati a varie pene (morte, carcere, lavori forzati a vita) ?
Dal circondario di Rossano provenivano gli appartenenti alle famigerate bande di Domenico Straface detto Palma, di Francesco Godino Faccione, di Luigi Campana Pizzotorto, Domenico Sapia Brutto, Domenico Graziano Turco tutti di Longobucco, ed altre decine e decine di arrestati, uomini e donne, di Mandatoriccio, Caloveto, Calopezzati, Cropalati, Scala Coeli, Bocchigliero, Pietrapaola.
Dal Pollino calabro-lucano provenivano i gregari della banda dei Saracinari, di Franco Antonio di Francavilla sul Sinni (Pz), di Viola Domenico ed Antonio, Carlo Di Napoli, Labanca ed altri di Terranova del Pollino, Mormanno, Morano, Saracena, S. Lorenzo Bellizzi, S. Severino Lucano, Latronico, Castelluccio.
Dalla Sila provenivano gli appartenenti alla bande di Pietro Corea, di Pietro Bianchi, Scardamaglia, tutti di S. Giovanni in Fiore ad esclusione di Pietro Iozzolino, di Serra Pedace, affiliato alle bande rossanesi.
La provenienza sociale di questi briganti era varia ed umilissima (capi mandriani, mandriani, carbonai, filatrici, vaccari, porcari, foresi, braccianti, caprai, bovari, guardiani, pastori, massari, calzolai, fabbri ferrai, caffettieri, contadini, barilai, muratori) se si escludono i possidenti Mancuso Giovanni, di S. Giovanni in Fiore, Basta Annibale di Mandatoriccio ed il sacerdote di Liborio Palagano di Latronico (Pz) (19).
Le sentenze emesse dal Tribunale Straordinario Militare di Spezzano Albanese e delle altre corti marziali vennero depositate negli archivi dell’Esercito ed ora si possono consultare presso l’Archivio di Stato di Roma (20).
Note
(1) Dalla seconda metà del XIX sec. sono migliaia i testi scritti sul brigantaggio. Uno tra più autorevoli e più documentati rimane Franco Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1983, sesta edizione.
(2) Cfr. Franco Molfese, op. cit., pag. 177.
(3) ibidem, pag. 139; Cesare Cesari, Il brigantaggio e l’opera dell’esercito italiano dal 1860 al 1870, Arnaldo Forni Editore, Sala Bolognese (Bo), 2002.
(4) Cfr. Ottavio Rossani, Stato, società e briganti nel Risorgimento italiano, Pianetalibroduemila, Possidente (Pz), 2002, pag. 71.
(5) Cfr. Franco Molfese, op. cit., pag. 361; Antonio Ciano, I Savia e il massacro del Sud, Grandmelò s.r.l., Roma, ottobre 1996, II edizione. Si tratta di un testo revisionista filo borbonico che getta nuova luce sulla spedizione dei Mille, sul ruolo di Garibaldi e di altri personaggi politici e militari del Risorgimento.
(6) Cfr. Ottavio Rossani, op. cit. , pag. 94.
o    (7) cfr. Salvatore Lizzano, Brigantaggio calabrese, Tipolitografia Jonica, Trebisacce (Cs), 2001, pag. 230 e segg. Pietro Fumel (Ivrea 1821-Milano 1886), ufficiale dell’esercito piemontese che si distinse nella seconda guerra d’indipendenza (1859) per azioni di spionaggio dietro le linee austriache. Divenne noto per i metodi spicci con cui eliminò alcune bande di briganti meridionali ma, posto sotto inchiesta, venne rimosso dall’incarico e mandato a dirigere la dogana di Livorno. Cfr. Mario Spizzirri, Gli alamari di cristallo, Jonia Editrice, Cosenza, 1997, pag. 57.
(8) cfr. Eugenio de Simone, "Atterrite queste popolazioni" – La repressione del brigantaggio in Calabria nel carteggio Sacchi – Milon (1868-1870), Editoriale Progetto 2000, Cosenza, luglio 1994.
(9) Cfr. Ottavio Rossani, op. cit. , pag. 91.
(10) Cfr. G. Rizzo – A. La Rocca, La banda di Antonio Franco – Il brigantaggio post-unitario nel Pollino calabro-lucano, Edizioni "Il Coscile", Castrovillari (Cs), 2002, pag. 29.
(11) Ministero per i beni Culturali ed Ambientali – Ufficio centrale per i beni archivistici, Fonti per la storia del brigantaggio postunitario conservato nell’Archivio centrale dello Stato – Tribunali Militari straordinari – Inventario a cura di Loretta De Felice, Pubblicazione degli Archivi di Stato, Strumenti CXXXI, Roma, 1998, pagg. 262 e segg, e pag. 435 e segg. Secondo fonti ufficiali i manutengoli spezzanesi erano 11 undici ma, considerato il numero della popolazione residente e le persone di transito che ivi stazionavano per qualche periodo, essi dovevano essere di più. A tal proposito si consulti A. De Pasquale, Calabria Citeriore tra Francesi e Borboni (Brigantaggio, rivolte, repressioni), Tipolitografia F.sco Chiappetta, Cosenza, 1982, pag. 98.
(12) Ferdinando Cassiani, Spezzano Albanese nella tradizione e nella storia (1470-1918), Edisud, Roma, 1968, II edizione, pag. 122 e 123.
(13) Alessandro Serra, Spezzano Albanese nelle vicende storiche sue e dell’Italia (1470-1945), Edizioni Trimograf, Spezzano
Albanese (Cs), 1987, cap. XXXIX. Il Serra si sofferma sull’abbietta figura del benestante Giulio Longo (dei Casali di Cosenza), già ufficiale garibaldino, presentandolo come un manutengolo che si avvaleva di alte complicità militari ed ecclesiastiche locali. Nel suo Diario del 1898, lo studioso G. A. Nociti (1832-1899) si lamenta di essere tormentato da questo delinquente che gli ha rubato antichi e preziosi manoscritti e tenta di portargliene via altri. Inoltre cfr. Francesco Marchianò, Spezzano Albanese: briganti ed episodi di brigantaggio dopo l’Unità d’Italia; in "Katundi Ynë", A. XXXIV- n° 113 – 2003/4, pag. 11.
(14) Nel I censimento nazionale del 1861 il paese contava 4080 abitanti, in cfr. Giovanni Sole, Viaggio nella Calabria citeriore dell’’800 (Pagine di storia sociale), Amministrazione Provinciale di Cosenza. Una descrizione della situazione economica spezzanese è contenuta in G. A. Nociti, Platea  da servire per la compilazione di una storia del distretto o del circondario di Spezzano Albanese, m.s. inedito, 1860.
(15) Cfr. Alessandro Serra, op. cit., cap. XXXIX. L’albergo Leonetti, che era uno dei migliori luoghi di ospitalità del paese, si trovava nell’attuale via Crispi, tra lo studio del Dott. Scipione De Lorenzo e la casa della famiglia Natale.
(16) Cfr. G. Rizzo – A. La Rocca, op. cit., pag. 319. Il lavoro di questi due apprezzati studiosi merita di essere annoverato fra i testi fondamentali del brigantaggio meridionale sia per l’accurata e vasta documentazione, sia per l’analisi super partes del fenomeno.
(17) Mario Spizzirri, op. cit., pag. 99. Il libro di Spizzirri ricostruisce la storia dell’insediamento delle stazioni dei Reali Carabinieri nella provincia di Cosenza nel decennio 1860-’70.
(18) Negli archivi parrocchiali non è registrata nessuna esecuzione capitale e né se ne conserva ricordo alcuno. Che le sentenze venissero eseguite a Cosenza lo testimonia il Padula nel suo "Il Bruzio" dove riporta che il famigerato brigante silano Carmine Bonofiglio, condannato a 20 anni di lavori forzati, sfuggì con l’inganno ai carabinieri che lo traducevano nel carcere del capoluogo. Cfr. S. Lizzano, op. cit., pag. 167.
(19) e (20) v. n. 11.
     A cura di M. A. Fazzano
 

Nessun commento:

Posta un commento