sabato 16 marzo 2013

Le obliterazioni esegetiche sulle leggi di pubblica utilità

(di Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro)


Legiferare, compulsare e interpretare è retaggio di pochi. Oggi, qualsivoglia valida lex, viene, con improperio, messa a disposizione, o fatta utilizzare nel suo svolgimento, da portantini ex populo prescelti. E’ mio precipuo desiderio, una volta ogni tanto, raccomandarvi di non distendervi sul “scio non scire”, ma di essere partecipi, con meditata riflessione, analizzando l’evolversi di una tematica, ben predefinita, dalla fase embrionale a quella della esigibilità. Dissertare sui “lodi”, ricchi di enantiotropia e  di scarsa “vexata quaestio”, voganti in questo funereo scorcio di decadenza culturale, è arduo, non impossibile, ma controproducente.

Disquisendo, invece,  su argomentazioni meno rilevanti, quali la legge 482/99, fatta promulgare da soggetti idealisti, nasce spontaneo l’obbligo di soffermarsi riflettendo con irritazione d’animo.
La legge 482/99 è stata promulgata per favorire le Minoranze Linguistiche esistenti sul  territorio nazionale. Mai nessuna legge, con così nobili contenuti ed intenti, è stata impropriamente interpretata e sconvolta nelle sue finalità; oggetto di convivio risulta essa essere lauta pietanza di commensali indegni, insolenti, insipienti, pisolanti e privi di ogni scrupolo. Progettata luetica è stata, con magistrale arte incuneante, opacizzata dagli opportunismi tendenti a considerare prevalenti gli interessi dell’individuo su quelli collettivi.
Con la promulgazione della legge 482/99, fatalmente molti popoli estinti, al suono del prezioso metallo, sono ricomparsi senza abbecedario e dimorfi, chiedendo giustizia riparatrice di torti e di delitti a chi li ha resi immemori dell’avito idioma.
Nel loro inesplicabile risorgimento, però, con intellettualoide acutezza, ritti, indomabili e fieri, uomini d’arme dell’antichità o della leggenda, coram populo, grevemente, hanno, onomatopeici, annunziato: “siamo italioti”.
A d’uopo, con irrefrenabile tempestività, Il generoso cuore del potente e complesso organismo statale italiano, turbato ed in preda ad indescrivibile ansia, nella mirabile visione del  “Lazzaro italiota” resuscitato, apre, lungi dall’essere misoneista, senza indugi ed artefatte manipolazioni, il suo ben custodito scrigno, in pro del miracolato.
Ma le antiche divinità illiriche, nella loro immensa munificenza, si sono prodigati ad elargire privilegi ad ogni sorta di accozzaglia, erigendo in tal modo la “Pleiade”, un gruppo eletto di persone dotate di analoghe caratteristiche: l’amore per il denaro e il sentimento di ripugnanza verso il sapere.

Mi riferisco in questo mio scritto ad alcune realtà, che ben conosco denuciandone le irregolarità e le negligenze. In alcune comunità dell’Arberia Italiana, l’aborigena “Pleiade”, convulsivante, in preda del scio scire, ha prodotto alla sua cultura (non proprio sua perché alcuni elementi della “Pleiade non conoscono la lingua albanese o la dipingono ai loro figli come elemento diseducativo) danni di portata inimmaginabile: aborti toponomastici, insensate traduzioni delle delibere municipali, strane e insignificanti riviste, dove si evidenziano con chiarezza i bassi contenuti culturali, telegiornali in una lingua che non si comprende.
Rifletto sempre su una cosa: perché le autorità eroganti non indagano con scrupolosità su questi delitti?
Perché a gestire con i fondi pubblici la Nostra Cultura favoriscono persone con tanto di pensione dello stato?
Perché questo denaro viene “regalato” a quelle comunità dove ormai la popolazione non parla più correntemente la lingua atavica?
Grandi i propositi della legge nella sua fase embrionale, altrettanto grandi la “Pleiade” e gli accoliti politicanti che la hanno resa sterile e oggetto di derisione.
 

 

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