giovedì 15 marzo 2018

Il meraviglioso popolo dei Buskali della valle di Hundeza

(di Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro)

Oltre cinque lustri fa, curiosando fra le pagine di Lidhja, rivista diretta dal papas Antonio Bellusci,  lessi, con molta curiosità e spirito di annotazione, uno scritto dell’Ing. Ernesto Scura concernente la esistenza di una misteriosa popolazione chiamata Kafira. Il non più fanciullesco desiderio del sapere,  determinò un improvviso e intenso bagliore e non di breve durata nella mia mente e nella mia anima. In quel periodo non era facile poter acquisire notizie con facilità, quel poco a disposizione per la ricerca era disponibile solo attraverso testi di etnologia specializzata e di geografia fisica-politica.


La fortuna di aver soggiornato a Napoli, per studi e per un periodo più o meno lungo, e la instancabile, ridicola, ossessiva passione, caratterizzata da eccesivo ottimismo, fra le innumerevoli  bancarelle di testi antichi di San Biagio dei Librai, ha in parte appagato la mia, già consulta, bramosia di conoscenze e nozioni, anche se non derivanti dall’esperienza e dall’esercizio.
Durante la mia permanenza nelle Forze Armate, grazie ad ufficiali colti, quale caro mi è il ricordo del Generale Fernado Micheli, riuscii attraverso L’Istituto Geografico Militare di Firenze, a raccogliere, seppur avvilupandole, notizie molto importanti riguardo la allogazione dei Kafiri. Il desiderio di approfondimento non si è affievolito con il passare degli anni, poichè, considerandomi un garante ed assertore della evoluzione della Microstoria, che, nella sua tendenza privilegia lo studio di fatti minuti delle vicissitudini dell’uomo in ambiti circoscritti,  con reiterazione, ha maggiormente dato impulso all’opera di ricerca. 


Nonostante il territorio dell’Afganisthan sia abitato in prevalenza dai “Pukhtun-khwa o Pashtanah”, il loro idioma è di origine ariana e le parole semitiche che si riscontrano nel suo vocabolario, gli sono venute non dall’ebraico, ma dall’arabo, dopo la conversione degli abitanti del Pukhtun-khwa al maomettismo. 
Popolazioni variamente incrociate abitano le asperità di quei brulli territori: Afgani, Persiani, Arabi, Usbecchi e Turchi e vengono spesso chiamati, a Kabul come a Bokhara, con il nome di Parsivan o Parsi -Zeban equivalente a persiani.
Tribù come gli Hindki e i Kzihil Basha pare siano di origine indù, ma sono molto propensi al processo di civilizzazione. Tutte queste etnie sono abituate all’obbedienza e si rendono servili ai loro padroni in maniera incondizionata e tutte astrette alla religione maomettana. 
A nord  e ad est del Kohisthan popolato dai Tagiik, ad ovest degli Swati, dei Mound, a sud ovest dei Dardi di Gilgit e dell’Indo Superiore, la regione montuosa è abitata da indigeni ai quali si da il nome di Kafir o ” infedeli”, una delle comuntà più piccole e combattive della terra.
Questa meravigliosa popolazione, mai domata  e mai asservitasi alla fede islamica, sciitica e sunnita,  si auto proclama Kalash; più spesso ancora viene designata con l’appellativo di Siah-Posh o “Nero Vestiti”, a causa delle pelli di capra nera.
Fra essi si distinguono i Sefid-Posh, che vestono di pelle di capra bianca, ma anch’essi , ed è per un abuso di linguaggio,  rimangono i “Neri Vestiti”.
L’unico clan Kafir, di cui le donne abbiano conservato l’antico costume nazionale, è quello dei Buskali (a questo punto ritengo opportuno che il lettore memorizzi bene questi vocaboli); esse portano sul capo una cuffia adue corna, aventi ognuno oltre 25 centimetri di lunghezza.
I Buskali delle valli dell’Hindu-kush,sono riusciti a mantenersi indipendenti, grazie alla difficoltà di accesso del loro paese, circondato ad ovest e a sud  dalle vie storiche della Battriana e l’Indostan: l’asprezza dei colli, la strettezza delle chiuse e soprattutto l’inestricabile intreccio della vegetazione nelle macchie che orlano i fiumi, hanno difeso loro anche meglio del loro valore personale.
Quanti sono? Sono stati calcolati in mezzo milione, ma contando con essi tutte le popolazioni comprese fra l’Indu-kush, il fiume di Kabul e la frontiera indiana, i Kafir propriamente detti non superano le 150.000 unità. 
Nel 1840 , James Wood, al tempo della sua visita al Badakscian, vide alcuni Buskali e fu da essi invitato a recarsi nella loro patria dove trovò “tanto vino e miele quanto ne desiderasse”, cosa illogica fra le altre popolazioni afgane.
Nel 1879 una escursione è stata fatta a nord di Gialabad, nel paese dei Kafiri dall’ufficiale inglese Tanner, visitando i villagi dei Buskali di Aret, Sciulut e Kalat, superando il valico del monte Ramkand, da cui la valle, percorsa dal fiume di Kabul – scrive il Tanner – ” appare come un abisso, da loro chiamato Ka-hon, con le sue città ed i suoi villaggi, piccoli spazi grigiastri circondati di verzura”.
I professori del National Geographic, Yule e Rawlinson, ritengono che i Kafiri non siano altro che Indù arianiti respinti da gran tempo nel “Paese delle montagne”, chiamato da essi “Wamastan”.
Secondo l’autorevole parere del professor William Trumpp, che ha veduto qualche Buskali, ritiene con certezza essi siano di origine europea. Non è raro incontrare degli esemplari dai capelli biondi e gli occhi azzuri, ma i più  hanno capelli bruni o castagno chiari ed occhi grigi; la tinta della loro pelle non sarebbe più scura di quello che sia in media fra gli Occidentali.
Si è voluto identificare i Kalash Buskali come i discendenti dei Macedoni, lasciati nelle montagne da Alessandro; ma, prima di venire in relazione con la civiltà europea essi ignoravano la loro origine macedone, ma tra essi il capo viene denominato “Sikander o Lisander”.
Un altro particolare da aggiungere che i Kalash Buskali del villaggio di Sciulut, nella gola di Hundeza, valle sinuosa a forma di naso, si autoproclamano come gli ultimi eredi di Lisander, che nel 326 a.C. attraversò il Kafiristan alla conquista dell’India. Nei loro canti epici mettono in rilievo come il seme greco e le magiche fatine abbiano generato montanari biondi dagli occhi azzurri.


Coltivano la vite, cosa rara fra le altre popolazioni dell’Afganisthan e bevendo vino alla maniera macedone, cioè mista ad acqua, celebrano riti orgiastici e dionisiaci, dove le belle Kafire danzano similmente alle baccanti. I loro villaggi sono difesi da muraglie in pietra che loro chiamano Kalat ” fortezza” e utilizzano per un miglior funzionamento della vita sociale un codice comportamentale consuetudinario simile a quello di Dukagijni o della “Montagna” propriamente detta.
E da come il mio amico di studi liceali, Antonio Borriello, antropologo, mi descrive, avendoli diverse volte visitati, pare che molte volte, il mio idioma si avvicini al loro. Si sta studiando molto sui Kafir Kalash, ma è necessario, anche se arduo, studiare i Buskali: i musi di cavallo, che fieri percorrono ancora le montagne dell’Afganisthan e le gole della valle di Hundeza.
Bibliografia:
Elphinstone, M. An account of the Kingdom of Caubul Londra 1898; Istituto Geografico Militare Firenze;
Journal of the Asiatic Socyeti of Bengal ;
De Saint Martin V., Annèe Geographique, 1863;

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