venerdì 26 luglio 2013
Nikola Idromeno - Personaggio dell’architettura del Rinascimento e dell’Indipendenza Albanese
Domenica 28 luglio alle ore 19.00, presso il Palazzo Norante, sede dell'Istituzione Cultura di Campomarino, verrà inaugurata la mostra artistica dal titolo “Nikola Idromeno - Personaggio dell’architettura del Rinascimento e dell’Indipendenza Albanese” ideata e curata dal dott. Skënder Luzati, di Tirana.
Ad aprire l’esposizione, fruibile dal 28 al 30 luglio, dalle 19.00 alle 21.00, un convegno presieduto dal curatore Skënder Luzati, autore della omonima monografia urbanistica ed architettonica della città di Scutari, che verrà presentata nell’occasione.
Il prof. Luzati è stato primo Segretario della Società degli Architetti, membro della Lega degli Artisti di Albania, e ha prestato la propria attività presso l'Accademia delle Scienze, lavorando per dodici anni nei settori di studi dell'architettura. Nelle sue ricerche, tra cui la tesi di dottorato, ha dedicato un posto preminente alle opere dell’artista scutarino Idromeno, personalità multiedrica, che studiò Belle Arti a Venezia, e grande innovatore nel campo dell’architettura, urbanistica, pittura, fotografia e scenografia albanese.
La kermesse, promossa dall'Assessorato alla Cultura, rappresenta un momento di approfondimento culturale e storico dedicato alle origini albanofone di Campomarino.
"E' un'emozione avere ospite del nostro salotto culturale, il dott. Luzati che, con il suo racconto dei suoi studi, ci permetterà di rivivere una fase storico-economica di Scutari di vitale importanza nel'ambito del Risorgimento e dell'Indipendenza Albanese. La figura di Idromeno verrà ricordata e celebrata perché fu determinante nell'ambito dell'architettura di quel momento storico caratterizzandosi per la grande capacità creativa" afferma l'Assessore Giuseppina Occhionero.
Grazie al Presidente dell’Associazione Borgo Antico, Costanza Carriero,
un campione rappresentativo della mostra sarà esposto lungo le vie del Paese Vecchio – Hora a Vjetër - in occasione della Notte Bianca della Solidarietà di sabato 27 luglio.
L’evento – che suggella il legame tra le due sponde dell’Adriatico, in particolare tra il Molise, Scutari e Tirana, frutto della sinergia tra l’Assessorato alla Cultura e l’Associazione Borgo Antico di Campomarino, è stato organizzato da Maria Assunta Fazzano, l’allestimento della mostra da Giovanna Raspa, entrambe consulenti Formez/PA della Regione Molise.
Midis arkitekturës së Rilindjes dhe Pavarsisë Shqiptare: në Campomarino ekspozita e Luzati-t.
Ditën e dielë, më 28 korrik në orën 19:00, pranë Pallatit Norante, seli e Institutit të Kulturës së Campomarino (arbërisht: Këmarini), do të përurohet ekspozita artistike e titulluar “Nikolla Idromeni – Personazh i Arkitekturës së Rilindjes dhe Pavarësisë Shqipëtare” (ita: “Nikola Idromeno - Personaggio dell’Architettura del Rinascimento e dell’Indipendenza Albanese”) e konceptuar dhe nën kujdesin e Dr. Skënder Luzatit nga Tirana.
Inaugurimi i ekspozitës – që do të qëndrojë e hapur duke nisur nga data 28 korrik deri me 30 korrik, nga ora 19:00 deri me 21:00, – do të zhvillohet me anë të një konference të kryesuar nga kuratori Skënder Luzati, autor i monografisë homonime mbi urbanistikën dhe arkitekturën e qytetit të Shkodrës, libër i cili edhe do të prezantohet përpara publikut me këtë rast.
Profesor Luzati ka mbuluar pozicionin e Sekretarit të parë të Shoqatës së Arkitektëve, ka qënë anëtar i Lidhjes së Artistëve të Shqipërisë dhe ka zhvilluar aktivitetin e tij pranë Akademisë së Shkencave duke punuar për dymbëdhjetë vjet në fushat e studimit të arkitekturës. Në kërkimet e tij, përfshih këtu edhe tezën e doktoraturës, i ka dedikuar një vend të shquar veprave të artistit shkodran Nikollë Idromeno – personalitet poliedrik që kreu studimet e Arteve të Bukura në Venecia e i cili ishte një novator i madh në fushën e arkitekturës, planifikimit urban, pikturës, fotografisë dhe skenografisë shqiptare.
Kjo veprimtari, e sponsorizuar nga Ministria e Kulturës, përfaqson një moment të thellimit kulturor dhe historik dedikuar origjinës albanofone të Campomarino-s (arbërisht: Këmarini),.
“Është emocionuese të kemi në sallonin tonë kulturor një mysafir si Dr. Luzati i cili, me kumtesen e studimeve të tij, do të na lejojë të përjetojmë një fazë historiko-ekonomike të Shkodrës me rëndësi jetike në kontekstin e Rilindjes dhe Pavarësisë Shqiptare. Figura e Idromenos do të mbahet mend dhe do të festohet sepse ishte vendimtare në kontekstin e arkitekturës së atij momenti historik duke u karakterizuar nga një kapacitet i madh krijues.” – u shpreh këshilltarja Giuseppina Occhionero.
Falë Presidentes së shoqatës “Borgo Antico”, zonjës Costanza Carriero, një kampion përfaqësues i ekspozitës do të ekspozohet përgjat rrugëve të Paese Vecchio – Hora a Vjetër, me rastin e Natës së Bardhë të Solidaritetit të shtunën më datë 27 korrik. Veprimtaria, e cila përforcon lidhjet midis dy brigjeve të Adriatikut e në veçanti midis rajonit të Molise-s, Shkodrës dhe Tiranës, si rezultat i sinergjisë ndërmjet Ministrisë së Kulturës dhe Shoqatës “Borgo Antico” të Campomarino-s, u organizua nga zonja Maria Assunta Fazzano ndërkohë që përgatitjet për ekspozitën u kryen nga zonja Giovanna Raspa – të dyja bashkarisht konsulente të Formez/PA te Rajonit të Molise-s.
përktheu nga italishtja në shqip: Brunilda Ternova
domenica 30 giugno 2013
Carmine Abate vincitore del Premio Campiello 2012 racconta le Calabrie e la sua Arberia
Nella suggestiva e storicamente romantica Piazza XVI Luglio aLungro, il 27 giugno, lo scritore Arberesh Carmine Abate, vincitore della cinquantesima edizione del Premio letterario Campiello conl il romanzo la Collina del vento ( Mondadori), ha, accompagnato dalla magnifica voce di Anna Stratigò, raccontato le sue Calabrie e la sua Arberia.
lunedì 17 giugno 2013
Breve cenno monografico del comune di Lungro (1858)
Breve cenno monografico del comune di
Lungro (1858)
( Domenico De Marchis)
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Dall'introduzione 
Il lavoro che presento al pubblico ha per scopo di evocare dal silenzio
  di remoti secoli la Storica Origine del mio Comune, il quale se vogli
  riguardarsi per lato di sua sociale posizione, e peculiare civiltà, nulla
  offre d'importante da interessare lo spirito del culto lettore: ma
  trattandosi di un popolo straniero ben accolto nel nostro regno, in cui da
  tempo antico vive sotto le medesime leggi, ed unificato nei dritti civili e
  politici coi sudditi della nazione napolitana: ove serba il proprio linguaggio, ed esercita gli atti religiosi nel greco rito-ortodosso, non uniforme alla latina ritualogia; che mantiene con gelosa superstizione le abitudini, ed i propri costumi; ...... 
Dal testo  
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Castrovillari, siede
  suI lembo di una Cinta di Monti, che s'innalzano quasi a picco da
  settentrione a ponente, rimanendo aperto rlal lato d'oriente a mezzo giorno
  un vast'orizonte, così che da un canto lo sguardo si spazia, e si disperde
  nelle spiagge dell'Jonio, e dall'altro percorre estesa parte della catena
  delle maestose Montagne della Regia Sila fino al loro congiungimento con le
  alture dell' Ovest." 
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martedì 11 giugno 2013
Attuali cognomi di origine Greco Albanese in Acquaformosa, Firmo e Lungro
Accursi, Aragona o Ragona,  Blumetti e Brunetti, Basile, Bavasso ( ramo
D’Alvalos),  Buono (Vuno Himara)
Borrescio, ( Burrelce), Borrello ( Burrel) Bellizzi, ( Belleshi) Bellusci,
Braile, Brescia, Calimà, Camisdeca, Camodeca, Candreva ( Corone) Cannataro( Corone)
Capparelli, Candia , Conte,  Cortese (
ramo Marrone e ramo Branà)  Cucci,Damis (
Tepelene), Drassi  D’Agostino,  De Marchis (
genitivo o accusativo Marcheseos), Donato ( Patrassi), Dorsa, Dramis, Elmo,
Frascino ( Frasheri o Frasciva in Peloponneso), Frega ( Acaia), Franco ( Acaia),
Gangale, Gramsci e Gramisci, Iaconianni ( Iacos Ianni) Irianni( Ieros Ianni) Lasdica, Luci,
Lopreite o Loprete, Leccadito o Leucadito ( Leucade), Marco ( Marku), Manes, Manoccio, Mattanò e Mattinò, Matrangolo
e Matranga, Mortati, Musacchio, Mele, Martino,  Oriolo o Riolo, Russo alias Frega, Genise Zenevise (
Geneci), Parapugna ( Attica), Pisarro ( Ipsari Peloponneso), Plescia, Rennis,
Rio o Riolo, Santoianni ( Aghios Ianni), Scarparito Attica) Scura, Stratigò (
ramo coroneo), Straticò ( ramo chimariota e dell'isola di Tinos),  Trasci, Trifilio Pisarro o Ipsaro ( eparchia Tryfilias
Peloponneso), Tripoli ( Tripoli di Grecia Peloponneso), Vaccaro ( Baccaro (
Himara- Argolide - Angelocastro) Napoletano ( Trupia) Tropea di Grecia. Rennis ( Rennisi Peloponneso) Cianni ( Peloponneso)
giovedì 6 giugno 2013
La tradizione dei Carri di Sant’Antonio a Montecilfone (Cb).
Articolo di Milly De Angelis (Montecilfone)
Foto tratte dal sito: http://associazione-carristi-montecilfone.oneminutesite.it

  Aggiogati
ad aratri per dissodare la terra o per delineare i solchi dei confini di città
nascenti, i buoi sono il simbolo del duro lavoro. Ad essi, dunque è stato
attribuito il compito, in varie forme, del ringraziamento degli uomini agli dei
prima e a Dio poi, per l' abbondanza delle messi. 
  
  Le
famiglie che avevano ricevuto qualche "grazia" lasciavano in giro per
il paese un maialino, riconoscibile perché aveva le orecchie mozzate, chiamato
"porcellino di S. Antonio”. 
In genere viene realizzato tutto con grande riservatezza per creare la "sorpresa" il giorno della sfilata.
A Montecilfone la festa di S. Antonio si svolge il sabato dopo il 13 giugno.
Il giorno precedente, il venerdì, nel tardo pomeriggio, il quadro del Santo, viene portato al Calvario e da lì, in processione, tra persone ed animali vari, viene ricondotto in Chiesa dove viene celebratala Messa. 
Il giorno della festa si abbelliscono gli animali, si lavano, e si addobbano con cordoni, frontiere e campane e si attaccano al carro per mezzo del giogo.
All' ora prevista i carri partono per raggiungere il Calvario ad attendere la "chiamata".
E' infatti una tradizione secolare che i carri sfilino in processione dietro il Santo secondo un ordine prestabilito in base ad una lista che si tramanda da tempi remoti e che viene aggiornata dal Vigile del Comune.
Non esistono posti vacanti in quanto essi vengono occupati dai partecipanti che hanno una parentela con gli assenti e chi non ce l' ha è l' ultimo della lista.
Sin dall' arrivo del primo carro inizia una festa che mischia il sacro ed il profano con la benedizione del Parroco, la banda che suona, i carristi con il "puntarillo" (un bastone di legno o ferro con un chiodo ad un' estremità che serve a sparare le bombette) e con la genuflessione dei buoi alla statua del Santo.
La sfilata procede sinché non si completano tre giri intorno alla Chiesa ed ogni volta si ripetono tutti i riti.
Il tutto viene riproposto nel pomeriggio dopola Messa  vespertina per rivivere, anche se in toni
un po' più dimessi il ripetersi della "magia".

 E' quindi una giornata da non
perdere per gli aspetti culturali, folkloristici e di fede che si assaporano,
ed infatti sono in tanti i turisti ed i paesani che vivono altrove, a non
mancare a questo mistico appuntamento.
E' quindi una giornata da non
perdere per gli aspetti culturali, folkloristici e di fede che si assaporano,
ed infatti sono in tanti i turisti ed i paesani che vivono altrove, a non
mancare a questo mistico appuntamento.
 
 
 
 
Foto tratte dal sito: http://associazione-carristi-montecilfone.oneminutesite.it
Le Carresi, corse dei carri o sfilate dei carri
trainati da buoi, rappresentano la manifestazione più pittoresca della
Primavera Molisana e soprattutto nelle comunità albanofone del Molise. 

L'
addobbo dei carri si perde nella memoria ma ad esso sono legati molti rituali
veramente suggestivi, alcuni ormai quasi persi o persi del tutto ed altri che
continuano ad esistere. 
Coloro
che avevano ricevuto qualche grazia vestivano i loro figli con il saio, ed i
bimbi lo dovevano indossare sino allo scioglimento del "voto". 
Tutti
gli davano da mangiare, infatti girava libero per il paese e, quando diventava
grande, si vendeva al Comitato Feste.
Ancora
oggi vengono offerte, da alcune famiglie, le pagnottelle di S. Antonio, piccoli
pani benedetti dal sacerdote come gesto benaugurale.
La ricorrenza più sentita da sempre, a
Montecilfone, è la festa di S. Antonio;  la
venerazione del popolo verso questo Santo è ricca di simbologie allegoriche e
folkloristiche per va degli animali addobbati a festa.
Da alcuni anni, oltre ai carri dal
sapore più tradizionale ricchi di pizzi, merletti e fiori di carta, ne sfilano altri,
creati dalla fantasia dei loro fattori, ma sempre legati alla devozione per il
Santo.
La preparazione dei fiori, per abbellire il carro, delle
frontiere, per addobbare anche le mucche, e dei cordoni in ricordo di quello
usato da S. Antonio, viene affidato alle donne, vere maestre in quest' opera.
Gli uomini, nel frattempo si dedicano alla preparazione del
carro, pitturando e costruendo la struttura che verrà utilizzata.In genere viene realizzato tutto con grande riservatezza per creare la "sorpresa" il giorno della sfilata.
A Montecilfone la festa di S. Antonio si svolge il sabato dopo il 13 giugno.
Il giorno precedente, il venerdì, nel tardo pomeriggio, il quadro del Santo, viene portato al Calvario e da lì, in processione, tra persone ed animali vari, viene ricondotto in Chiesa dove viene celebrata
Il giorno della festa si abbelliscono gli animali, si lavano, e si addobbano con cordoni, frontiere e campane e si attaccano al carro per mezzo del giogo.
All' ora prevista i carri partono per raggiungere il Calvario ad attendere la "chiamata".
E' infatti una tradizione secolare che i carri sfilino in processione dietro il Santo secondo un ordine prestabilito in base ad una lista che si tramanda da tempi remoti e che viene aggiornata dal Vigile del Comune.
Non esistono posti vacanti in quanto essi vengono occupati dai partecipanti che hanno una parentela con gli assenti e chi non ce l' ha è l' ultimo della lista.
A
questo punto parte la processione con la banda in testa ed i carri che seguono
la statua del Santo, sino all' arrivo in chiesa, e qui si aspetta la fine della
Messa.
Al
termine, la statua del Santo viene posta in cima alla scalinata della chiesa ed
iniziano a sfilare i carri per la benedizione.Sin dall' arrivo del primo carro inizia una festa che mischia il sacro ed il profano con la benedizione del Parroco, la banda che suona, i carristi con il "puntarillo" (un bastone di legno o ferro con un chiodo ad un' estremità che serve a sparare le bombette) e con la genuflessione dei buoi alla statua del Santo.
E'
un rituale antichissimo, quello della genuflessione, c'è chi lo fa risalire ad
un evento che si sarebbe verificato a Montorio dei Frentani l' 11 giugno del 1742, in  occasione della
festa di S. Costanzo.
Si
narra che un bue proveniente da Montecilfone si sia inginocchiato ai piedi
della statua del Santo tra la gente che urlava al miracolo.La sfilata procede sinché non si completano tre giri intorno alla Chiesa ed ogni volta si ripetono tutti i riti.
Il tutto viene riproposto nel pomeriggio dopo

 E' quindi una giornata da non
perdere per gli aspetti culturali, folkloristici e di fede che si assaporano,
ed infatti sono in tanti i turisti ed i paesani che vivono altrove, a non
mancare a questo mistico appuntamento.
E' quindi una giornata da non
perdere per gli aspetti culturali, folkloristici e di fede che si assaporano,
ed infatti sono in tanti i turisti ed i paesani che vivono altrove, a non
mancare a questo mistico appuntamento.
 La miniera salifera di Lungro di Camillo Vaccaro
    La 
miniera salifera di Lungro
di Camillo Vaccaro
(1864-1955)
(1864-1955)
Tempo fa, prendendo occasione delle proteste dei 
consumatori italiani per lo scadente sale straniero acquistato Ministero, e 
sobbarcandoci ad  un lavoro di ricerche fastidiosissimo, ci mettemmo in grado di 
pubblicare sul  Corriere di Napoli e poi sulla Lotta di Cosenza, 
una serie di articoli intesi a richiamare l'attenzione del pubblico sulle 
condizioni fatte dal  Governo alla Miniera salifera di Lungro.
Quegli articoli, non per meriti letterari che non avevano, ma per i dati ufficiali che venivano onestamente proponendo, richiamarono l' attenzione di molti deputati, di due ex ministri delle finanze, e, segnatamente, dell' onorevole Giunti -deputato del Collegio, - il qual si affrettò a fare, come riferirono i giornali, lunghe e caldissime raccomandazioni all'attuale Ministro delle finanze on. Carcano, durante la discussione del bilancio -6 maggio -al capitolo 157.
Da parte sua il comm. De Nava, Ispettore agl'Interni, venuto in Calabria per la nota Inchiesta, se ne impressionò pure, e, dopo visitata la salina, promise dl propugnare -come puntualmente praticò -presso l' on. Giolitti, il risollevamento delle sorti della povera miniera.
Quegli articoli, non per meriti letterari che non avevano, ma per i dati ufficiali che venivano onestamente proponendo, richiamarono l' attenzione di molti deputati, di due ex ministri delle finanze, e, segnatamente, dell' onorevole Giunti -deputato del Collegio, - il qual si affrettò a fare, come riferirono i giornali, lunghe e caldissime raccomandazioni all'attuale Ministro delle finanze on. Carcano, durante la discussione del bilancio -6 maggio -al capitolo 157.
Da parte sua il comm. De Nava, Ispettore agl'Interni, venuto in Calabria per la nota Inchiesta, se ne impressionò pure, e, dopo visitata la salina, promise dl propugnare -come puntualmente praticò -presso l' on. Giolitti, il risollevamento delle sorti della povera miniera.
L'on. Carcano, intanto all'on. Giunti, rispondeva, come nel 
resoconto stenografico, nel modo seguente:
"CARCANO, (ministro delle Finanze). Io potrei limitarmi a 
rispondere al collega Giunti che molto volentieri accolgo la raccomandazione da 
lui rivoltami a favore della Salina di Lungro, ma voglio aggiungere qualche cosa 
di più per assicurarlo che il mio intendimento non è diverso dal suo. 
L'onorevole Giunti ha detto benissimo: "La Salina di Lungro produce ottimo sale, 
che è stato anche ieri elogiato dall'on. Branca; ma il prezzo di costo del sale 
stesso, specialmente per le spese di trasporto, è assai grande, e quindi è molto 
desiderabile che l'ostacolo derivante dalle difficoltà del trasporto, sia tolto 
di mezzo. Io posso bene assicurare l'on. Giunti che, anche nell'interesse 
dell'Amministrazione che mi onoro di dirigere, desidero al pari di lui che una 
via di comunicazione più facile si possa avere quanto prima, in modo che il 
trasporto dalla Salina di Lungro al mare possa farsi a prezzo conveniente. 
Raggiunta questa condizione diventerà allora facile soddisfare anche l'altro 
voto dell'on. Giunti: quello di dare maggiore sviluppo alla produzione del sale 
di Lungro.
L'onorevole Giunti ha anche osservato che nell'esercizio 
passato è stato importata dall'estero una quantità notevole di sale, e ha detto 
di essere desiderabile che invece lo si produca in casa nostra.
Anche qui condivido pienamente il suo desiderio. Io credo 
che l'Amministrazione abbia il dovere di fare in modo da emanciparsi 
dall'estero, anche per le provviste del sale...."
Dopo ciò l'on. Giolitti, da parte sua, avuti in mano i 
risultati della famosa inchiesta De Nava, si affrettava a domandare, nel luglio 
scorso, coi caratteri dell'urgenza, al Ministero delle Finanze, cinque 
provvedimenti per la Calabria Citeriore.
Primo fra di essi provvedimenti figurava quello relativo al 
maggiore sviluppo da imprimere alla Miniera lungrese.
Al leggere nei giornali tale notizia, per poco non si 
fecero in Lungro e dintorni le luminarie.
Ma purtroppo, la lunga promessa del passato, non  
trascorse sul nostro spirito ottimista di meridionali, senza lasciarci una buona 
mano di scetticismo moderatore.
Che avvenne?
L'on. Carcano, quello stesso che all'onor. Giunti aveva 
risposto nella maniera che sappiamo, - passandosi allegramente sui motivi di 
ordine pubblico e di giustizia distributiva che sostanziavano le richieste del 
Ministro dell'Interno - ritenne, in secondo tempo, comodo espediente il 
polemizzare: e diresse all'on. Giolitti, nel 21 agosto, una lettera nella quale, 
dopo molte distinzioni ed esclusioni e rettificazioni ed attenuazioni, discende 
bel bello alla confessione che per ora purtroppo non se ne può far 
nulla.
Infatti, stringi stringi, fatta ragione degli eufemismi 
bifidi, consigliati dal Talleyrand, non se ne cava che questo: che, cioè, s'è 
ordinata l'ammissione di altri 25 operai. Or questo aumento di personale non fu, 
almeno in gran parte, vero aumento perchè risponde al bisogno di completare 
periodicamente i quadri che la morte, la leva, la messa in pensione ecc. 
sguerniscono di continuo. Anzi, la sostituzione dei nuovi ammessi, a paga più 
magra, risolvesi per l'Amministrazione in una reale economia.
Tutto questo però non impedisce che il Ministro soggiunga, 
pienamente soddisfatto dello sforzo ipergeneroso: "Ho quindi motivo di ritenere, 
che, saputo ciò, quella popolazione cesserà dall'insistere nelle 
richieste".
Le quali richieste, che formano la conclusione del nostro 
studio, erano e sono le seguenti:
"1. Estrarre dalla Miniera 120 mila quintali di sale 
l'anno, cioè per ridurre coll'aumento dell'estrazione, il costo differenziale 
tra il sale di monte e il marino: e poter rispondere al fabbisogno integrale 
delle quattro provincie, attornianti lo stabilimento, di Calabria e 
Basilicata;
2. Allacciare la Salina alla stazione 
Spezzano-Castrovillari, mediante la costruzione di 18 chilometri di ferrovia. La 
qual cosa farebbe risparmiare tanto sui trasporti, da permettere in un primo 
tempo, l'ammortamento della spesa incontrata, e poi una notevole riduzione del 
costo del minerale;
3. Esporre il bellissimo e purissimo sale comune e 
il raffinato lungrese in tutte le rivendite italiane, fosse pure che, 
oltre il raggio delle quattro provincie normalmente provvigionate, si dovesse 
aumentargli di un soldo per chilogramma il prezzo della vendita;
4. Utilizzare con la distillazione l'enorme quantità di 
sali di sgombero."
Che risponde, a Camera chiusa, il Ministro?
Non tocca prudentemente di quella che fu la massima 
argomentazione nostra, del fatto cioè che le miniere tedesche dànno il sale a 
poco il sale a poco costo, perchè vi si fa l'estrazione annuale di fin 700 mila 
quintali; e se la sbriga dicendo che farà fare degli studi per vedere se sia 
possibile cavare più dei normali 70 mila quintali annui (1); salvo a 
soggiungere subito, in linea di sincerità incoerente, che, se il sale c'è - oh 
se c'è! - economicamente sarà sempre più conveniente mettere in circolazione il 
sale terroso di Cervia, o dell'Egitto, o ... l'acido fenico spagnuolo; e la 
convenienza per quei sali continuerebbe a sussistere anche dopo costruito il 
breve tronco della Miniera alla traversa Sibari-Cosenza; che per ora, in fine, 
non è a parlare dello stesso sfruttamento dei sali di sgombero perchè la soda e 
i concimi si vengono fabbricando - scoperta preziosa! - coi prodotti di altre 
saline.
Sono pure e semplici affermazioni, che pretendono di ave 
ragione su tutta una serie di deduzioni e induzioni, basate sui dati 
improvvidamente offerti dallo stesso direttore generale, comm. Sandri, nelle 
relazioni annuali.
Or noi, invece di ribattere accademicamente, crediamo utile 
fissare qualche osservazione d'indole generale.
A 
noi sarebbe parso più estetico e decente che il Governo, senza ragionamenti 
sottili, avesse, come altra volta, risposto di non rispondere, in Parlamento e 
fuori. Almeno così mostravasi meno palese la violenza che sull'animo del 
ministro operò la strapotenza dei burocratici subordinati. l'attesochè - 
rubiamo l'espressione ad un sociologo vivente - è un pleonasmo ridicolo, quando 
si ha il pugno fermo e bene armato. Le popolazioni meridionali, taglieggiate per 
un  quarantennio dal Governo e spinte a costituirsi una patria nuova, meno 
rapace, nelle Pampas americane avrebbero - è vero - ben ragione di pretendere 
che il potere centrale guardasse una volta tanto, i loro istituti con un occhio 
che non che non fosse quello avido dell'Agente delle imposte. Ma il diritto - 
non siamo metafisici - è purtroppo la forza: ed esse popolazioni, disorganizzate 
ed incoscienti e sprovviste di una direttiva, non possano realizzare diritti, 
perchè non hanno ancora la forza.
Vorremmo un pò vedere lo stile delle epistole ministeriali, 
se la Calabria non fosse la Calabria. Vedreste allora come la versatilità 
ingegnosa dei Direttori Generali giustificherebbe le più inverosimili 
concessioni!
Sarà per un'altra volta.
Allora noi torneremo 
a martellare sulle nostre argomentazioni per niente infirmate; e, lo crediamo 
fermamente, la nostra modesta parola sarà più fortunata.
Ora non possiamo concludere che così.
Il programma di studi che la Direzione generale 
avrebbe mandato ai dirigenti locali per possibili ampliamenti, e 
innovazioni nella Miniera ci lascia perfettamente indifferenti. E non già 
per diffidenza molta o poca che noi possiamo nutrire verso il personale tecnico 
locale, cui professiamo - a parte equivoci e dissensi teorici - sincera 
stima.
Egli è che il Ministero, e vogliamo dire il Direttore 
Generale realmente non è disposto nè a innovare nè ad ampliare: e 
gli assaggi o non si faranno, o, quale che ne siano i risultati, non 
varranno a cavare dal buco nè un ragno, nè un quintale di più.
"Vutta che va 'n Calabria!... fin che la 
dura."
1) Insanamente scettici - non quasi 
nemmeno alla normalità di questi 70 mila quintali. Non perchè essi siano una 
concessione, giacché lo stesso Ministro s'incarica di riferirci che venti anni 
addietro, l'estrazione superava, in media, i 72 mila quintali, con un  personale 
quasi doppio dell'attuale.
Mancano forse scuse all'Amministrazione 
per ridurre - oh le innovazioni! - il lavoro e il pane a questi 
operai?
Estratto da: Cronaca di Calabria n° 14 del 15 febbraio 1903
 
Estratto da: Cronaca di Calabria n° 14 del 15 febbraio 1903
domenica 2 giugno 2013
Il Rito Greco Bizantino, tribalità e folklore o vettore di avvicinamento a Dio?
Qualche anno fa mi sono ripromesso di pubblicare
una nota informativa riguardo il rapporto fra le popolazioni degli Albanesi d'Italia
e il Rito da loro professato. Non ho scritto molto, ma ho cercato di mettere in
evidenza alcuni aspetti salienti e di carattere storico che dovrebbero
rifulgere da lume a chi sostiene, con eloquenti metafore, che il Nostro Rito
Greco è motivo di divisione e ancor più teatro di tribale attività
folkloristica. Per quanto mi concerne ritengo, nella maniera più assoluta, che
nella Nostra Chiesa si svolga una intensa attività di politica religiosa
incentrata sul soggetto ecumenico e quindi sulla universalità. Per quanto
riguarda, invece, l'attaccamento del Popolo d'Arberia alla Sua avita Fede, è
conseguenza di una "consanguinea attrazione" che trova i suoi
risvolti nel passato. Un passato dove binaria è stata la lotta per la
sopravvivenza.
Quando i Greco Albanesi, fra il XV e il XVI
secolo, pressati dalla violenta avanzata e conseguente occupazione
turca,giunsero, esuli, nei territori dell'Italia meridionale, nei primi anni,
condussero vita pressochè miseranda, non ignudi, ma spogli di ogni bene per la repentina fuga,
portarono con se la avita Fede trasmessa loro dagli antichi padri.
Malinconici e poveri ma dotati di ingegno e di Fede, cominciarono a costruire
le prime abitazioni, "Kalive,"(dal greco kaliba=tugurio o capanna),
strutture fabbricate con mota e intrecci di rami e giunchi , spesso straziate
dalle perturbazioni del tempo. Ogni comunità o colonia, costituita da questa
sopravvenuta gente, aveva , nella maggior parte , un a guida spirituale, un
sacerdote o meglio dire un papàs, essendo , questa, prevalentemente professante
la religione cristiana. L'Italia meridionale, in quel periodo, era corrosa da
un sistema sociale ed economico strutturato da un anacronistico regime feudale,
laico ed ecclesiastico. Le baronie laiche ed ecclesiastiche, interessate solo
all'impinguamento delle loro casse, non conoscendo queste popolazioni fin
dall'inizio, per pura cautela credo, ostarono in maniera inqualificabile e
violenta e talvolta addirittura perpetrando l'omicidio, la loro cultura
religiosa. Nelle diocesi dove i profughi Albanesi si erano stanziati,
violentissime furono le angherie e perangherie, ingiustificabile ed  inumana l'oppressione
dei vescovi latini ( non mi vogliano male i latini ma questa è certificazione
storica). Per più di 400 anni le genti Albanesi vissero nella tribolazione
riuscendo nella maggior parte dei casi a sopravvivere e a salvaguardare
costumanze e avita Fede alle angherie delle classi dirigenti autoctone. In San
Demetrio Corone, Santa Sofia d'Epiro, San Cosmo Albanese e in tutte quelle
comunità albanofone della fascia presilana, tirannici furono i Vescovi di
Rossano e di Bisignano: unico intento di qegli ordinari era quello di abolire
il Rito greco, ma l'audacia e la fermezza di quei popoli resero vani i loro
sinistri fini. Scrive a tal proposito Domenico Cassiano: “I vescovi latini,
nelle cui diocesi ricadevano le Comunità Albanesi, invece di promuovere tutte
quelle iniziative idonee a farle progredire, badarono piuttosto a distruggere
il Rito Greco, determinando una situazione di conflittualità con la conseguenza
di contribuire ad aggravare  lo stato di
depressione.”1 A Firmo, nel 1683, adducendo a scusante che i
chierici greci, esentati da tassazione, erano in molti, su proposta del Vescovo
di Cassano, l'intera popolazione fu scomunicata, ma questa non si diè per vinta
e reiteratamente supplicando Dio, ottenne attraverso la Sacra Congregazione
Propaganda Fide l'annullamento dell'infausto provvedimento, motivo di
tribolazione per quella fiera gente per ben quarant'anni. Sempre a Firmo nel
1881, il Vescovo di Cassano impose al sacerdote di amministrare la Comunione
non con il pane fermentato, come è in uso nel Rito Greco, ma con l'ostia,
risultò che tutti i cittadini gettarono le ostie nel letamaio comune. Altri
esempi di insulsa angheria, fra le tantissime che non sto quì ad elencare, fu
l'accadimento nel 1678 in Lungro, ove essendo feudatario di quel luogo Didaco
Pescara duca di Saracena, su insistenza del Vescovo di Cassano, perpetrò
inaudite violenze contro la popolazione affinchè non riconoscesse più il Rito Greco
proponendo quello latino. Anche se con la violenza quel infido signorotto trovò
la caparbietà dell'Albanese, che speditamente lo fece recedere dal suo intento.
In altre comunità il Rito fu abolito, ma occorse la violenza omicida: a
Spezzano Albanese, nell'agosto del 1644, il principe Spinelli , signore del
luogo e imparentato con l'Arcivescovo latino Antonio Spinelli, fece rinchiudere
nelle segrete del suo castello di Terranova il papas Lungro-Spezzanese Nicola
Basta, che non volendosi inchinare alle volontà del principe per il cambiamento
di rito, dopo orribili persecuzioni morì in carcere. Con la tragica morte di
Nicola Basta, iniziò inesorabile il declino del Rito Greco in Spezzano
Albanese, che fu definitivamente sostituito da quello latino, con una Breve di
Clemente IX, nel 1667. Giovanni Paolo II ha chiesto perdono a tutte quelle
etnie che indebitamente sono state oggetto di soprusi e discriminazione da
parte della Chiesa; i Vescovi di Anglona Tursi, Bisignano, Cassano e Rossano
ancora tardano.
1 Domenico Cassiano,  San Adriano,
la Badia e il Collegio Italo Albanese: Marco Editore Lungro 1997. 
Foto: www.admlungro.it
venerdì 31 maggio 2013
Lungro e i suoi canti arbëresh
I canti degli arbëreshë di Lungro generalmente erano di 
quattro tipologie diverse:
- 
Canti epici che raccontavano le gesta di Skanderberg e del popolo albanese;
- 
canti d'amore
- 
canti sacri, come le kalimere,
- 
canti funebri
TAJANI 
(1866)
* Il Tajani, ingegnere minerario, 
ha soggiornato a Lungro avendo  lavorato  in Salina.
DE GRAZIA  (1891) 
 
"…in Italia le loro cantilene sono pateticamente monotone come lo 
scorrere lento d'un fiume,  o 
guerrescamente precipitose come lo scrosciare della pioggia. 
 
I sentimenti che vi predominano sono fede pura e 
sincera, amore intenso alla guerra, alla madre, alla sposa, gelosia  selvaggia, dolore cupo e profondo, odio 
indomabile al Turco…….  
La forma letteraria di questi Canti è per lo più 
narrativa, qualche volta dialogica….  
Questi canti hanno quasi tutti carattere 
epico  obbiettivo, sono insomma come un 
patrimonio di famiglia trasmesso di generazione in generazione. Tutto risponde a 
sentimenti veri, a fatti comuni …….." 
MARCHIANÓ 
(1908)
"I canti popolari albanesi, adunque, sono 
espressioni individuali, materiati dei sentimenti del popolo, nutriti del 
patrimonio di ideale, che empivano di sé quell' età epica, quando tutto il 
popolo era cavaliere.
.....
Ma gli Albanesi la difesero con la spada e la eccitarono col canto, e quando le loro speranze furono troncate,
molti abbandonarono la patria, fuggendo in direzioni diverse, e recando seco, poiché altro non potevano,
le loro memorie e le loro canzoni, che rifiorirono nella terra dell'esilio.
.....
Ma gli Albanesi la difesero con la spada e la eccitarono col canto, e quando le loro speranze furono troncate,
molti abbandonarono la patria, fuggendo in direzioni diverse, e recando seco, poiché altro non potevano,
le loro memorie e le loro canzoni, che rifiorirono nella terra dell'esilio.
.....  
I canti amorosi ed elegiaci, che ci presentano un altro aspetto della 
vita, appaiono una scelta delle poesie più teneri ed eleganti che possegga la 
letteratura popolare albanese. Concezione chiara e squisita, sentimento fine e 
morbido, immagini pastose ed agili, c’empiono, ora di dolore ora di gioia, il 
cuore  e le orecchie di musica 
gradita."
|  |  |  | |
|   | 
Garofolli t'i kuq 
(Rilindja) | 
Viershe me arganetin 
(Rilindja) | 
Viershe me karramunxat 
(Rilindja) | 
| 
Ka mali  (Moti i 
parë) | |||
| 
Yll i bukur 
Oj yll i bukur 
kë tej m’u gjende 
nëng e ka njeri 
pirsenxien tënde. 
Oj yll te thonë 
e hënsa je 
paraxhë me mosnjeri e ke. 
Ti manushaqenë dushkut viuar 
më vien aduri 
turë e shkuar. 
Oj lule lule 
ngallarit 
ma e di u nëng je ti 
o mbëjin sit. 
Oj zëmërat tona 
fort i mbami 
ma kur të vdesmi 
ahirna i lidmi. 
Oj zëmërat tona 
fort i lidmi 
ma kur të vdesmi 
ahirna i zgjidmi. | 
Stella splendente 
O stella splendente 
da questa parte mi sei comparsa 
non ce l’ha nessuno 
il tuo portamento. 
Stella e il tuo nome 
e la luna sei 
paragonarti a te non può nessuno. 
O violetta nascosta nel bosco 
sento il tuo profumo 
mentre passo. 
O fiore, fiore 
in una galleria 
non so se sei veramente tu 
o sono gli occhi che mi ingannano. 
I nostri cuori 
li teniamo stretti 
e solo quando moriremo 
allora li separeremo. 
I nostri cuori 
li legheremo molto forte 
e solo quando moriremo 
li slegheremo. | 
| 
Ka mali 
Ka 
mali m’u kallar 
e 
ma mojnjë nejë e zezë 
e 
çera jote është 
e 
ma mojsi gjak e gjizë. 
E 
leshtë e ke biundinë 
e 
ma mojllunazë llunazë, 
di 
perna ke pir si 
e 
ma moje një mollisë pir buzë. | 
Dalla montagna 
Dalla montagna é scesa 
una nebbia nera 
ma 
il tuo viso risplende 
come sangue e ricotta. 
Hai i capelli biondi 
ricciolini, 
hai per occhi due perle 
e 
una piccola mela per bocca. | 
| 
TESTO DEL 
MARCHIANÓ | 
TESTO E 
TRADUZIONE DEL PROF. FERRARI (1959) | 
|      | 
Kostandini i vogëlith 
Kostandini i vogëlith 
tri ditë dhëndërrith, 
ato shkuar tri ditë, 
me 
nusen të re të re, 
i erth karta e zotit madh, 
ai të vej ndë ushtërët. 
Kostandini ahiera 
vate te kamara e t'et 
të jatit e s'ëmës 
e m'i puthi dorën 
e m'i lipi uratën. 
Pra gjeti të dashurën 
holqi e m'i d ha unazën: 
- “ 
em timen, zonja ime, 
mua më thirri zoti i math 
e 
kam vete nd'ushtërët, 
të 
luftonj per nëndë vjet; 
nd'ato shkuar nëndë vjet, 
nëndë vjet e nëndë ditë 
e u mos t'u priersha, 
vashë, të më martonesh !”- 
Fare nëng foli vasha. 
Nxuar e m'i d ha unazën. 
Mbet e ndënji ajo ndë shpi, 
njera çe shkuan nëndë vjet, 
nëndë vjet e nëndë ditë. 
Pra pjaku i vjehri 
(se mose trima bujarë 
dërgojin e m'e dojin) 
bija ime, i tha, martohu ! 
As foli vasha e bardhë 
e m'i bënë krushqi hadhjare. 
*** 
për 
menatje, Kostandinit 
po m'i vate nj'ëndrrëz 
keq shumë e trëmburëz, 
çe m'i trëmbu gjumin. 
Zgjuat e kujtuarith, 
holq'e dha një sberëtim 
sa m'e gjegj zot'i madh 
i mbyllur spërvjerëshit 
ka noti'e natës. 
Si u ngre menatet, 
bëri e i ranë daulevet. 
Mbjoth akolëzit mbë rreth: 
- “ Se ju akolëzit e mi, 
të vërtetjën më thoni: 
kush më shërtoi sonde? “ - 
Gjithë e gjenë e s'u 
përgjenë, 
u përgjegj po Kostandini: 
-“ shertova un' i mjeri   
nga e helmesia jote ? “ 
 
-“ Helmësia ime largë, 
sot 
martohet ime zonjë ! “ 
-“ 
Kostandin, i miri im, 
zdrepu grazhdëvet e mi, 
zgjidh ti kalin më të shpejtë, 
të 
shpejtë si qifti, 
të jesh ndë 
katund mbë herë“ . 
* * * 
Rrodhi vrap trimi e zgjidhi 
kalin të shpejtë si qifti 
e i hipi e ira mbë 
shporë. 
Pak u prë ditën e natën 
njera ç'ngau te dheu tij 
mbë t'u dijtur e 
diella. 
Njo u përpoq me t'anë e lashtë: 
-" Ku vete ti tatë loshi ? 
" - 
-" Vete ku shkretia 
ime 
më 
qell të gramisem, 
se pata një bir të vetëm 
m'e martova shumë të ri, 
me vashën çë deshi vetë. 
Tri ditë po ndënj dhëndërr, 
pra i erth karta e zotit math, 
çë e deshi tek amahi. 
Biri im, i 
pjotë helm, 
vashës i propri unazën: 
u kam vete 
nd'ushtërët, 
të 
luftonjë për 
nëndë 
vjet; 
nd'ato shkuar 
nëndë 
vjet, 
nëndë vjet e nëndë ditë 
e u mos u priersha, 
mba ti unazën e 
martohu, 
se vetë jam u nënë dhé. 
Ani sot vasha martohet 
e pushkat çë shkrehjën 
thonë vdekjen e birit tim; 
e unë vete gramisem." - 
-" Priru prapë ti, tatë lashtë, 
se yt bir vjen 
njëmend. ~ - 
-"Me rruash, i bukuri djalë, 
çë 
më dhe laim të 
mirë, 
se im bir 
më vjen nani!" - 
Trimi shkoi e i ra mbë 
shporë, 
mos t'e çoj 
të vënë kurorë. 
Te hera e 
Meshës s'madhe, 
m'arrù te katundi 
tij 
dreq ndë 
derë të 
Qishës, 
kur arrënej nusja 
e dhëndrri e hora ndaj 
e më qandoi fjamurin: 
-" Se ju krusq e ju 
bujarë 
duamni edhe mua nun 
te martesa e kësaj 
zonjë."- 
-" Mirë se vjen ti trim i 
huaj, 
trim i huaj e i hjeshëm, 
mirë se 
vjen te gëzimi jonë." 
- 
U hap qisha e 
hijtin. 
A.tje erth pëstaj hera 
trimi të ndërroj unazat; 
por ndërroi e i la te 
gjishti 
vashës unazëzën e tij 
. 
Zonjës si m'i vanë sytë, 
e njohur 
më ju dhifis, 
lotët 
më ju rrukullistin 
sumbulla sumbulla 
faqes kuqë, 
pikë pikë gjirit bardhë ! 
Kostandini çë m'e pa: 
-" Ni ju priftra e bujarë 
mbani dalë ato kurorë. 
Kostandinë, kuror'e 
parë, 
këjo vashë lidhi për 
monë, 
Kostandini u 
ndër te gjalle ! ! ! !" 
- | 
Il giovin Costantino / sposo fu per tre dì ./ Ma, 
trascorse tre sere / con la tenera sposa / ebbe ordin dal sovrano / di 
raggiungere le schiere./
Allor dei genitori Costantino, / nelle stanze sali, 
/  baciò ambo la mano / e d'esser benedetto chiese loro. / Indi cercò 
la sposa, / trasse e le diè l'anello./  -Rendi anche tu, o signora, / l'anello a me; il Sovrano 
/ ha già fatto l'appello, / seguir dovrò le schiere, / nove anni ho da 
combattere; / ma trascorsi nove anni, / nove anni e nove giorni / ch'io non sarò 
tornato, / sgombra da cor gli affanni, / signora, rimaritati. / Restò muta la 
giovane, / trasse egli diè l'anello; / nella casa di lui tacita e sola / stette 
finché passarono / nove anni e nove dì / e poi di continuo / a lei la man di 
sposa / nobili giovinetti richiedean./ Il suo canuto suocero / disse: Figliola 
mia, ti rimarita. / La bianca donna udì /  l'annunzio, silenziosa,/ e con gran 
pompa fu promessa sposa.  
*** 
 
Nel palazzo del sovrano, / entro il sonno mattutino, / 
fece un sogno Costantino, / fece un sogno spaventoso, / che dal sonno lo destò; 
/ e turbato, pensieroso, / Costantino sospirò. / Quel sospiro udì il Sovrano, / 
chiuso in serica cortina. / e destato la mattina, / fe' rullare i suoi tamburi / 
e le guardie e i cavalieri / a raccolta egli chiamò. / -Su, m'udite, o miei 
securi, / siate meco veritieri, / chi stanotte ha sospirato ? / e con gran pompa fu promessa sposa. 
 
*** 
 
Nel palazzo del sovrano, / entro il sonno mattutino, / 
fece un sogno Costantino, / fece un sogno spaventoso, / che dal sonno lo destò; 
/ e turbato, pensieroso, / Costantino sospirò. / Quel sospiro udì il Sovrano, / 
chiuso in serica cortina. / e destato la mattina, / fe' rullare i suoi tamburi / 
e le guardie e i cavalieri / a raccolta egli chiamò./ -Su, m'udite, o miei 
securi, / siate meco veritieri, / chi stanotte ha sospirato ?/ Tutti tacquero i 
guerrieri, /  
sol rispose Costantino: / -lo, l'afflitto, ho sospirato 
! / -O fedel mio Costantino, / da che nasce il tuo sospiro? / -Signor mio, del 
mio martiro / lungi è molto la cagione; / oggi stringe l'amor mio / nuove nozze 
in mia magione. / -Costantin, figliolo mio, / nelle stalle mie discendi, / a tua 
posta scegli e prendi / il cavallo più veloce, / sprona, dagli in sulla voce / 
ch'ei qual nibbio voli e va', / giungi a tempo in tua città. 
 
*** 
 
Nelle stalle discese Costantino / e un veloce destrier, 
veloce come / il nibbio, sciolse dai presepi. In groppa / balzò, 
spronollo e via pei campi, poco / il dì e la notte riposando; all'alba / di 
domenica, giunse alla sua terra. / E s'incontrò col .vecchio genitore, / e il 
genitore non conobbe il figlio. / -O venerando veglio -questi chiese - / dimmi, 
dove tu muovi i tardi passi ? / -lo me ne vo dove la mia sventura / spingemi, in 
cerca d'un'alpestre rupe, / da cui precipitar possa il mio frale; / ebbi un 
figlio assai leggiadro, e molto / giovine ancora a fauste nozze io strinsi. / 
Solo tre dì fu sposo, indi chiamato / dal Sovrano alla guerra, addolorato / il 
figliuol mio restituì alla donna / il nuziale anello ed a lei disse: / c Donna, 
partir m'è forza e per nove anni / m'avrà la pugna. Scorsi quei nove anni, / 
nove anni e nove dì senza ch'io torni, / dell'anello disposi e ti marita, / chè 
sotterra io sarò!>. La nuora mia / nuove nozze oggi chiamano, egli spari / 
ch'odi di festa, annunziano la morte / di mio figlio, e di morte in cerca io 
movo. - / E Costantino a lui: -O venerando / veglio, ritorna sui tuoi passi. or 
ora / verrà tuo figlio. -Giovine e leggiadro, / salve, chè rechi a me tanta 
novella, 7 che Costantino mio sta per venire. - / Il giovine spronò, chè non 
trovasse / già maritata la sua donna, e, giunto / nella città, della gran messa 
all'ora / ei si fermò alla porta della chiesa / mentre veniva il nuzial corteo / 
di. grande moltitudine seguito, / ed ivi Costantin piantò il vessillo. / 
-Parenti e cavalieri, a me sia dato, / per cortesia, venir da paraninfo / alle 
onoranze della sposa anch'io. - / E disser tutti: -O giovine straniero, / giovin 
leggiadro, assai da noi  gradito / giungi nel gaudio della nostra festa. - / Si 
spalancò la porta della chiesa / ed entrarono. Allor che a Costantino / toccò la 
volta di scambiar gli anelli / scartò l'anello dello sposo e il suo / vecchio 
anello alla sposa ei mise in dito. 7 Mirò colei l'anello e il riconobbe, 7 
impallidì: scende ano rotolando / per le guancie le lacrìme e pioveano / a 
stille a stille su l'eburneo petto. / E Costantino vide e gridò forte: / 
-Adagio, o sacerdote e cavalieri, / non intrecciate più. quelle corone; / altra 
corona un dì legò in eterno 7 il cor di Costantino e di costei, / nè morto è 
Costantino, vive e san io!
| 
 NGUSHTI 
MORESË 
Ish një Turk shumë i keq, 
ish me një të lidhurith. 
Mosnjerì e guxon' t'i fjit, 
po një vash' e Arbëreshe 
kuturìsi e m'i foli: 
-“ Zot, ndo je ti aq i keq, 
do të vëmi një ngusht bashkë: 
Cili nesh të dirë 
me të pirë qelqe me verë ? 
Ti vë pra të lidhurìn 
e u vë shtran' e terjorìsur 
me 
gëlpenje te mundashtë. 
“  
Turku dish e qe kutjend, 
vasha porsiti krìatet: 
-“Kur t'i shtini verë Turkut, 
pjot ju kupën më ja bëni; 
kur më shtini verë mua, 
pjot kupën mos m'e bëni, 
pikën uj' edhe m'i shtini “.  
Pra ndë mest tryesës, 
ajo e kuqe e tuke qeshur, 
mbë të marrë qelqin me verë 
i shtu mbrënda borë të bardhë. 
Turku i marrë nga ajo harè, 
tue pirë e mbjuar kupën, 
dal ndë thronit u qikar, 
atjè i qelloi gjumë. 
Zonja vashë të lidhurìn 
armatosi e u nis me të, 
dreq zallit detit. 
Hipi ani të 
rahur erës, 
përtej detin u prë. 
Fo si ra te zalli huaj, 
ndënj' si e stisurëz 
e përier detit: 
Mori e bukura More, 
si të le u më së të pe ! 
Atje kam u zotin tatë, 
atje kam u zonjën 
mëmë, 
atje kam adhe tim vëlla: 
gjithë 
të 
mbuluar nën 
dhe 
Mori e bukura More, 
si të le u më së të pe ! | 
LA SCOMMESSA DELLA MOREA 
Era un turco assai fiero,  
era con un prigioniero. 
Nessuno osava parlargli, 
ma una fanciulla albanese 
si fece animo e gli parlò:  
-" Signore, benchè tu sei tanto fiero, 
vuoi che scommettiamo insieme: 
Chi di noi due  
più beve bicchieri di vino?  
Tu scommetti il prigioniero  
e io scommetto il letto ricamato  
con serpenti di seta. " 
Il turco volle e fu contento, 
la fanciulla ammonì le serve:  
-"Quando verserete il vino al Turco. 
piena la coppa gli fate;  
quando versate il vino a me,  
piena la coppa non mi fate:  
e  un pò d' acqua 
pure versatemi. " 
Poi a mezzo della tavola  
essa, arrossita e sorridendo,  
nel prendersi il bicchiere di vino, 
 
vi gettò dentro la neve bianca.  
Il Signore, rapito da quella gioia,   
bevendo e riempiendo la coppa,  
leggermente sul seggio s'inchinò,  
e li si addormentò. 
La nobile fanciulla il prigioniero 
 
armò e s' avviò con lui, 
dritto al lido del mare. 
Salì su una nave combattuta dal vento, 
 
di là dal mare si posò.  
Ma come scese alla spiaggia straniera, 
 
rimase come impietrita 
e rivolta verso il mare: 
O mia bella Morea, 
come ti ho lasciato più non ti vidi! 
Ivi ho lasciato il signor padre, 
ivi ho lasciato la signora  madre, 
ivi ho lasciato anche mio fratello: 
tutti sepolti. 
O mia bella Morea, 
come ti ho lasciato più non ti 
vidi! | 
| 
VDEKJIA E 
SKANDERBEKUT 
Shkoi një ditë 
mjegullore 
mjegullore e 
helmore, 
foka qielli doj të 
vajtonej, 
pra tue u dijtur me shi 
nga tregu një thirmë u gjegj,  
çë hiri e shtu lipin 
 
ndër zëmrat e nder pëlleset !  
Ish Leke Dukagjini,  
ballët përpiq me një dorë, 
shqir leshtë me jatrën:  
-“Trihimisu, Arberi 
! 
Eni zonja e 
bularë, 
eni 
vapehta e ushtërtorë, 
eni e qani me hjidhi ! 
 
Sot 
të varfëra qëndruat,  
pa prindin çë ju porsinej, 
ju porsin' e ndihnej. 
 
E më hjenë e 
vashavet, 
më 
harenë e gjitonivet,  
as kini kush të ju ruanjë.  
Prindi e Zoti i Arbërit 
 
ai 
vdiq çë somenatë;  
Skanderbeku s'është më!“  
Gjegjtin shpitë e u trihimistin,  
gjegjtin malet e u ndajtin,  
kambanert'e qishëvet  
zunë lipin mbë vetëhenë;  
po ndër qiell të hapëta hinej  
Skanderbeku i pa-fanë!  | 
LA MORTE DI 
SKANDERBEG 
Passò un giorno nebbioso, 
 
nebbioso e mesto, 
quasi il cielo volesse piangere, 
 
poi aggiornando con pioggia, 
dalla piazza un ululo fu 
udito 
che entrò e gettò il lutto 
 
nei cuori e nei palazzi. 
Era Lecca Ducagino,   
la fronte percoteva con una mano, 
 
stracciava i capelli con l' altra: 
-" Sconvolgiti, Albania! 
Venite  signore e signori,  
venite, poverelle e soldati, 
venite e piangete di cuore! 
 
Oggi orfane siete rimaste, 
 
senza il padre che vi consigliava, 
 
vi consigliava e vi aiutava. 
E più il decoro delle fanciulle, 
 
più il decoro dei vicinati, 
non avete chi vi custodisca. 
 
II Principe e Signore d' Albania, 
 
egli è morto da sta mattina; 
 
Skanderbeg non è più." 
Udirono le case e si 
scossero, 
udirono i monti e si 
divisero, 
i campanili delle chiese 
 
cominciarono il lutto da sè 
stessi;  
e nei cieli aperti entrava 
 
Skanderbeg 
sventurato. | 
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