domenica 3 novembre 2019

Idee e valori di Camillo Vaccaro, un Maestro lungrese vissuto ta Ottocento e Novecento

(di Antonio Sassone)

Questa raccolta di scritti di Camillo Vaccaro (1864-1955) curata da Silvio Martino e sollecitata da alcuni ex alunni, esponenti di quelle numerose generazioni che lo ebbero Maestro, vuole essere una testimonianza di affetto e di gratitudine verso l’educatore, ma è anche un documento storicamente interessante delle insospettabili diramazioni di una cultura positivista, presente, in tono minore, nella Calabria degli inizi del Novecento.
L’autore, nato e vissuto prevalentemente nella comunità etnica albanese di Lungro, in una regione, la Calabria, che alla fine del secolo XIX contava oltre il 90 per cento di analfabeti, ebbe il privilegio di essere avviato e assistito negli studi da uno zio prete. Ma, ben presto, resosi intellettualmente autonomo, abbracciò il positivismo e, immemore ( o forse proprio perché memore) dell’impronta religiosa data alla sua educazione, finì con il convincersi con Haeckel che Dio è un ” vertebrato allo stato gassoso ” (p. 36). La demolizione critica delle basi reazionarie della sua cultura ricevette impulso dalla scoperta dell’opera di A. Ardigò, il positivista italiano che aveva sconvolto le acque stagnanti della speculazione idealistica, mediando culturalmente la radicalizzazione laicistica avviata dall’avvento al potere della Sinistra storica di Agostino Depretis.
Vaccaro si attestava sulle posizioni di quegli intellettuali laici meridionali che s’inserivano nelle istituzioni culturali del Paese, integrandosi socialmente sotto la comune fede positivistica, dopo aver subito l’egemonia ideologico-politica dei ceti dominanti incontratisi nello spiritualismo e nell’idealismo della Destra storica, moderata o conservatrice. Tanto maggiore fu l’entusiasmo con cui Vaccaro si appropriò dei risultati del pensiero di Ardigò, tanto più esso gli apparve congeniale, quanto più estese erano le affinità tra la sua storia personale e quella del filosofo positivista. Ambedue avevano, infatti, coraggiosamente sfidato l ‘autorità e attirato su di sè l’ira e l’ostilità dell’ambiente confessionale d’origine, respingendo il proprio passato culturale teologico, per abbracciare una visione del mondo qualitativamente nuova, per il posto che in essa occupava l‘atteggiamento sperimentale. In ambedue, la divinizzazione della.scienza e del “fatto” positivo determina una trasposizione delle conclusioni assolutistiche del pensiero dalla sfera religiosa alla sfera scientifica. In tal modo i presupposti dogmatici, pur secolarizzandosi e laicizzandosi, continuano a sussistere nella nuova visione scientifica del mondo. Pertanto, la guarigione dal. “morbo sacro” della religione (p. 64) che Vaccaro, citando Eraclito, riteneva di aver raggiunto, convertendosi al positivismo, non risultava totale. Ciò nonostante, la conversione, pur con i suoi limiti, può essere considerata un’eccezionale salto qualitativo, soprattutto se la si colloca nella situazione di isolamento in cui essa veniva effettuata.
Nella Calabria della fine del secolo XIX, a condizioni socio-economiche pre-capitalistiche corrispondevano forme ideologiche
quasi esclusivamente orali. La cultura scritta, a sua volta, limitata a meno del 10 per cento della popolazione, raramente superava i confini della tradizione in cui la funzione pre-ponderante delle istituzioni ecclesiastiche imponeva i suoi modelli di comportamento e di pensiero. Quando la cultura scritta riusciva a sfuggire alla tutela oppressiva delle istituzioni tradizionali, si apriva, al massimo, agli influssi dell’idealismo che per la sua complicità sostanziale con le filosofie delle classi dominanti, non divergeva funzionalmente dalla cultura gestita dalle istituzioni ecclesiastiche.
Nel nord che, alla fine dell’Ottocento, avviava il suo processo di industrializzazione, con uno sfasamento storico di oltre cinquanta anni rispetto al resto dell’Europa già imperialistica, la stessa voce di Ardigò che pur cercava di intonare la nuova visione borghese del mondo, risuonava pressochè isolata, in mezzo all’ostilità generale.
Collocata in tale contesto, la conversione di Vaccaro alla filosofia della borghesia industriale d’Oltralpe appare un fatto tanto più eccentrico, quanto più essa era estranea alle esigenze socialmente diffuse di una Calabria semifeudale, in un sud pre-capitalistico.
Nel 1908, quando gli echi della polemica scatenata dalla pubblicazione delle opere di Ardigò si erano ormai spenti, Vaccaro, in una conferenza tenuta a Cassano allo Jonio, esaltava appassionatamente la figura del filosofo positivista, rivelando all’uditorio il “sacro tumulto di pensieri e di affetti vibranti ” (p. 78) che il nome di Ardigò suscitava in lui. L’oratore manifestava la sua gratitudine al pubblico per avergli offerto l’occasione di appagare il” desiderio potente di trasfondere nell’animo altrui il sentimento di stima e di venerazione grande che gli vibrava nel cervello e nel cuore per questo pensatore sovrano, per questa mirabile tempra di scienziato magnifico ” (p. 79).
Il colore marcatamente politico dato all’ingresso del positivismo nella cultura ufficiale, subito dopo l’ascesa al potere della Sinistra storica, si riverbera nel pensiero di Vaccaro con tonalità ancora più infuocate di quelle originarie e in un momento storico caratterizzato dal sopravvento del neo-egelismo e dello storicismo gentiliano e crociano. Pertanto, l ‘adesione appassionata di Vaccaro al positivismo, anche se storicamente e culturalmente in ritardo, proprio perché politicamente orientata, rappresentò un valido stimolo di ricerca sociologica nutrita di dati empirici e pervase la sua pratica educativa di finalità democratiche pressoché sconosciute ai maestri elementari della Calabria di quel tempo .
In questa prospettiva, egli, guardando con sospetto gli “onorevoli ben pasciuti che dopo aver osservato igienicamente da lontano ” (p. 138) le condizioni di miseria del Mezzogiorno, si ritennero in grado di trarre delle conclusioni che pretendevano di imporre come oggettive, esercitò il diritto di controllarle e criticarle, facendosi forte di una competenza scientifica che gli derivava dall’aver assimilato il metodo positivistico e dall’aver insegnato un quarto di secolo nel regno della miseria.
In una relazione svolta al secondo Congresso scolastico calabrese tenutosi a Cosenza nel novembre del 1908 criticò, in particolare, i provvedimenti legislativi scaturiti dai risultati delle indagini svolte dagli “onorevoli ben pasciuti”, rilevando che era sommamente ingiusto ” trattare in modo uguale rapporti e condizioni di cose tra loro disuguali “. Per il Maestro lungrese era ingiusto applicare indiscriminatamente le stesse leggi sull’istruzione al Nord sviluppato e al Sud “depresso e diminuito da sciagurate vicende storiche, rovinato nell’agricoltura dalla corrente migratoria che ingrossa sempre più e privo di risorse industriali” (p. 141). La legge sull’istruzione obbligatoria si rivelava per Vaccaro un ‘”atroce burletta ” di conferenzieri settentrionali mandati nel Sud a recitare “forbite dissertazioni “, mentre le “catapecchie rimanevano più che mai catapecchie ” e l’analfabetismo vi trovava il terreno ideale per prosperare. La mozione finale del Congresso di Cosenza redatta da Vaccaro e approvata dagli altri congressisti individuava le cause dell’analfabetismo nell’ ‘”ingiuria di eventi tellurici e storici, nel sottosviluppo, nella miseria, nel malgoverno delle clientele amministrative, nell’assenza di ogni controllo da parte delle masse inconsapevoli e rassegnate ” (p. 152); scartando velleitarie proposte di rimedi radicali, chiedeva l’intervento dello Stato per l’istituzione di asili d’infanzia, per l’incremento dell’edilizia scolastica, per la concessione di sussidi in denaro ai genitori costretti dalla miseria a far lavorare i figli in età scolare, per l’attuazione di misure, come l’unificazione dei ruoli degli insegnanti elementari, che, offrendo prospettive di carriera “aperta e decorosa ..agli insegnanti stessi, bloccassero il loro esodo dalle scuole rurali.
La sensibilità politica democratica unita agli orientamenti scientifici ispirati al Positivismo, lo indusse a precorrere i tempi in diverse questioni. A questo riguardo, è esemplare la sua posizione sulla funzione delle “lingue morte “. Con argomentazioni di sorprendente modernità, già dal 1890 proponeva l’abolizione dell’insegnamento del latino nelle scuole medie, la sua sostituzione con lingue moderne di utilità pratica e il potenziamento di discipline scientifiche su base sperimentale. Ma, consapevole della scarsa simpatia che una simile proposta avrebbe incontrato tra i contemporanei, mentre non rinunciava a demolire le false argomentazioni adottate dai fautori dell’insegnamento delle “lingue morte” (servono a conoscere meglio l’italiano, sviluppano le capacità logiche, potenziano le capacità espressive ecc.), intitolava significativamente il saggio “Voci nel deserto per lo svecchiamento delle scuole classiche “.
Non meno avanzata era la sua concezione pedagogica. Egli, infatti, respingeva il significato restrittivo dell’educazione intesa come attività rivolta alla formazione della personalità del fanciullo e ne dilatava il raggio d’azione fino a comprendervi gli uomini di tutte le età. Da questi presupposti scaturì l’ideale massimo di tutta la sua vita che era quello. di contribuire a edificare, come egli stesso scrive, “una coscienza nuova nelle masse” fondata su un ” sistema economico egualitario che, soppiantando l’attuale “, avrebbe garantito ad ogni uomo il “diritto di raggiungere, mediante lo studio sperimentale, la conoscenza positiva del proprio essere e delle leggi cosmiche ” (p. 94). Collocato nel clima di eclettismo che caratterizzava gran parte del1a cultura dei positivisti democratici italiani, considerò il materialismo storico una “teoria magnifica che dà allo studioso una seconda vista per valutare i fenomeni sociali ” (p. 128).
La dilatazione della sfera sociale investita dall’attività educativa, la presenza di connotati politici democratici desunti dal marxismo introducono Vaccaro in una concezione, per quei tempi, pionieristica della teoria e pratica pedagogica. ln questa prospettiva, l’educazione acquistava ante litteram il significato attuale di educazione permanente. Anche se di una simile educazione il Lungrese non sviluppò un’ampia ed articolata analisi teorica – nè sarebbe lecito rimproverargli questo limite – ne diede, tuttavia, un esempio di pratica realizzazione, attraverso le esperienze educative svolte a beneficio degli operai della miniera di salgemma di Lungro. Partendo dal principio che è necessario bandire il formalismo ed imprimere all’educazione un indirizzo pratico che tenga conto delle motivazioni dell’educando e che assecondi i suoi bisogni individuali e sociali (cfr. p. 155), Vaccaro, mentre nel 1900 conduceva sul “Corriere di Napoli” un’attiva campagna per dimostrare l’infondatezza delle voci che prospettavano l’esaurimento dei giacimenti minerari della salina di ‘Lungro, nel medesimo tempo coinvolgeva in questa iniziativa scientifica e politica i 300 operai minacciati direttamente da una eventuale chiusura della miniera. Facendo ruotare l’attività didattica intorno all’esperienza produttiva degli operai, già suoi ex alunni, Vaccaro sollecitò il loro interesse scientifico verso i problemi del lavoro e verso le più generali ragioni economiche e politiche che avevano indotto le clientele locali e lo Stato ad agitare lo spauracchio della chiusura della miniera. Che si trattasse di uno spauracchio lo dimostrarono successivamente le polemiche ricorrenti sul medesimo argomento e le promesse alternate alle minacce avanzate regolarmente da tutti i governi dei regimi succedutisi in Italia dal lontano ‘900 ad oggi.
Nei suoi numerosi scritti di storia, filosofia, sociologia e pedagogia fu oggetto di citazioni e di lodi, anche tramite corrispondenze epistolari, da parte di A. Ardigò, F. Turati e C. Lombroso. Respinse ogni settarismo ed ogni autoritarismo, in pedagogia come in politica. Negli scritti e nella vita pratica manifestò un totale disprezzo verso il dirigismo culturale fascista che pretendeva di imporre agli educatori il principio per cui ” dal teorema di Pitagora occorre ricavare il corolla-rio di una ubbidienza cieca al du-ce ” (p. 162).
Quando nell’opinione pubblica italiana anche democratica, erano ampiamente diffusi i pregiudizi sulla razza maledetta cui veniva imputata la causa dell’arretratezza del Mezzogiorno, Vaccaro, in polemica con i Lombroso, i Niceioro, i Ferri, responsabili di aver consacrato con l’autorità della scienza, quei pregiudizi, condannava il ” perfido godimento di alcuni sociologi corrivi a spiegar tutto semplicisticamente col fattore etnico” (p. 123) e individuava, tra le cause dell’arretratezza, la principale nel ” più iniquo degli sfruttamenti” perpetrato ai danni delle masse meridionali ” mediante la complicità dello Stato “.
Quello che per Turati era un debito di civiltà dello Stato verso il Meridione, al positivista Vaccaro appariva, più realisticamente, come un debito vero e proprio contratto attraverso gli agenti delle imposte.
Proteso a combattere, in nome della scienza positiva, i pregiudizi e la retorica, non si faceva eccessive illusioni sulle prospettive di successo e, parafrasando un’espressione di Humboldt riferita alla Germania, manifestava la pessimistica convinzione che ” in Italia occorrono due secoli per distruggere una stupidità: uno, per capirla e uno, per liberarsene” (p. 144). Un simile pessimismo non fu d’ostacolo alla sua opera educativa alla cui efficacia fu dovuta, in gran parte, la diffusione nella sua comunità nativa dei principi democratici che contribuirono a fare di Lungro una roccaforte del Partito socialista, prima dell’avvento del Fascismo, e dei partiti di-Sinistra, nella fase post-bellica, fino ai giorni nostri.

Recensione a Camillo Vaccaro, Scritti.

(a cura di Silvio Martino e del Comitato per le celebrazioni in Lungro) pp. 212, Castrovillari, 1974

(Da “La Parola socialista”, n. 2-3, febbraio-marzo 1975, pp. 69-72).

P. S. Anche Silvio Martino , animatore dell’iniziativa che ha portato alla pubblicazione degli scritti di Camillo Vaccaro. è stato un Maestro lungrese, colto, tollerante e gentile, socialmente impegnato, ricco di sensibilità pedagogica e democratica. Per queste sue virtù, egli avrebbe meritato di prendere in consegna e di tenere a lungo il testimone della grande dignità del docente-educatore lasciato da Camillo Vaccaro. Ma Silvio è stato strappato prematuramente alla vita da quella bagascia intracomunitaria che è la Morte.

Fonte: www.ungra.it

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