lunedì 22 ottobre 2018

Albanesi nei possedimenti della Repubblica di Venezia in Grecia nei secoli XV e XVI




(di Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro)


Gli Archivi Veneziani, nonostante le molteplici avversità, del tempo, degli incendi e in maniera minore della negligenza del singolo, sopravvissero nelle turbolenze dei secoli, giungendo a noi quasi del tutto integri. Sono un grande tesoro di materiale storico unico al mondo, sia per importanza che per ricchezza. I documenti di questo “gioiello”, fino a qualche decennio fa, il più delle volte non venivano catalogati ed accorpati in registri, ma formavano solo una raccolta di fogli volanti e, come scritto sopra, spesso preda di furti, delle ingiurie del tempo e dei possibili incendi. Tutt’oggi questi Archivi sono una inesauribile fonte di carteggi, ove il ricercatore può attingere materiale inedito e non, per gli studi su quella che è stata la maggiore potenza marittima, nell’arco di diversi secoli, del Vecchio Mondo: la Talassocrazia della Repubblica Veneziana (ϑαλασσοκρατία).
 Gli Archivi Veneti sono complessi e quindi richiedono capacità e passione e quasi sempre un rigore scientifico e un armamentario di conoscenze che possono arrivare anche da altri ambiti, come avere una certa padronanza sulle lingue sulle quali si lavora, (nei suddetti Archivi prevale la scrittura in latino medievale o dialetto veneziano) in quanto è necessario non fare affidamento unicamente sulle opere tradotte ma anche sul bisogno di esaminare minuziosamente documenti in archivi pubblici e privati in lingua originale. Vale lo stesso per l’italiano volgare o per il greco e il latino. Le cancellerie veneziane, in particolar modo, dagli inizi del XIII secolo decisero di utilizzare il “sermo vulgaris”, il latino volgare, ufficializzato definitivamente nel 1402 con una deliberazione dello stesso Maggior Consiglio, scritta in volgare, che istituì la cancelleria « Secreta », cioè una sezione separata degli uffici di palazzo in cui sarebbe confluito il " materiale ritenuto meritevole di adeguata riservatezza".
  Una mole di documenti ci viene offerto in proposito dalla Cancelleria Veneta, nello specifico dalla Cancelleria Segreta, dalle Relazioni o Giornali del Senato, dai Dispacci dei vari Provveditori operanti in territorio greco come Jacomo Barberigo provveditore militare nel Peloponneso dal 1455 al 1466 e Bartolomeo Minio provveditore a Nauplia o Napoli di Romania dal 1479 al 1483; dalla Scuola dei Diaristi dove i maggiori esponenti furono Marin Sanudo e Stefano Magno alias Emmanuele Cicogna. In definitiva una documentazione che ci mostra nella sua interezza la politica talassocratica e coloniale, sulle coste e sulle basi adriatiche e ioniche, della Repubblica di Venezia fino alla sua decadenza, che pone in evidenza anche l’aspetto, oltre che economico, anche sociale e politico.

A favorire la “colonizzazione” di Venezia di gran parte delle coste e di isole importanti della Grecia, fu sicuramente la fine della Quarta Crociata, nel 1204, voluta dalle potenze cristiane occidentali, alle quali la Repubblica era alleata. Dopo la presa e il sacco di Costantinopoli e l’incoronazione di Imperatore d’Oriente di Baldovino IX di Fiandra, Venezia nella spartizione del grande Impero Bizantino, pretese ed ottenne gran parte delle coste occidentali e non della Grecia, le isole di Eubea  ex Nigroponte, la quale per un certo periodo fu infeudata della famiglia Carceri di Verona passando nuovamente sotto la signoria di Venezia nel 1366), Andros, Candia, Idra, Leucade, Santorini, Cefalonia, Creta,  Nasso, Egina, le fortezze di Corone, Modone, Nauplia o Napoli di Romania e Maupasia o Malvasia, in sostanza tutti i punti strategici più rilevanti del Peloponneso, del Braccio della Maina e della Laconia.

La pace stipulata a Torino tra Venezia e Genova del 1381, avviò la Serenissima a una nuova grande ondata espansionistica oltremare, che si protrasse per tutto il Quattrocento e andò spegnendosi col finire del secolo. L'acquisizione più importante, negli ultimi anni del Trecento, fu Corfù, che si diede a Venezia nel 1386 dopo la caduta dei suoi precedenti signori, la famiglia Tocco. In quella stessa occasione Venezia acquisì le piccole isole limitrofe di Paxo e Antipaxo (Paxos e Antipaxos), e Butrinto (Bouthrotó), sulla terraferma antistante. Tre anni dopo passò sotto il gonfalone di San Marco anche Nauplia (Nauplion), chiamata dai Veneziani "Napoli di Romània", un'importante base sulla sponda nordorientale del Peloponneso. Nel 1390 furono assoggettate le isole cicladiche di Tino, Micono e Delo, e nello stesso anno il governo diretto di Venezia fu imposto a Negroponte, fino ad allora soggetta solo in parte alla giurisdizione della Serenissima. Essa, padrona in Grecia di molte fortezze dopo la IV Crociata,  senti la necessità, considerando la vastità dei possedimenti, di accogliere masse di albanesi che già in precedenza si erano stabilite nell’Ellade, in maniera più accentuata in Tessaglia, nel Despotato di Morea e nel Ducato Catalano. Si vedano i precedenti scritti su “gli Albanei in Grecia nel protomedioevo e Albanesi nei possedimenti Catalani e del Despotato di Morea”1 Fin dagli inizi del XV secolo Venezia avvertì che non doveva solo perseguire i suoi interessi commerciali e politici nelle colonie in Grecia ma  di rendere partecipi e quindi integrando nella sue attività di terraferma anche le popolazioni indigene e in particolar modo i greco albanesi. La Repubblica per il consolidamento del suo potere, con acuta spregiudicatezza, adottò nei loro confronti una politica di protezionismo, attraverso aiuti economici, leggi umane e privilegi vari. Essa non usò la insopportabile politica fiscale dei Despoti di Morea che incautamente risvegliò dal torpore e quindi alla rivolta anche i contadini guidata da Pietro Bua dal 1453-1454. Venezia comprese che i greco albanesi in Grecia non erano solo una minoranza culturale, ma anche una comunità affidabile rispetto ad altre popolazioni quali quella Valacca e Slava. La presente ricerca, ormai intrapresa da un ventennio, vuole essere di sostegno alla consolidata tesi, mia e di altri, che da svariate regioni della Grecia, che verranno annoverate, considerevoli masse di greco albanesi, dalla fine del XV  fino alla fine del XVII ( Manioti), vennero a fondare e ripopolare molti casali nel Mezzogiorno d’Italia.

Un primo documento riguardo i privilegi che Venezia offrì ai greco albanesi e non solo è riportato sia da K. Sarthas  in Mnemeia che nella Cancelleria Segreta Veneta.

 Immunità fiscale per gli albanesi in Negroponte

1401, 14 Februarii

Immunitas data venientibus ab extra, habitantium super Insula Negropontis.

Sapientes ordinum.

Capta. – Quod addantur gratie alias, videlicet die X° mensis Februarii instantis concesse et facte fidelibus nostri de Nigroponte pro eorum conforto et consolatione, quod considerata fidelitate sua, omnes illi, qui usque in diem presentem sunt cives terra Nigropontis, in facto Civilitatis Veneciarum et navigandi, habentur et tractentur in totum prout habentur et tractantur fidelis nostri de Candia, et Corono, et Mothono, exceptis Iudeis2.

Invito (furono esclusi gli ebrei) a ripopolare l’isola di Eubea o Nigroponte offrendo loro oltre benefici e privilegi di ogni sorta, come anche la Cittadinanza Veneziana, così come è stato fatto per coloro che hanno ripopolato Candia, Corone e Modone. L’anno successivo gli albanesi stabilitisi in Tessaglia e in Livadhja furono "benevolmente" sollecitati ad insediarsi nell’isola suddetta:



Cancelleriae Secretae

PARS ALTERA

(Deliberazioni Miste)

1402, 20 Aprilis

Quedam provisio facta, pro apopulando Insulam Nigropontis.

Sapientes ordinum.



Quod, pro apopulando Insulam nostram Nigropontis, Scribatur et mandetur Regimini nostro Nigropontis, Quod debeat facere publice proclamari, quod quilibet Albanensis, vel alia gens, qui non sint nostri subditi, qui cum equis volent venire et venient ad habitandum, a die captionis presentis partis, usque duo annos proxime sequentes, in Insulam Nigropontis, recipientur et sin tac erunt perpetuo liberi et absoluti ab omi angaria reali et personali, et sibi donabuntur de terrenis nostri comunis incultis, que tamen sint apta ad laborandum, cum conditionem tamen,  quod dicti tales Albanenses et alia gens equestris, teneantur tenere toto equos, quot homines capita familie erunt numero, nec possint recedere de dicta Insula sine licentia dicti Regimini, sed teneatur et debeant, omni vice qua erit necesse, equitare et ire ad defensionem Insule, et offensionem quorumcumque volentium dannificare Insulam nostram predictam, et post mortem eorum, dicta terrena sint et esse debeant suorum heredum, qui habitarent super dicta Insula, cum obbligatione, tenendi angariam predicta. Si vero non haberent  heredes, dicta terrena revertantur in nostro comune. Verum dictum Regimen Nigropontis, in facto dandi de dictis territoriis nostri comunis dicti Albanensibus, et aliis equestribus venientibus habitatum in Insula predicta, habeat libertatem dandi predictis illam quantitatem de terrenis nostri comunis, per modum predictum qui ipsi Regimini videbitur, secundum qualitatem personarum, et quantitatem ac conditionem familia illius qui venerit habitatum in Insula predicta.3

Si trattò di un proclama per il ripopolamento dell’isola di Negroponte da parte di albanesi e altra gente che non fossero loro sudditi. Gli Albanesi che vorranno stabilirsi nell’isola saranno resi immuni da ogni tassazione (angaria) e a loro saranno donati terreni incolti affinchè con piena padronanza li potranno coltivare. Quote di terreno saranno donate in base alle esigenze e al numero del nucleo familiare. Se i proprietari delle terre a loro assegnate, dopo la loro morte, non avranno eredi diretti le stesse terre ritorneranno al bene comune (alla disponibilità del Provveditore). In cambio gli albanesi che verranno ad insediarsi nell’isola dovranno allevare tanti cavalli quanti sono i capifamiglia; dovranno difendere l’isola insieme ai veneziani contro le incursioni dei nemici e non potranno abbandonare l’isola senza il permesso del Provveditore del Doge.

Un quarto di secolo dopo la Repubblica reiterò l’invito ai greco albanesi:

1425,  22 maii

Commissum Regimini Nigropontiss, quod permittat omnes illos Albanenses qui voluerint venire ad habitandum in Insulam predictam.

Quod scribatur Regimini Nigropontis in hac forma videlicet:

Sapientes ordinum.

Capta – Intellectis litteris, quibus nobis significastis, quod certa Capita albanensium ducaminis et diversorum locorum numero familiarum trecentarum intraverunt Insulam et illam volunt habitare, quorum adventus videtur summe placere Comunitati nostre Nigropontis, que etiam superinde nostro domino scripsit, Intellecto etiam quantum eorum adventus affert comodum et utilitate dicte Insule, Vobis respondemus cum nostris consiliis rogatorum et additionis, quod placet nobis, et sic vobis mandamus quatenus permittatis dicto albanenses et alio albanenses, qui vellent venire ad dictam Insulam, ipsam Insulam habitare, providendo et habendo tantem bonam advertentiam, quod non habitent in fortilicia nostra, sed intrare et exire possint ad partem ad partem, et non habitare in eis pro securitate eorum locorum, sed extra persistant et non inferant dammnus subditis nostris.4



Anche in questa richiesta di ripopolamento dell’isola i greco albanesi godettero di privilegi, ma con l’obbligo di non poter abitare nelle fortezze per la loro incolumità, potendo, tuttavia, uscire ed entrare quando lo ritenessero opportuno, evitando di provocare danno agli abitanti stessi

Un documento incompleto del 1426 riguarda alcune famiglie albanesi che stabilitisi precedentemente in Livadia e in Valacchia (Tessaglia), si insediarono nell’isola:

1426, 21 januarii

Quod scriptum fuit Regimini Nigropontis pro factis Albanensium (( illegibile))…………….. Quod scribatur nostro Nigropontis in haec forma videlicet:

……..Alios autem Albanenses, quos dixistis utile esse, et obedientes, qui de Levadia partibus et de Blachia (Tessaglia) priusquam suprascripti, illuc venerunt, sicunt scripsistis , debeant retinere in Insula, et sibi providere de aliquo territorio nostro comuni, aut de alia..re, ut vivere et stare possint in ea Insula5
 Ancora oggi la maggior parte dell’isola di Eubea, ex Nigroponte, è abitata dai discendenti di quegli albanesi.

Ma Venezia non si accontentò solo di ripopolare e di porre in sicurezza l’isola di Eubea, altre cittadelle e basi fortificate dovevano essere regolate in tal senso.

Nella parte sud occidentale del Peloponneso, in Messenia, la Repubblica possedeva dal 1247 due cittadelle fortezza, esse erano Corone e Modone (gli occhi della Serenissima) ed anche qui essa ritenne opportuno che fossero i greco albanesi, in maniera minore e diversa rispetto Negroponte, a ripopolarla. Infatti le due fortezze non necessitavano di forza lavoro contadino, ma di truppe mercenarie per la difesa e operai addetti al rafforzamento delle loro mura.

Il primo documento che riguarda i rapporti tra gli albanesi e la fortezza di Corone:

1401, 16 februarii

Castellani accipiant XII equites Albanenses, vel alios pro quolibet pro bono ipsorum.

Sapientes ordinum.



Capta. – Quod scribatur et mandetur Castellanis locorum nostrorum Coroni et Mothoni, quod debeant accipiere ad soldum XII Albanenses, vel alios homines confidentes equestres, pro quolibet dictorum locorum, qui sint boni et sufficientes homines, et habeant bonos equos, et arma consueti haberi deinde per tales, dando cuilibet ipsorum de soldo in mense, a quindecim usque viginti yperperos prout melius facere poterunt. Et quilibet ex castellanis in loco sibi commisso, debeant operari dictos equestres vel partem eorum, in mittendo et tenendo ipsos ad loca et passus Amoree in quibus melius et citius possit sciri adventius et intentio Turchorum vel aliorum volentium venire in Amoream, vel ad damna territorium nostrorum locorum, dando eis inter alia ordinem, quod subito et prestissime, cum sentirent aliquid de predictis novis, veniant ad informandum nostros Castellanos predictos, et debeant operari etiam dictos equestres, in faciendo reduci vilanos dictorum locorum nostrorum ad fortilicia, in casu necessitatis, et in fatiendo alia que videntur necessaria dictis nostris Castellanis, pro bono, custodia, et conservatione dictorum locorum nostrorum declarando dictis Castellanis quod accipiant dictos equestres qui sint homines habentes familiam, et quod sua familia veniat ad habitandum in locis predictis.6



Questo è il primo dei rari documenti riguardanti l’insediamento di albanesi nella fortezza di Corone,  Agli albanesi addetti all’agricoltura, insediatisi nelle pianure non distanti di Navarino non era permesso di soggiornare entro le mura del caposaldo veneziano.

 Il consiglio dei Savi agli Ordini, ordina ai castellani di Corone e Modone di assoldare  cavalieri albanesi già in possesso di cavallo che difendano i territori circostanti le fortezze. A questi albanesi è permesso abitare nei pressi delle fortezza con le proprie famiglie.

Ma alla Serenissima non bastava solo ripopolare e rendere floridi i suoi possedimenti in Grecia, essa ritenne opportuno, essendo dispendioso assoldare truppe di terra provenienti dall’Europa, per la difesa e quindi per la sopravvivenza delle suindicate colonie, reclutare truppe indigene e greco albanesi quest’ultimi ormai numerosissimi in Morea. Negli Annali Veneti del Provveditore Generale Stefano Magno, vengono numerati nel 1453 nel Peloponneso ciraca 30.000 Albanesi.7

 A tal proposito c’è un documento che ci informa riguardo i contatti che la Repubblica, attraverso il Provveditore Generale della Morea, Jacomo Barberigo intraprese con i maggiori capi degli Albanesi in Morea e nel Braccio della Maina:

Jacomo Barberigo

Provveditore Generale della Morea

Dispacci di Guerra di Peloponneso

1465 – 1466

Illustrissimo Princeps. Per ultimas meas, quas his replicatas ad Excellentiam Vestram mitto, significavi meum huc appulsum, et quicquid usque scribendum existimavi; per has autem Celsitudini Vostre significo me odio accessorum in campum pro dando expeditionem scriptioni Startiotorum restantium, Solicitavi quantum plus potui Petrum Bua et Alexium Bua, et duo alia capita Stratiotorum Albanensium, ut in campum profiscicantur; heri scribi feci eorum,  conductus me presente, quas auxi de aliquibus Stratiotis , et cum paga eos ac hora exercitum misi: habent Stratiotos circa 250. (…………). Spero equidem hos Albanenses vicinos his partibus tenere tota hac hieme cum modica expensa vestri dominii, per eaque habere potui. Dominatio vestra in tota hac Morea in diversis partibus, cum his qui sunt de  conducti, habent Stratiotos circa 1500 8.



Il Provveditore Barberigo scrive ancora a Venezia, questa volta in dialetto veneziano:

La spesa de questi Stratioti albanesi è bona per alcuni valenti homeni, ma per quelli sono scripti  sotto loro ne la gran conducte, non he bona perché quelli con dificulta se pono tenir in campo; preterea ne sono molti occupati in guardia de forteze, et passi, zioe con miser Michieli Ralli de le bande di Chiarenza et col Prothostatora et altri verso Napoli, che de 1500, non ce ne sono in campo ultra 500 Stratioti. Unde necessario e la provision vegna de Veneixia, et presto.

Deli Stratioti dela Illustrissima Signoria Vostra che sono in queste parte, ge sono alcuni valentuomini, et tra gli altri el conte Megara, el quale di prudentia proibita et animo al mio iuditio e excellentissimo.9



In questo caso ci sono da evidenziare alcune considerazioni molto rilevanti:

1.      Gli Albanesi assoldati, come scritto sopra, sono molto meno dispendiosi in termini economici degli altri mercenari europei;
2.      La loro fedeltà alla Repubblica non può essere soggetto a critiche sfavorevoli, quindi è ineccepibile;
3.      Gran parte dei capi Albanesi fa parte della casta dei feudatari che già dal IV secolo si stabilirono in questi territori. Riguardo tale tematica si tratterà in un altro scritto, essendo essa vasta e non riguardante solo la loro posizione nei possedimenti veneti in Grecia.

Molti greco albanesi del Braccio della Maina e dei vari “catune”( villaggi), soprastanti Calamatà e le alture delle Palamidi, nei pressi di Napoli di Romania, principalmente di estrazione contadina chiedono di essere reclutati tra le fila degli Stradioti.

Barberigo informa Venezia:

“Le in questa provintia molti principal Grexi et Albanesi, tuti dimande el viver, et provision, et chel va per anni 3, che iserve de bando son poveri et contadini et non ha con che sustentarse, et in parte dixe el vero, ne el etiam si Greci come da catune de Albanexi che tuti dimande denari; a tuti Serenissimo Principe, don bone parole, et prometto che conquistando questo paexe, come ha da sperar in la gratia de Dio, la Vostra Signoria remunera tuti i suoi servitori.10



Ma il Provveditore fece una selezione decidendo chi arruolare o meno come stradioti:

“….et è una spexa butada via quella se fa ne la mazor parte di loro, perché iservino male, et tuti altri coreno per essere Stratioti, et li acceptando, fanno delle cosse maco che ben facte”.11



Riguardo i dissensi tra i Greci e gli arconti Albanesi Barberigo scrive al doge:

“…Tuti questi Albanesi, che sono reducti ad obedentiam de la Vostra Illustrissima Signoria hanno in tanto odio questi Greci che per neum modo volevano esser o governadi da quelli; Et essendo per tutto deputati Greci et Albanexi ad governation de castelli, et luoghi, tuto di venivano ad agravarsi ad me, dolendosi di essere a lor governo, dicendo che ringratiavano Dio, essere liberati di mano di Greci”.12





La mole del carteggio riguardante gli Albanesi nei possedimenti della Repubblica di Venezia è inesauribile, quindi ritengo, per non fiaccare il lettore, che questa piccola dissertazione documentata possa essere sufficiente ad esaudire i curiosi e ad allontanare i misoneisti. Venezia dominava anche su altri possedimenti minori, come l’isola di Egina, Tenos, Patmos, Andros, Spetza, Idra ecc…., ma negli archivi di queste poco è conservato, in quanto la loro amministrazione la Serenissima la attribuì in gran parte ai suoi aristocratici i quali non ebbero la diligenza dei provveditori o dei rettori che tutto compilarono.


Fonti:

1. La Voce dell’Arberia Blogspot.com

2ASV Cancelleria Secreta Reg.° 45, 1400-1401, c. 138.

3 ASV Reg.° 46, 1400-1405, c. 15, t.°)  e ( K. Satahas,  Documents inedits relatifs a l’histoire del Grece au Moyen Age Vol: IV pag 111).

4 ASV Cancelleria Secreta . Reg. 35-1424-1425, c. 113 e K. Sathas o.c. vol. III pag. 126.

5 ASV Cancelleria Secreta – Reg. 56, 1426 1428 c, 70, t.

6 ASV Reg°. 45, 1400 – 1401, c. 139 t°. e K. Sathas o.c. Vo.II pag. 96

7 A. Zakythinos, Le Despotat Grec de Moree, pag. 126. Paris 1932

8 Biblioteca Municipale Magnani Bologna ( Dispacci della Guerra di Morea vol.I) e K. Sathas o.c. Vol. VI pag. 6

9 K. Sathas o.c. Vol. VI, pag. 15.

10 K. Sathas o.c. Vol. VI pag. 25. e S. Dragoumes, Χρονικῶν τοὺ Μορέος τοπωγνομικὰ-τοπογραϕικὰ ίστορικὰ ("Studi storico-topografici sulle cronache di Morea"), Atene 1921.

11 K Sathas o.c Vol. VI pag 26.

12 K Sathas, o.c. Vol. VI pag. 27.

Foto Wikipedia
















2 commenti:

  1. Ottimo certosino lavoro di ricerca che premia una invidiabile passione innata a difesa di tesi più che convincenti su ipotesi di popolamento delle comunità arbreshe.A suffragio di contrastate e polemiche tesi resta un fatto eclatante nella povera letteratura orale delle comunità,l'emozionante canto dell'esule che ricorda la Morea,la fede e il rituale religioso.Tutti elementi che contrastano l'imperante dilettantismo di alcuni cultori delle tradizioni che operano nel settore folcloristico con voracità,premiata da ondate politiche.Evito di tirar in ballo la Chiesa,ormai ridotta a promuovere manifestazioni ecumeniche di dubbia finalità e condizionata da infiltrazioni esterofile molto nocive per le tradizioni locali.Complimenti sinceri.

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