giovedì 14 gennaio 2016

RIFLESSIONI SULLA “RILINDJA” ARBËRESHE

( di Francesco Cassiani)

 Con il termine “Rilindja” si individua quel movimento politico, intellettuale, letterario, sviluppatosi tra il diciottesimo ed il diciannovesimo secolo, promosso dai maggiori intellettuali arbëreshë, laici ed ecclesiastici, sulla scia dei movimenti politico – letterari che caratterizzarono il risveglio delle coscienze meridionali contro il governo oscurantista ed assolutista borbonico ed in linea con le nuove idee di libertà e di indipendenza che, investendo la vita letteraria, politica e civile, si andavano diffondendo per tutta la penisola, concretizzandosi in moti e sommosse a cui parteciparono cittadini appartenenti alle più diverse classi sociali, accomunati dalle stesse idee di libertà, democrazia e unità nazionale. Il movimento della “Rilindja”, inquadrato, quindi, in questo contesto di fermenti di nuove idee, contribuisce alla formazione di una nuova realtà letteraria e politica che, oltre ad aver attivamente contribuito al rinnovamento della cultura calabroalbanese adeguandola alle nuove tendenze letterarie nazionali ed europee, inserendola nel movimento romantico calabrese e nazionale, ed aver avuto parte attiva alla causa del Risorgimento, si interessò alle sorti della patria degli avi, ancora sotto il dominio turco ed oggetto delle attenzioni dell’impero austro- ungarico, che cominciava a rivolgere le sue mire alle regioni balcaniche; pertanto, fa notare Giuseppe Carlo Siciliano, “il movimento della “Rilindja” non nasce nella madre patria, ma fa capo, in un primo momento, ai gruppi intellettuali che sono espressione delle grandi comunità albanesi della diaspora e cioè alle colonie d’Italia, di Istambul, di Bukarest, del Cairo e di Sofia”. Importanza fondamentale per la diffusione delle nuove idee ed il consolidarsi del movimento della “Rilindja” ebbe certamente il collegio S. Adriano di S. Demetrio Corone, che, sotto la guida e l’impulso di Vescovi come Francesco Bugliari (a cui si deve il trasferimento del collegio da San Benedetto Ullano a S. Demetrio nel 1794) e Domenico Bellusci, si formarono quasi tutti i personaggi più illustri del firmamento intellettuale politico-patriottico del mondo arbëresh e che tanta parte ebbero per l’affermarsi della nuova cultura romantica e nelle vicende risorgimentali calabresi e nazionali. La figura centrale e preminente di questa nuova cultura fu sicuramente Girolamo De Rada, alunno prima e docente poi del S. Adriano, il più alto esponente della letteratura romantica arbëreshe e, come scrive F. Altimari “punto di riferimento della “Rilindja” politico-patriottica e culturale della diaspora”. L’opera del De Rada, così come le riviste da lui fondate, ebbero una vasta eco oltre i confini regionali e nazionale, sensibilizzando il mondo culturale europeo alla causa albanese. A questo proposito una menzione particolare merita la figura e l’opera di papàs Vincenzo Dorsa, quasi contemporaneo del De Rada, entrambi definiti da papàs Giuseppe Ferrari “I grandi apostoli dell’idea di un Albania libera ed indipendente”. Ma il Collegio di S. Demetrio fu anche perno (non solo per gli albanesi) per la diffusione delle idee risorgimentali, infatti tra le sue mura si educò una schiera di giovani che, infervorati dalle nuove idee di libertà ed unità nazionale che si andavano diffondendo per la penisola, parteciparono attivamente ed eroicamente alle vicende patriottiche e che serviranno anche da sprone per il risorgimento albanese. Per celebrare le gesta di questa schiera di “Eletti” cito alcuni versi tratti dal poemetto “Brezia” del 1899 di Ferdinando Cassiani: “ Fummo noi nella calabra tenzone Presso Campotenese Che sostenemmo la rivoluzione Dell’italo paese” ed ancora oltre “Fra noi nacque Toscano, il difensore Del Forte di Vigliena, Falcone, il leggendario lottatore, che con novella lena marciò per Sapri insieme a Pisacane e v’incontrò la morte, chè furon tutte le speranze vane della balda coorte. Mauro,Nociti, Damis, e Milano, pure nacquer tra noi, e con animo nobile e romano si mostrarono eroi”. Ma oltre ad essere stato un movimento di rinnovamento la “Rilindja” rappresentò anche un movimento di rivalsa e riscatto civile di una minoranza etnica dalle angherie ed umiliazioni subite dai signorotti e nobili indigeni e da parte di certo clero e contribuì alla sua definitiva integrazione nella realtà italiana ed alla conseguente partecipazione alla formazione dello Stato che si andava delineando, rafforzando, nello stesso tempo, “il concetto di appartenenza ad una propria individualità etnico-culturale, che fino a quel momento si era identificata nell’elemento religioso e rituale”
. Scrive Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro: “Che cosa ha spinto queste popolazioni a riporre da parte la loro condizione di minorità e quindi di misurarsi con i grandi appuntamenti della Storia d’Italia? Sicuramente le cause sono da ricercare nelle condizioni di vita disumana che dovettero condurre fin dal loro primo insediamento nell’Italia meridionale, dove stagnante ed ancestrale di presentava il regime feudale”. Alla luce di quanto sopra, si potrebbe quindi affermare che il processo della “Rilindja” individua il “Rinascimento” politico, culturale e civile di un popolo dopo un oscuro periodo “medioevale” che cominciò a schiarirsi con l’Istituzione del Collegio italo- albanese il cui ruolo, come scriveva il già citato papàs Ferrari fu fondamentale anche “per combattere l’ignoranza ed impedire il pericoloso addormentarsi delle coscienze dei profughi”. Fortunatamente questo pericolo, almeno per il momento, sembrerebbe scongiurato, grazie alla “seconda Rilindja” che, come si legge nell’introduzione all’opera “Antologia degli autori frascinetesi” di Caterina e Giulia Adduci ( Comune di Frascineto 2009) è “tesa a richiamare l’attenzione sulla questione arbereshe per dare ad essa nuova linfa vitale”, da qui, proseguono le suddette autrici, “l’attività di rivitalizzazione culturale legata all’associazionismo e ad intense campagne divulgative supportate da riviste specializzate”. E’ auspicabile, quindi, che il concetto di “Rilindja” possa continuare a consolidarsi cosicchè il vessillo del Castriota possa continuare a sventolare nel cuore di tutti gli arbereshe.


 Francesco Cassiani

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