domenica 15 aprile 2012

Le leggi eversive della feudalità

Convento dei Domenicani a Firmo (CS)
Di Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro



Le province meridionali del regno di Napoli furono l'ultima roccaforte del sistema feudale nell'Europa Occidentale.
All'avvento della  Repubblica Napoletana, nonostante i tentativi operati in precedenza dal riformismo carolino, la situazione nelle province dell'Italia meridionale rimase immutata rispetto a quella del XVII secolo.
A sostegno dell'azione eversiva della feudalità, la Repubblica, in 26 articoli aveva proposto la "Dichiarazione dei diritti e doveri dell'uomo, del cittadino e dei suoi rappresentanti e un "Progetto di Costituzione" composto da 421 articoli raggruppati in 15 Titoli. Per la sua breve durata, il Governo Provvisorio non potè proclamare la Costituzione, nè potè procedere all'abolizione della feudalità. La reazione borbonica annullò tutte le leggi emanate dalla Repubblica Napoletana, salvo quella riguardante la soppressione dei fedecommessi. I baroni laici ed ecclesiastici rientrarono in possesso dei loro feudi, continuando ad esercitare indisturbati perangherie ed incredibili abusi. Ma tanta crudele ed ostinata reazione non produsse variazioni di intensità e di estinzione delle idee dell'Illuminismo, fondamenta del pensiero liberale, forza motrice del processo per l'abolizione della feudalità. Degli abusi e delle indescrivibili angherie dei baroni, ecclesiastici e laici, chiare sono le testimonianze che ci vengono riportate da Davide Winspeare nella sua opera, " Storia degli abusi feudali": "..in alcuni feudi i vassalli erano soggetti a capricciose tasse, e talvolta obbligati a lavorare per un determinato numero di giorni gratuitamente pel Barone; in altri luoghi diverse servitù personali erano state cangiate in prestazioni pecuniarie. I Baroni poi avevano generalmente il diritto di percepire sui terreni dei loro feudi una porzione del prodotto, che talvolta era della decima parte, ed alcune volte si estendeva sino alla quinta. Essi godevano inoltre il diritto del pascolo, nè il contadino poteva seminare il terreno che un determinato giro di due, di tre e talvolta anche di sei anni. Le acque dei torrenti appartenevano esclusivamente ai Baroni, ed essi solamente potevano avere molini, come pure forni ed alberghi. Di più in molti luoghi avevano imposto pedaggi pel transito che si faceva alle barriere de' feudi. Eranvi quasi da per tutto latifondi che denominanvansi demanj, ed in questi aveano diritti misti di pascere, si seminare, di legnare tanto i Baroni che gli abitanti de' feudi. La giustizia criminale, e in parte quella civile era esercitata in nome de' Baroni, ed erano appunto Baronali la maggior parte delle terre e delle città del regno. Questo sistema feudale rendeva i Baroni comunemente ricchi e spesso prepotenti, senza invidia dell'autorità regia". Altro esempio di tali esacerbate angherie, questa volta perpetrate dal baronato ecclesiastico, ci viene riproposto dal rapporto fra i PP. Domenicani e la popolazione albanese di Firmo ( CS) in un documento del 1775: "......la popolazione suddetta è obbligata oltre li carlini tre a fuoco ( famiglia), a pagare a detto Venerabile Convento altri due carlini a fuoco, una gallina, due uova ed una giornata di fatica".
Con la riconquista francese del regno di Napoli, Giuseppe Bonaparte con la legge n.130 del 2 agosto 1806 aboliva la feudalità. Da tale legge riporto gli articoli più significativi:
art.1: La feudalità con tutte le sue attribuzioni viene abolita;
art.2: Tutte le città, terre e castelli, non esclusi quelli annessi alla Corona, abolita qualunque differenza, saranno governati secondo la legge comune del Regno;
art.5: I fondi e rendite , finora feudali, saranno, senza alcuna distinzione, soggetti a tutti i tributi;
art.6: Restano abolite, senza alcuna indennizzazione, tutte le angarie, le preangarie, ed ogni altra opera o prestazione personale, sotto qualunque nome venisse appellata, che i possessori dei feudi per qualsivoglia titolo soleano riscuotere dalle popolazioni e dai particolari cittadini;
art.7: Tutti i diritti proibitivi restano egualmente aboliti senza indennità...
art.8: I fiumi, abolito qualunque diritto feudale, restano di proprietà pubblica...
art.15: I demani che appartenevano agli aboliti feudi, restano agli attuali possessori. Le popolazioni conserveranno ugualmente gli usi civici, e tutti i diritti, che attualmente posseggono su dei medesimi, fino a quando di detti demani non ne sarà con altra nostra legge determinata e regolata la divisione proporzionata al demanio e diritto rispettivi. Intanto espressamente rimane proibita qualunque novità di fatto;
Davide Winspeare
 art.19: I suffeudi restano parimenti aboliti...ma qualunque prestazione suffeudale, che soleano pagarsi ai possessori dei feudi principali, saranno conservate col carattere di censi riservativi, soggetti però ad essere ricomprati in danaro per lo giusto prezzo da valutarsi.Con la legge del 23 ottobre del 1809 si giunse infine alla istituzione dei Commissari incaricati della liquidazione degli usi civici e con legge 588-589 del 10 marzo del 1810 si davano disposizioni ai Commissari ripartori circa la divisione dei demani comunali. Fra i più importanti membri della Commissione feudale vanno ricordati il napoletano Davide Winspeare e l'italo albanese Angelo Masci.
Gli usi civici delle popolazioni sui territori vennero distinti in tre categorie e adottate in base ai criteri delle commissioni feudali: usi civici essenziali (diritto di pescare, acquare, legnare, pernottare, erbare ecc..); usi civici utili (raccolta di ghiande, di giunchi, di legna secca ecc.); usi civici dominicali erano infine quelli che davano la possibilità alle popolazioni di usufruire dei frutti e al dominio del fondo.
I terreni appartenenti ai Comuni ( ex Università), sia nella qualità di demani originali propri ( demani universali), sia assegnati come demani feudali, venivano distinti secondo l'uso cui potevano essere destinati. Si prevedeva, infatti, per i terreni suscettibili di essere coltivati, la quotizzazione e relativa assegnazione alle famiglie contadine prive di ogni bene rustico e che davano garanzie di poterli coltivare. Tale assegnazione si doveva legalizzare attraverso un contratto di enfiteusi, prevedendone il riscatto da parte dell'assegnatario, allorquando si fossero apportati i miglioramenti previsti nell'atto di concessione.
Tutto ciò, però, non trovò piena e pronta attuazione e fu solo dopo la unificazione dell'Italia che i governanti, nella speranza di accattivarsi la simpatia delle popolazioni meridionali così gravemente raggirate, cominciarono a promuovere la individuazione dei demani e qualche lieve quotizzazione in altri luoghi dove lo strapotere baronale ancora resisteva.

Bibliografia essenziale:


Annali d'Italia dal 1750 compilati da A.Coppi; Tomo IV dal 1803 al 1810. Roma 1829 Presso libreria Moderna via del Corso n.348;
Le idee dell'Illuminismo nel pensiero degli Italo Albanesi alla fine de XVIII secolo. Vittorio Elmo, Marco Editore 1992;
Davide Winspeare, Storia degli abusi feudali, Tip. Trani Napoli 1811.





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