sabato 9 marzo 2013

Straordinario documento del Professor Italo Sarro riguardo Giorgio Castriota Skanderbeg


Riceviamo dal prof. Italo Sarro e volentieri pubblichiamo questo importante documento riguardante Giorgio Castriota Skanderbeg.
Il contributo del prof. Sarro è stato pubblicato nella pregevole rivista HYLLI I DRITES, n° 3/2010, pag. 147 e segg.

Discorso di Giorgio Castriota Scanderbeg ai Principi albanesi e ai Rettori veneziani e epistolario con i sultani di Costantinopoli.
Nel 2005, fu tenuto a Napoli, promosso dal solerte e instancabile, prof. Italo Costante Fortino, docente di Letteratura albanese presso l’Università degli Studi “L’Orientale” di Napoli, un convegno internazionale su Giorgio Castriota detto Scanderbeg.

Nel corso degli intensi lavori, gli illustri relatori hanno avuto modo di delineare, per sommi capi, data la tirannìa di un convegno “mostruoso” per numero e per altezza dei partecipanti, solamente alcune attività dell’eroe albanese, riservando alle relazioni, poi confluite in uno splendido volume, una più diffusa analisi della complessa figura di un personaggio, che non mi sembra abbia per le genti albanesi di Albanìa il medesimo fascino e la medesima importanza che ha per noi arbëreshë. La sua leggendaria figura significò e significa per noi un segno di passata grandezza e di prestigio, ma anche l’inizio della nostra miseria di esuli in una terra dove fummo accolti, sia pure con tanti distinguo, dagli ormai nostri fratelli italiani.
Nel volume, una volta avvenuta la pubblicazione, ho cercato invano tra le relazioni un qualche accenno a eventuali rapporti intercorsi tra Scanderbeg e il Sultano, perché mi sembrava strano che i canali di informazione si fossero bruscamente interrotti, allorché il primo prese la clamorosa decisione di dare inizio alla lotta, che, da privata, diventò, ben presto, nazionale.

Un fugace accenno a una lettera del Castriota, peraltro senza indicazione della fonte, è contenuto nella relazione di P.F Bruni, che si serve di essa solo per sottolineare la conversione del nostro eroe al Cristianesimo.
Per un po’ di tempo la mia curiosità sulla fine di un’amicizia, restò del tutto inappagata, anche perché Scanderbeg, avendo trascorso ben 38 anni della sua vita nella capitale dell’Impero, dove aveva raggiunto posizioni di vertice nella gerarchia militare, non poteva non avere avuto rapporti se non di fratellanza, certamente molto stretti con esponenti della famiglia imperiale.

Ora, nell’ambito di una ricerca, che concerne la prima presenza albanese in Italia e l’insediamento di Albanesi sul fianco sinistro del medio Crati (S. Benedetto Ullano, Rota Greca, S. Martino, S. Giacomo, Cerzeto, Cavallerizzo, Mongrassano, Serra di Leo, Cervicati e Santa Caterina Albanese), frequentando alcuni archivi, il che mi permetterà di dare con due libri (Il primo dal titolo Insediamenti albanesi nella valle del Crati è stato pubblicato in questi giorni), un contributo, mi auguro sostanzioso, alla conoscenza della nostra esistenza in terra italiana, necessariamente, mi si è posto il problema dei problemi: la data dell’arrivo di quella che, per lungo tempo, è stata definita la prima immigrazione, quella guidata da Demetrio Reres.
Ebbene, sull’argomento, ho raggiunto la convinzione che gli arrivi non possono avere per tanti motivi una data precisa, perché si verificarono nel corso del ‘400, del ‘500, del ‘600, del ‘700 e dell’800. Lanciatomi sulle tracce di Reres, ho dovuto accantonare, per il momento, la ricerca, perché le fonti sono tremendamente avare.

L’archivio, però, come sanno tutti coloro che lo frequentano, non rimanda nessuno a mani vuote e così, cercando Reres, mi sono imbattuto in un fascicolo contenente lo scambio epistolare intervenuto tra il Principe degli Albanesi e il Sultano poi Imperatore di Costantinopoli nel 1444, nel 1461 e nel 1463 e il discorso rivolto dallo Scanderbeg ai Principi albanesi e ai Reggenti veneziani.
Il materiale, custodito presso l’Archivio Segreto Vaticano, Arm. II, Miscellanea, fu allestito, si presume, per il Santo Padre, certamente, dopo il 1463. In esso hanno trovato collocazione carte, che delineano meglio la vicenda, prima di tutto, politica, ma anche umana di Giorgio Castriota, che prese una decisione così grave di conseguenze per sé e per il suo popolo. Le lettere trascritte sono la libera traduzione di quelle riportate da Barlezio nella Vita di Scanderbeg, perché date e contenuti coincidono. L’ignoto estensore, però, rielabora e mescola, a volte, in modo arbitrario, questi ultimi, che collega con un filo narrativo. Esse sono costituite da:
1. discorso di Giorgio Castriota Scanderbeg ai Signori albanesi e ai Rettori veneziani, anno 1443, c. 642r-643r;
2. lettera di Amurat a Giorgio Castriota Scanderbeg, 16 giugno 1444, c. 643r-645r;
3. lettera di Giorgio Castriota Scanderbeg a Amurat, 14 luglio 1444, c. 645r-648v;
4. lettera di Maumet a Giorgio Castriota Scanderbeg, 2 maggio 1461, c. 649r-650r;
5. lettera di Giorgio Castriota Scanderbeg a Maumet, 30 maggio 1461, c. 650v-652r;
6. lettera di Maumet a Giorgio Castriota Scanderbeg, 22 giugno 1461, c. 652r-653r;
7. lettera di Maumet a Giorgio Castriota Scanderbeg, 7 maggio 1463, c. 653r-654v;
8. lettera di Giorgio Castriota Scanderbeg a Maumet, 25 giugno 1463, c. 654v-657v
Il discorso ai Principi e ai Reggenti veneziani, ma, soprattutto, ai primi, ricapitola l’oggetto del contendere e, soprattutto, mette in evidenza ciò che era sotto gli occhi di tutti. Da una parte vi erano i Turchi, ferocemente avversi alla religione cattolica i cui adepti venivano perseguitati continuamente; dall’altra stava l’”Atleta di Cristo”, così si definisce, che rivendicava con orgoglio il fatto incontrovertibile di essere tornato in possesso dei suoi beni e di avere costretto, da solo, gli usurpatori alla fuga e al silenzio.


I risultati raggiunti, avvertiva il Castriota, non significavano la fine delle ostilità, ma solo il loro vero inizio, perché i Turchi torneranno in forze e si scaglieranno contro l’unico che finora li ha contrastati così duramente. Se, malauguratamente, dovessero prevalere, avrebbero la strada spianata per investire con tutto il peso e la forza del loro esercito tutti, indistintamente.
Non era proprio il caso di tergiversare e di sottovalutare la gravità della situazione. Non restava che stringere con un’alleanza le loro sorti, per poter sperare nella salvezza. Se qualcuno, però, non fosse disposto a una scelta di campo così rischiosa, reputando per lui più conveniente stare in pace con il Turco, ebbene questi era pregato di starsene in disparte, non dando aiuto al Turco e non ostacolando il movimento delle truppe albanesi, perché la lotta che stava per iniziare non avrebbe fatto prigionieri.
La restante documentazione, 4 lettere del sultano dirette a Scanderbeg e tre dell’eroe albanese in risposta, pur obbedendo ai canoni che la diplomazia imponeva, costituisce uno scambio feroce di dichiarazioni, sebbene ammantate pudicamente con uno stile educato e pulito, quasi mellifluo. Ogni lettera ha inizio con formule di cortesia e finisce a randellate. Ognuno dei contendenti sa che la partita è mortale, perché entrambi dai loro rispettivi punti di vista hanno qualcosa da obiettare.
Il Turco le prova tutte e partendo dalle lodi e, in un certo senso, dal riconoscimento di qualche buon diritto arriva a proposte che sono del tutto inaccettabili, come quella in cui chiede a Giorgio, in nome della vecchia amicizia, per un' irrefrenabile voglia di abbracciarlo, di recarsi da lui oppure quando gli chiede come garanzia il figlio Giovanni.
La risposta del Principe degli Epiroti, come viene sarcasticamente chiamato in segno di disprezzo dal Turco, non si fa attendere. Egli, prima, ironicamente, lo sollecita alla conversione al Cristianesimo nel qual caso egli diventerebbe un suo umile e fedele servitore e, poi in modo sempre più sprezzante e insultante, gli ricorda che lui non è quello che pensa di essere e cioè padrone dell’Oriente e dell’Occidente.

c. 642r
Oratione del sig.r Giorgio scandaribech Principe d’Albanìa a ss.ri Albanesi, et à Rettori Venetiani, fatta in Alessio Città d’Albanìa all’hora suddita al Dominio Veneto.

Mag. (nifi)ci sig.(no)ri Padri onorandi. Non dubito che à Voi sia cosa notissima con quanta inimicitia et odio li Turchi perseguitino la fede nostra Christiana santissima, et quanto siano inimici d’ogni virtù, et specialmente che mai non ossirvano la fede promissa, et s’havessero possanza mittirebbero tutti li principi Cristiani à fil di spada, come per (c. 642v) esperienza qualche volta s’è visto quando Iddio per li nostri peccati hà loro permesso.
Pure per la gratia del vero et omnipotente Dio io hò discacciato gli usurpatori dello stato paterno, et hò tagliato à pezzi tutti li Turchi che m’hanno voluto resistere; et appresso ancora hò acquistato tutto quello che il S.r Turco possedeva nell’Albanìa come è manifesto à ciascuno.
Per il che Le V.(ost)re Ecc.(ellen)ze possono tener per cosa firma che quel Cane rabbioso si sforzerà contra di me operare ogni possanza, et mi sarà subito adosso; et se per sorte, il che Dio non voglia, mi superasse verrà immediate alli danni vostri; Però conforto le V.(ost)re Altezze, et le priego che per l’amor di Dio et della nostra Fede santissima, doppo per ogni debito di charità si degnino
(c. 643r) unir meco le lor forze, et se non gli paresse di far questo per esser così in pace col Turco, le prego sommamente che gli piacesse starsi da parte, non dando al Turco aiuto, ne à me impaccio, et di questo si degnino darmi benigna risposta, perché spero in ogni modo difendermi con la destra della Maestà Divina da un tanto Tiranno.

Amorath Principe de Turchi manda un suo Ambas.(ciato)re à scandaribech con una l.(ette)ra di questo tenore nel 1444.
Scandaribech per questa mia io Amorat Beg Imp.re di tutto L’Oriente non posso salutarti poco né molto per essermi diventato nemico (c. 643v) capitale, et tanto ingrato, io con quello amore che verso il proprio figliuolo si costuma t’hò allevato, et cercato sempre farti honore, et tu à questo modo ti sei da me ribellato, et m’hai fatto tanti danni, quanti tu stesso sai, et à tutti gli altri sono manifesti,
Né posso sapere donde questo sia proceduto se già on ti fosti meco sdegnato, perche così subito non t’hò restituito lo stato del Padre tuo, overo perche tu hai sempre avuti in fantasia di rinegar la fede del profeta Maumeth, et ritornare come hai fatto, alla fede Christiana in perditione dell’anima tu; certamente s’io havessi saputo questo tuo desiderio harei fatto quanto m’havesti domandato, che tu sai bene come spesso dir ti solevo volerti (c. 644r) compiacere in ogni tua richiesta, perche io ero forzato per le tue rare virtù amarti più che alcun’altro. Adunque sapendo tu che io avevo promesso restituirti frà poco tempo il tuo stato paterno, et havendo tu fatto contra il dovere sei per certo degno di riprensione della disgratia mia.
Nondimeno quando considero le virtuose opere, che per il passato facesti in favor mio, et conservatione dello stato mio sono quasi costretto à mitigare la mia ira verso di te, et così voglio consentire che tu possedi liberamente lo stato, che per heredità ti s’aspetta, con questo patto che tu mi restituischi quella parte d’Albania, che d’altri che da tuo Padre habbiamo acquistata, la quale contra ogni dovere m’hai cosi spogliata et la possiedi (c. 644v) contra mia voglia; Imperò mettiti in animo di restituirmela, altrimenti ti giuro per Dio per il suo Profeta Maumeth, per l’anima del Padre mio, et per la spada mia, che volgerò ogni potere contra di te, et scacciarotti da quel Paese à tuo dispetto, et se bene scamperai forsi la vita sarai forzato gir mendicando.
Tu sai pure, che oltra ogni possanza mia io posso mettere in campo più di cento cinquanta milia combattenti, et tu havendo pochi soldati non sei mai per resistermi. Questo ti dico perche non vorrei danneggiarti, et t’hò posto inanzi agli occhi il bene, et il male, à te hora stà il pigliare quello che più ti piace; et al portatore et Ambasciator mio Airadin servo darai piena fede, perche ogni (c. 645r) cosa, che à bocca ti dirà sarà di mia commessione . D’Adrianopoli à di 16 di Giugno 1444.
Havendo letto scandrabech questa lettera, et udito L’Ambasciatore del sig.r Turco gli fece carezze, et honore, et doppo cinque giorni espedì il detto Amb.(asciato)re et gli dette una l.(ette)ra responsiva del seguente tenore.

Giorgio Castriota altre volte chiamato scandrabech Principe d’Albanesi manda infiniti saluti all’ Ill.(ustrissi)mo Amorath beg Principe delli Turchi per Ariadin servo et Ambas.r suo.

Hò ricevuto la lettera, nella quale per buon principio tu dici non poter darmi né poca (c. 645v)
né molta salute, onde per risposta ti dico che se bene paresse per quello è stato conta di te operato ch’io fossi nemico tuo quando si poetesse con ragione conoscere, io stimo certamente, che sarebbe più tosto giudicato che io ti fossi amicissimo; et in segno di ciò ti dico che alcuna cosa non è al Mondo possibile à farsi, la quale io non facessi per amor tuo,pur che non fosse contra il voler divino, et di questi sempre ne potrai far la prova, perche io pretendo esserti amico. Ma s’io hò ricuperato la libertà con lo stato paterno non credo in modo alcuno haverti ingiuriato, appartenendosi à me solo, et non à te, oltre che se li Turchi tuoi soldati, che stavano in quella parte d’Albania, la quale tu possedevi vicino al Paese mio sono venuti con armata (c. 646r) mano ad affrontarmi; et s’io come meritavano gli hò tutti superati, et così acquistatami tutta quella parte, la colpa nuovamente non è stata mia, ma di loro, overo di chi gli hà spinti contra di me.
Et di più s’hò rotto il tuo esercito, che venne con Alibeg Bassà tuo non credo haver fatto contra il dovere, essendomi difeso dale mani di quelli che ffender mi volevano; et in somma s’io hò lascaiata la falsa fede di Maumeth, et sono ritornato alla vera fede di Giesù Cristo, Io tengo per certo haver eletta la miglior parte; perche osservando li suoi santi precetti io son certo che l’anima mia sarà salva, et non come tu dici perduta; Imperò ti prego, che per la salute dell’anima tua ascolti ancora da me un’ottimo consiglio (c. 646v)
Piacciati adunque leggere L’Alcorano cioè il raccolto delli precetti divini, ove potrai facilmente scorgere chi di noi sia in errore, et così hò speranza se tu vorrai dirittamente considerare che vinto dalla ragione ti sottometterai alla sacrosanta Fede Christiana, nella quale sola tutti gli huomini, che salvarsi cercano si servano, e fuor di quella ogn’altro si danna. Dio volesse che tu ti lasciassi illuminare dallo spirito santo suo, et che tu venissi al santo battesimo, et cominciassi à vivere da Cristiano, che all’hora haverei caro vederti il maggior Principe del Mondo, et esserti, come già sono stato buon’amico et fedel ser.(vito)re del che in buona parte ti puoi accorgere per questo mio confortarti. onde ti (c. 647r) concludo senon ostante l’essermi da te difeso ti sono amico, et ti prometto se fai quello à che ti conforto, cioè se ti farai Cristiano, ch’io ti restituirò non solamente quella parte, che mi domandi, ma ancora cioche io tengo al Mondo, et si sarò sempre buon ser.(vito)re altramente renditi conto che io non posso far per più ragioni quanto mi scrivi, et massime perche li Turchi non sono mai d’accordo con li Cristiani, et con loro sono molto cattivi vicini, onde non voglio mettermi à pericolo di perder quello, che Dio m’hà concesso, et non pigliar di questo ammiratione perche io hò ragione, et non tu di possider quello, ch’era de Cristiani. Quanto al Padre mio non aspettassi et di ragione à me tocca come Cristiano (c. 647v) havendolo giustamente acquistato con l’armi in mano; Questo ancora ti dovrebbe confortare al farti Cristiano, perche la possessione delle Terre, et il governo appartiene ai Cristiani, et non agl’Infedeli, Donde che di nuovo ti priego, che ti battezzi perche altrimenti io t’anderò continuamente perseguitando et spero acquistar più presto cio che tu usurpi delli Christiani, che haverti a rendere un palmo di Terreno.
Quanto al giuramento che hai fatto di cacciarmi dal mio paese, et che senon sarò ammazzato sarò almeno costretto d’andare per l’altrui mercede, et che mi farai mal contento. A questo ti dico che quando io non fossi Cristiano non haverei ardimentosi farti risposta; (c. 648r) ma riportandomi alla volontà di Dio, il quale tiene et governa tutti li Regni, ti dico che hò ferma speranza difendermi dalle tante forze, con le quali m’hai minacciato: ma tu dovresti pur sapere che la vittoria non consiste in numero di gente, ma nell’haver prima Dio et la ragione del suo, dopo nella virtù degli animi, et nel sapere del Capitan et se noi sino adhora havemo havute le parti sopradette, credevo pure che dalle tue genti ne fossi stato informato più volte; Però ti replico che le tue dolci passioni, et le tue crudeli minaccie non mi sono per muover; ma quando ti facesti Cristiano sarei all’hora forzato di far quanto desideri; et con tutto ciò prometto à Tua Ecc.(ellenz)a di non fare (c. 648v) alcuna mossa se quella di già in prima non mi molestasse, et à quella quanto che gli sia in piacere humilmente mi raccomando. Dal campo à XIIII di Luglio 1444 vedendo Maumeth non poter ottinere L’intento, et desiderio suo contra Scandrabech si deliberò esperimentare se almeno potesse ingannarlo per alcun modo; dunque s’ingegnò di chiedergli pace acciò senza tale stimolopotesse procedere contro altri Sig.ri et insignorirsi delli stati di quelli, et così mandò un’Ambasciatore con un l.(ett)ra, et con gran doni di prezzo oltre li panni d’oro, e di seta ò scandrabech, il quale con ottima ciera ricevette L’Ambasciatore con la l.(ett)ra del seguente tenore (c. 649r) Maumit beg àmire sultan Imperatore de tutele parti del Mondo dell’Oriente, dell’Occidente à scandrabech mag.co molta sanità: Sappia la tua Magnificenza, che non ostantele tante offensioni, che facesti contra la Casa nostra et lo stato di quella quando mi vengono à memoria, et considero le fatiche et gli atti eccellenti,che tu hai operato sempre con tanta fede per consirvatione et augmento et gloria dello stato nostro essendo in ostasio (ostaggio) all’obedienza del Padre mio Amorath mangiando tu il pane di quello in Andrinopoli; et più eri amato, et honorato nella sua Corte, che qualunque altro sangiacco, Bassà et benemerito di Casa nostra non posso fare, che non mi scordi (c. 649v) de tutte le predette offensioni. Sappi adunque che ho deliberato perdonarti ogni ingiuria, et darti la gratia mia, et far teco ottima pace con questa conditione che tu debbi permettere, che le mie genti possano passare sicuramentenel Paese tuo per andare à far danno nel delli miei nemici Venetiani, et per questo io ti concederò, et donerò con plenaria ragione quello che tu possiedi in Albanìa; che già era dela ragione del q.(quondam) mio Padre, et da qui inanzi ti chiamerò principe degli Epiroti facendoti ogni bene, utile, et honore possibile. Voglio ancora in pegno di quella pace, che tu mi dii Giovanni tuo figliuolo, il quale io tratterò sempre come fosse mio proprio figliuolo, (c. 650r) et appresso perche io desidero vederti in faccia per il gran contratto già lungo tempo, Piacciate dunque venir personalmente à trovarmi, et darmi tal consolatione, che Dio vedrà il grande accetto et honore ti farà la mia Maestà. Vorrei ancora che fosti contento, che li Mercadanti del mio Impero potessero venir sicuramente per lo stato della Magnifecienza tua, perche ancora io farò similmente, che li Mercadanti dello stato di quella porranno per ogni mio luogo passar sicuri; et à Mustafà servo et Ambasciator mio portator della presente darai ogni fede, perche quello ti dirà à bocca tutto sarà di mia propria comissione. Di Costant.(inopo)li alli 2 di Maggio 1461.
(c. 650v)
Letta questa lettera fece bocca da ridere, doppo parlò à bocca lungamente con quello Ambasciator Turco, et per quello med.mo riscrisse al Tiranno in questo modo.
L’Athleta di Giesù Cristo Giorgio Castriota altre volte scandrabech principe degli Epiroti, et Albanesi al Principe delli Turchi ser.mp Maumeth dice molta salute.
Per l’Ambasciatore con la l.(ette)ra tua hò inteso la mente di tua Ecc.(ellen)za alla quale per soddisfare rispondo; et dico prima che gl’Incliti Venetiani oltre ogni amicitia, che sia tra noi, per la quale riputiamo qui li stati nostri una cosa med.(esi)ma sono tanto da bene, buoni Cristiani, et osservatori della fede promessa. Che quando ben non fusse (c. 651r) altro obligo della fede nostra Cattolica sotto pena d’escomunicatione maggiore che cristiani, io per l’antidetta bontà; et virtù sue mai potrìa dar luogo à questo primo capitolo, poiche non sono ritornato alla fede vera nostra per entrare in contesa, et nuocere à chi è fedele.
Quanto à quello che tua Altezza dice volermi dà qui inanzi chiamarmi Principe dell’Epiro, quello non mi fa voglia, perche farai ragione nominarmi di quel titolo, che Dio m’ha donato per sua gratia, et per honore de suoi battezzati.
Quanto che la tua sublimità dimanda Giovanni mio figliuolo unico ch’è solazzo di sua madre, né questa cosa (c. 651v) potrìa patir io non havendo altro germe sin’adhora m’intenerisco né ti sò dare alcuna risposta.
A quello che tua serenità dice volermi corporalmente per l’amore già lungo tempo contratto, dico ancor’io che se fosse cosa che farsi potesse senza pericolo, farei subito certamente; Ma già che la Maestà di Dio hà così ordinato farmi absente talmente, io stimo che così come basta à me, così basterà all’Altezza tua di vedermi, et contemplarmi con gli occhi mentali.
A quella in ultimo, che sarìa molto contenta, che le Mercadanti di qua et di là potessero passare per tutto sicuri sono contento farti la pace e concluderla con questo ultimo, (c. 652r) et m’offerisco ad ogni cosa giusta, et honesta sempre alli commandi di quella alla quale sempre mi raccomando, et L’Ambasciatore supplirà à bocca quello che manco nello scrivere. Dal Campo nostro à dì 30 di Maggio 1461.
Espedita da scandarbech la lettera soprascritta, L’Ambas.(sato)re si partì, et portò quella al gran Turco; Doppo per comandamento di quello in termine di giorni 40 riroenò à scandrabech con un’altra l.(ette)ra in questo modo.
Maumitbeg amin Sultan Imp.(erato)re de tutte le parti del Mondo dall’Oriente all’Occidente. All’Inclito scandrabech Principe degli Epiroti dice molta salute Per Mustafà servo et Ambasciator mio et per la l. (ette)ra tua risponsiva hò inteso (c. 652v) quello che tu senti circa la pace t’hò domandata; et ancora quanto tu ti esenti circa alcuni de miei capitoli, et qualmente tu sei contento farmi buona pace solamente con l’ultimo, Imperò per dimostrarti quanto t’amo et quanta stima io faccia dello stato tuo voglio concludere pace perfetta à tuo modo, et così come per allegrezza hò cominciato, così voglio da qui inanzi chiamarti Principe dell’Epiro, et ti confermo per mia liberalità ogni stato, che hai al presentesi quello, che à me spettasse per le ragioni del q. mio Padre, come altrimenti et à Mustafà servo, et Ambasciator mio darai ogni fede di quello che da mia parte ti dirà à bocca, et con (c.653r) quello concludendo confirmerai la pace predetta; la quale signata per quel med.(edesi)mo di tua man propria, et sigillata col tuo sigillo manderai nelle mie mani et stà sano. Da Costantinopoli à 22 di Giugno 1461.
Il sig.(no)r Turco mandò il predetto Mustafà beg Ambasciador à scandrabech con una Lettera che diceva; Maumethbig amin Sultan Imp.(erato)re de tutte le parti del Mondo dall’Oriente all’occidente à te Mag.(nifi)co scandarbech Principe dell’Epiro non hò cagione di dirti salute, né sanità, sì perche m’hai rotta la pace, sì ancora perche non m’hai tinuta la fede promessa, mà fattomi tanti gran danni palesemente; nondimeno perche sono (653v) stato certificato che li Venetiani Nemici miei t’hanno ingannato et condotto a far tal cosa per questo ti voglio haver qualche rispetto, et in parte ancora per iscusato, et così perdonarti l’offise purche tu facci un’altra volta meco la pace; cioè che rifirmiamo et le conditioni della med.ma già rotta, giurando tu ad ogni modo questa seconda così rifirmata sopra la fede del tuo iddio, perche fermamente mi persuado che se tu avessi giurata la prima, ne Venitiani, né altri haveriano potuto rimoverti. Per tanto ti prego, se pregar ti posso, che mi facci questa seconda pace con giuram.to et io ti prometto sopra la fede mia d’attenderti ogni promessa, ( 654r) non
on mai di farti molestia, anzi di esserti utile, et buono amico, et onorarti, altrimenti ti rendo sicuramente certificato, che lascerò stare le altre Imprese, et t’anderò tanto perseguitando, che si non ti potro far morire, almeno ti farrò stare rovinato di sorte che ne sarai dolente et pentito, et vedrai se li Venetiani ti potranno campare dalle mie mani,essendo tu debile et picciol sig.(no)re di quella sola parte d’Albanìa, che hai, et io Imperatore, Re et Sig. (no)re de tante potenze, che mai potrai resistere al mio furore. Dunque considera li fatti tuoi, et fa questa pace di buona voglia, acciò tu possi morir sig. (no)re di Casa tua con la (c. 654v) discendenza tua, altrimenti sarà tuo danno, et al mio servo et Ambas.re Mustafà darai la solita fede di quello ti dirà à bocca.
Di Costantinopoli alli VII di Maggio 1463.
Dopo che scandrabech hebbe udito L’Ambasciatore, et letta la lettera del Gran Turco gli scrisse la risposta in questo modo.
L’Athleta di Giusu Cristo Giorgio Castriota altre volte scandarebech Principe degli Albanesi al Sireniss.(im)o Maumetbeg Principe delli Turchi dice molta salute. Havendo inteso da Mustafà Ambasciatore dell’Eccellenza Tua, et dalla lettera di quella le gravi lamentazioni, et riprentioni
(c. 655r) m’hai fatto costretto à risponderti, et dire sono qualmente non mi pento averti rotta così la pace, perche non è conveniente che il Principe grande si voglia far da sé legge, et far beffe del piccolo, come hai fatto verso di me, che conchiusa la pace subito la rompesti con la fede tua insieme; et di qusto Iddio mi è testimonio, et ancora al Mondo si sà manifesto, che stando io fidato sopra la fede tua li tuoi Turchi mi fecero grand.(issi)mi danni talmente che fui constretto mandarti il mio Huntis al quale disti risposta che volevi castigare le fallitori, che tal cosa haviano fatto senza il tuo consentimento, nondimeno La tua prontezza si risolse presto in nulla, et io rimasi vano, et li fallitori senza punitione, la qual cosa fà (655v) hiara notitia che tu sii stato consintiente. Dunque dati ad intendere ch’io hebbi somma ragione ò rifarmi de danni dati, né curarmi punto de quelli, che non fanno stima di stare in pace, ma studiano di dar la baia per voler trapolare poi voler dire che Venetiani, ò altri m’ingannanoo, li quali sempre osservano ogni fede promessa non come fai tu. Imperò ti voglio risolutamente espedire che per niente ti voglio far pace sia io piccolo quanto che piaccia à Dio et tu sii tanto estinto Imperatore et grande et potente dall’oriente sino all’occidente, la qual cosa non si dice sinon da te solo, che per la iattanza per la superbia, et arroganza hai
(. 656r) ardire di usurpar simil nome Imperatore il qual è dell’Imperator Romano, che si corona dal Papa di Roma Vicario di Dio in terra. Ma tu per divina permissione punendo li peccati de Cristiani ti sei fatto assai potente Tiranno, sì che ti pare lecita cosa appellarti di nome tanto elevato, che fai rider ciascheduno che il legga, perche il Mondo è diviso in tre parti, cioè in Asia, Africa, et Europa, la prima è quasi la maggior parte del Mondo ch’è diviso in Asia maggiore, et minore; nella maggiore sono assai Regni, nelli quali non hai à fare. Nella minore qual è ha la Natolia sono molti regni, nella quale tu (656v) possedi solamente quella parte, ch’io m’affrattai acquistarti, ch’è picciola cosa à comparatione del resto.
Nell’Affrica sono Regni assaissimi et Provintie, nella quale tu niente possedi.
Ma nell’Europa, qual’è quasi la maggior parte abitabile che sia nel Mondo, sono molti Regni et Provintie, delle quali possiedi solam.te La Thracia; La Grecia, La Servia,La Tossina, la Morea, la Bulgara, L’Acaia, la Magnesia, Mitilene, et alcun’altre, ch’erano, et saranno de Cristiani.
Per tanto non poco mi maraviglio che il quale à me sai dare buoni consigli, ti lasci poi così
(c. 657r) apertamente  accecare dall’ambitione et non avvertisci à quello che tu parli avvenga che per li nostri peccati tu sij ancora troppo gran Tiranno quando frà L’Affrica, et L’Europa tu possedi più di XXX Provintie, nondimeno ti voglio certificare, che per questo niente ti stimo, confidando nel mio sig.r Giesu Cristo, fa farà cascar mille Pagani dalla faccia de dieci Cristiani. Si che per minaccie, né per lusinghe non sono punto per movermi, eccetto se tu volessi confessar la fede Christiana scopertamente, nella quale da putto fosti instrutto, et fat battizzare li sudditi tuoi facendo à modo dellAlcorano in quella parte dove dice che (c. 657v)
’Evangelio è buono come la migliore del Mondo, à quel modo haresti da mè quanto vorresti; altrimenti sappi ch’io consono per far giamai altro sinon difendermi non senza tuo danno, et vergogna, perche io combatto per honor di colui, che m’aiuterà. Dal campo nostro à di XXV di Giugno 1463.

 
 

1 commento:

  1. Hai fatto bene,caro Vincenzino,a pubblicare questo documento che oltre al valore storico,credo,stimolerà anche coloro che finora,sulle questioni del mondo albanese, si sono dilettati a raccontare "si pralleza"tutte le vicende storiche senza uno straccio di approfondimento.La ricerca costa sacrificio,onore e merito al prof.Italo Sarro che così appassionatamente ci rende compartecipi.

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