Vincenzo Dorsa
a cura di Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro
Da attiva famiglia liberale e cristiana, Vincenzo Dorsa, nacque Italo Albanese a Frascineto il 28 febbraio del 1823 da Francesco e Vittoria Bellusci. Educato nel Collegio Italo Albanese del San Adriano nel 1840 passò al Collegio di Propaganda Fide a Roma, che abbandonò non appena dopo un anno. Cattolico liberale, avendo egli appreso, al San Adriano, fin dalla tenera età i principi fondamentali di libertà e di giustizia sociale ed essendo fervente divulgatore delle nuove idee diffuse in Europa, in quel periodo, mal sopportò il clima illiberale religioso e culturale che si viveva in quella Istituzione anacronisticamente ancorata a vecchi pregiudizi di carattere feudale. L'attività intellettuale del Dorsa fu molto intensa; oltre ad insegnare Lingua e Letterattura Greca e Latina al liceo classico "Telesio" di Cosenza, collaborò intensamente, con vari scritti, alle pubblicazioni de' " Il Calabrese", "Il Calabrese Rigenerato",e "Il Bruzio" del Padula. Pubblicò diverse opere fra le quali " La tradizione Greco Latina negli usi e nelle credenze popolari della Calabria Citeriore" che nel 1883 fu tradotta in lingua tedesca; " La Tradizione Greco Latina nei dialetti della Calabria Citeriore". Sulle colonne de "Il Calabrese" - scrive Domenico Cassiano - insieme ad altri giovani intellettuali arbereshe, come Domenico Mauro, Alessandro e Cesare Marini, il Dorsa partecipò attivamente al dibattito culturale e politico del tempo, collocandosi in una propria posizione originale tendente alla riscoperta del Vico sulla scia tracciata dal Cuoco.
Le opere iù importanti del Dorsa sono: Lettere Romane dirette a Panfiltate, 1847; Su gli Albanesi: ricerche e pensieri, Napoli 1847; I Vangelo di San Matteo tradotto dal greco nel diletto calabro albanese di Frascineto; Sulla genesi e progresso del Diritto Romano e sua influenza sullo svolgimento della civiltà moderna. Pensieri di Cesare Marini.
Morì all'età di 32 anni a Cosenza, il 4 dicembre del 1855.
I Calabro Albanesi
Estratto da " Il Calabrese" 15 ottobre 1843
Egli è pur troppo
consentaneo al corso naturale de' popoli trasmigrando portare seco e serbare
gelosi almeno fino a che non si confondano colle ospite nazioni, le reliquie di
quelle affezioni, di quegli usi, di quello spirito che trassero dalla natura della
patria terra. E' questa una legge eterna immutabile nasco- sta allo sguardo
della riflessione, ma potente sul cuore dove scolpilla la mano della
provvidenza che chiama a società le umane generazioni, tutte da lei
costantemente regolate colla norma per cui l'ordine morale mirabilmente
percorre la curva misteriosa delle sue leggi. -Gli Albanesi della nostra
Calabria fanno di ciò prova luminosa. Illustri avanzi de' commilitoni di
Scanderbek, volsero ormai 400 anni, da che, abbandonati i patri lari vennero a
fermar stanza novella in questa estremità dell'Italica regione; e se tutt'altro
rimase loro oltre il mare, buona porzione de' costumi e de' pregiudizi
conservati non cessa distinguerli tuttavia dai Calabri indigeni in mezzo a'
quali si rattravano. -D'una tal distinzione poi essi menan vanto, e per quel
sentimento onde l'uomo ama avere un impronta e quasi uno stemma, per cui
elevato di su la massa confusa dell'universale tragga a se uno sguardo
particolare, la tengono a gran gloria essere registrati nell'albo di cotali;
non ostante che veggano messe in deriso dallo straniero qualcuna delle
costumanze e pregiudizi nazionali. Ma cotanto attaccamento alle loro anche
bizzarre proprietà è per essi in certo modo necessario come pabolo della
fantasia che serbano tuttora vigorosa e potente. E ciò a ragione; perciocchè
gli Albanesi de' quali parliamo, a considerarli nelle loro idee, caratteri,
sentimenti, costumi, noi li troviamo di presente percorrere tra i popoli
l'ultimo periodo della barbarie, ch'è l'esordio già della raffinata società
civile. Epperò non è a meravigliare se tuttavia scorgiamo in essi quello
spirito fantastico e poetico che si ravvisa costantemente in tutti i popoli a'
quali è aperta la natura sensibile, e de' quali la ragione è ancora sul principio
del suo processo. Per tale considerazione necessariamente non può non esser
loro che la massima delle delizie il vagheggiamento delle originalità e maniere
semplici e naturale onde vengono informate le proprie operazioni.
A conferma di ciò giova
notare che, i canti de' Calabro- Albanesi diretti o ad elogiar le belle, o a
celebrare una festa, o a dare un saluto a chi per bell'opra ha fermata la loro
attenzione, sono tutti prodotto estemporaneo dell'estro che là per là si
accende. Si uniscono a due cori, e l'uno ripete il verso che l'altro cantando
improvvisa; usando sempre in simili casi la rima, la quale o pervenuta in prima
dagli Arabi, o nata tra i tardi nipoti di Romolo, come vuole il Gravina, di
certo è pe' canti Albanesi un vezzo che si è prestato dai canti Italiani. -E
ciò sembraci fondato in quanto che la posizione delle vecchie canzoni popolari
e delle rapsodie guerresche che ci ha rimasto salve l'ira del tempo le
rinveniamo tutte d'un ritmo sciolto. Tali sono gli Epitalami che s'intonano
agli sposi ne' giorni nuziali dai cori de' parenti ed amici, e tali gl'Inni
Eroici in lode del famoso Castriota loro Re o di altro prode connazionale, che
ora formano l'ornamento de' banchetti clamorosi, delle ridde, o di qualche
festa di bellico trionfo, la cui memoria comecchè rammenta le antiche loro
glorie sulla spada de' discendenti di Athmann, è per essi dolce come la
riacquistata civiltà; onde la forza di quattro secoli fu incapace a cancellarlo
dai loro petti.
Si dilettano gli
Albanesi de' balli, che guidano al suon della zampogna, o ne' quali s' il
civile che il plebeo, sì il ricco che il povero si accomunano e ballano e
cantano insieme. - Amano la corsa e la lotta, e questi avanzi del loro tempo
eroico formano de' pubblici spettacoli nelle grandi feste, quanto è belle veder
richiamati a vita novella i giuochi famosi di Grecia; dappoichè salvo il luogo
e i tempi preziosi di quella classica antichità, salvo l'entusiasmo universale
della Nazione e lo scopo veramente grandioso cui si mirava, il palio per l'aere
sventolante che incita al trionfo la forte gioventù ilare nel volto scesa
nell'arena, la voce grave de' vecchi che la dirige ne' movimenti e le impedisce
le frodi, le grida confuse di eccitamento e di plauso elevate dagli spettatori,
il Curato infine che presiede, le sono particolarità che offrono ormai il
simulacro vero della Greca palestra.
In simili feste gli
Albanesi toccano l'eccesso dell'allegrezza; ma serbando sempre inalterabile il
buon ordine, non perdono nè di contegno nè di decenza -due pruove che attestano
di loro un popolo sensibile e a un tempo virtuoso. -Gli uomini e le donne
intervengono tutti sì ne' pubblici spettacoli che nelle conversazioni private,
ma non mai si soffre tra i due sessi confusione alcuna; dappoichè il pudore,
che, secondo il Vico, ha unite le società e caratterizza i popoli semplici,
brilla ancor vergine sulla fronte degli esuli di Epiro, mantiene ancor florida
quella morale rigorosa che dannata forse dalla moderna falsa civiltà, è pure
invero la miglior gloria della barbarie. Da quel pudore l'uomo è rattenuto tra
i suoi doveri, e quel pudore è il magico talismano onde l'onestà delle donne va
bellamente difesa. -Le donne poi ne' giorni di lavoro o chiuse nella propria
abitazione come in un ginecèo attendono alle cure casalinghe, o da
collaboratrici seguono nella campagna i mariti; e tutte indifferentemente e
senza distinzione si portano alla fontana per attinger acqua o lavare i panni,
ma sempre accompagnate dalla modestia e semplicità -nobili figlie di quel
candore che adorna il loro animo e nemiche eterne alla stucchevole
affettazione. -Le spose promesse non trattano affatto coi fidanzati: alla vista
di essi come colte da un fulmine tutte pudibonde corrono precipitosamente a
cerca di un luogo che le nasconda a quegli sguardi allarmanti, a' quali non si
rendon visibili che nel giorno istesso in cui salutate vengono già spose.
Un tal giorno è poi il
più degno di rimarco agli occhi del filosofo. Non è all'uopo tesser qui la
serie delle mille bellissime simboliche cerimonie Ecclesiastiche giusta il rito
della Chiesa orientale: il nostro argomento esige tutt'altro. Per dirla quì in
iscorcio onde non istancare così co' dettagli la pazienza del leggitore, notiam
di volo che, la pompa nuziale dalle prime mosse infino al suo termine viene
accompagnata continuamente dal canto tessuto tutto di sentenze morali ed
economiche. Notiam parimenti a scelta tra le mille che, al ritorno che fassi
dal tempio, lo sposo appena giunto alla soglia della sua casa volto indietro si
slancia correndo tra la turba accompagnante presso di lui la sposa, che rapisce
e la conduce entro il talamo maritale - Io quì mi son fiso precipuamente con la
mia attenzione; perocchè vi veggio un motivo di assai interessamento il
rimontare per tali riti alle origini delle società, usando cioè il pudore da
parte della donna era costretto a lottare colla violenza dell'uomo aggressore.
E in quei tempi primitivi della umanità delle Nazioni ci conviene riferir
parimenti la figura emblematica del regio-ciclopico potere de' padri, su la
moglie e famiglia, che rappresenta in tal giorno lo sposo Albanese; da poi che
questi vien titolato Re, ed interviene alla funzione con un cappello in capo e
con indosso un manto maestoso -Tutta la scena poi vien resa più brillante da
mille scoppi di archibugi che ora accompagnano le svariate desinenze del canto,
ora servono a dar de' risalti alle diverse ritualità, secondo la forza del
simbolo che rappresentano.
Un magnifico
contrapposto alla pompa nuziale è la pompa funebre. La donna ispirata in quei
momenti dal dolore scioglie lugubre canto a delle nenie sparse di tale una
patetica e parlante poesia, che per sentire allora l'uomo primitivo
raccomandare i suoi affetti alla natura, e nella natura leggere la magica
dolcezza del compianto. Il cadavere nella sua fantasia è un oggetto che sente e
che ragiona: mettesi perciò con esso a dialogare, e mille cose gli dice e mille
gli commette per gli abitatori dell'eterno regno. -Le familiari al defunto
strettisi al collo fra loro cantano ad una voce in suono armonico e grave e
l'elogio delle virtù di lui, e con tale apparato lo accompagnano al sepolcro.
Là corre intero il villaggio, ed una scena commoventissima cui si dà luogo non
può non sforzare al pianto i cuori anche di marmo Ciascuna donna del convoglio
alla vista de' tetri monumenti di morte sentendosi a un tratto ridestare nel
petto le tristi memorie de' cari perduti, trascinata dal dolore te la vedi
correre e poggiarsi boccone su i coperchi delle tombe amiche, dove chiama i
trapassati del suo sangue, e li saluta, e li piange: -Per l'uomo è disonore
versar lacrime: il segno del suo lutto è il viso raccolto a forte mestizia, e
il grosso tabarro che glie lo nasconde, e che sia verno sia està porta sempre
indosso e dentro e fuori casa.
I Calabro-Albanesi pari
a tutti gli altri popoli che camminano un simile stadio nello sviluppo umano,
non sente tuttavia il peso della infinità de' bisogni fittizi. Amante a
preferenza della pastorizia, genere di occupazione che priva l'uomo del
commercio e lo circoscrive entro il perimetro di una sfera limitatissima, non
può avere idea de' molti comodi onde si abbella la vita. Dietro ciò, non ha un
forte interesse di promuovere la curiosità e l'emulazione, fonte divine e
feconde delle più belle conseguenze, senza le quali il genio delle arti e delle
scienze miseramente isterilisce. E' alquanto ritroso quindi ad occuparsi di
esse, e quantunque fatto per coltivare con successo, pure fiso nell'idea di
superfluità che attacca a tuttocciò che non è di primaria necessità, le
dichiara quasi mera ostentazione di talenti vani e corrotti. -Felice vita
patriarcale! -De' suoi plausi, e se li merita, noi non pronunzierem giudizio,
che rimettiamo ai Sofi l'ardua sentenza.
Per tali riflessi i
nostri Albanesi vestono di un grosso panno di lana, di una tela grossa
parimenti e in qualche contrada anche di ginestra, tutto preparato in casa
istessa dalle proprie donne, ed uno è il vestire sia sotto la più ardente
canicola che nella più rigida bruma -Son frugalissimi ne' cibi, che acconcia-
no indistintamente nella naturale eroica semplicità. Distendono la mensa sopra
un ruvido trespolo lavorato colla scure dalle proprie mani, e la moglie
considerata già come la prima domestica, ha l'ufficio di servirla. E ciò è a
dirsi tanto allorchè si è solo in famiglia, quanto, allorchè si ha il piacere
di offrire l'ospitalità a persone straniere.
L'ospitalità tra le
virtù diffusive è la più magnanima al certo e la più sedicente. Nata dal forte
sentimento che l'uomo sensibile ha de' mali altrui, forma il pregio più
distinto de' popolo barbari e con ciò vo' dedur lo stesso pe' nostri Albanesi,
che han dato e danno tuttavia pruove lusinghiere a chi ha l'occasione di
studiarli davvicino. -Ma se l'ospitalità al loro sguardo è il cenno più sacro
del cielo, sono terribili e feroci poi se il beneficio vien loro contracambiato
con la nera ingratitudine,
se ne' propri bisogni
gridano indarno a una mano soccorritrice. S'armano allora a fiera vendetta, e
colla propria forza fisica che mettono in campo e vendicano i torti ricevuti e
reclamano senza entrar più oltre come dritti perfetti tanto questi quanto quei
dritti anche di semplice umanità e beneficenza, de' quali si fa loro niego
ingratamente. E' però che van sotto la taccia di uomini ferosi e crudeli: essi
accendibili al menomo urto sentono troppo debole l'impero della ragione per
domare dietro una sostosa abitudine gl'impeti della natura animale, sicchè
battono comunemente sempre la morte. E da esso motivo prende origine
medesimamente in gran parte il loro diletto peculiare pe' ladroneggi, se non
vorremo addentrarci anche dall'altro canto più in là e rinvenirla ai popoli
tutti in quello studio del loro processo ci- vile quando solo la forza del
corpo conoscono e pregiano.
Non è a supporsi poi da
quanto si è esposto non rinvenirsi tra le colonie Albanesi di Calabria
differenza alcuna di ceto. Le morali straordinarie vicende a simiglianza de'
fisici cataclismi dell'universo sono come un soffio novello dell'onnipotenza
che manda il Creatore a far nuova la faccia della terra. Il nostro secolo
cominciò già con simile palingenesia, e la forza scuotitrice degl'ingegno e
della civiltà tuonando su' petti Albanesi balenò nella loro mente. Così la
lunga barbarie che guida i popoli fanciulli fu per essi al termine del suo
corso, l'ignoranza fu bandita, e la filosofia figlia purissima del cielo
intromettendosi a mano a mano giunse a tale che di presente serbandosi negli
Albanesi inalterabile virtù, i forti sentimenti, e le savie costumanze, il
resto di queste e i curiosi pregiudizi solo continuano nel loro originario
vigore presso il basso ceto e presso tutti indifferentemente ne' villaggi che
sono pur troppo remoti dal commercio e dalle città civilizzate. Ma lo spirito
di un popolo non è forse a dedursi dalla massima parte di esso formata già
dalla plebe, non mai dalle poche famiglie de' nobili?
I nostri Albanesi sono
di statura alta e di complessione robusta. Hanno un viso infiammato e serio
-parlan poco e tardi, ma piace il loro accento grazioso rotondo e nasale
-Sdegnano la vile dipendenza, tanto ch'è difficile rinvenir tra le donne
qualcuna che si adattasse al mestiere di serva, e gli uomini la reputano a
vergogna il contrar nozze con tali. -Hanno in orrore l'adulazione e quelle arti
vili che mentre tendono a far superbire stoltamente i grandi, rendono abbietta
la umana condizione. -Son facili alle risse, ostinati ne' litigi, e spesso un
mero pettegolezzo è per loro una guerra di Lapiti. -L'amicizia cogli uguali, la
fedeltà verso il padrone, la costanza e sincerità di cuore, e l'esaltata gelosia
per le donne, la fermezza de' principi fissati, la inesorabilità nelle vendette
e negli odi, il coraggio, l'intrepidezza son della particolarità per cui eglino
si distinguono ancora. -Hanno molta intelligenza; ed al proposito mi gode
l'animo trascrivere le parole di M. Busching che parlando degli Albanesi così
si esprime -"ils ne cultivent point les sciences, mais ils sont
tres-habiles a conduire les eaux" -solo questo per non essere infinito a
farne la mostra con fatti per se stessi parlanti.
Ecco quanto credo
sufficiente per dare un idea del carattere e costumi attuali delle Colonie
Albanesi siti in questa Calabria. Noi facciam voti che il cielo le guardi
benigno, e che menandole allo stato di vera coltura e civiltà, le conservi
ancora (se possiamo augurarci un ispezial dono) amiche eterne di quelle virtù
che in mezzo la rude semplicità furono e sono tuttavia il suo ornamento
precipuo.
Bibliografia essenziale:
Domenico Cassiano, Risorgimento in Calabria, Figure e protagonisti Italo Albanesi, Ed Marco Lungro 2003.
Foto www.amazon.it
Bibliografia essenziale:
Domenico Cassiano, Risorgimento in Calabria, Figure e protagonisti Italo Albanesi, Ed Marco Lungro 2003.
Foto www.amazon.it
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