Ma,
esso trova, inconfutabilmente, le sue radici, nel complesso organismo sociale di
alcune tribù montanare della Tessaglia, del basso Epiro, della Prevalitania e
della Dardania, nel periodo in cui queste regioni , ormai, vennero costituite
come province dell'Impero Bizantino (XI secolo d.C.).
Queste
popolazioni, per la natura dei luoghi da loro abitati, si distinsero dalle
nuove emergenti societe slave, conservando integra la loro tribale autoctonia.
La figlia dell'Imperatore bizantino Alessio I Comneno, la colta e gnostica Anna
Comneno (1083-1150), nella sua opera storica "Alessiade", li denomina
"Albanitoi" caratterizzandoli nella loro fiera tribalità " abasileuti" cioè
senza re (dal greco a privativo e basileus = re).
Nonostante la varie invasioni e occupazioni straniere,
essi vivevano in gruppi tribali indipendenti, senza riconoscere forme di
gerarchia statalizzata. Popolando le impervie regioni montagnose e organizzati
in "fis" o tribù, loro proncipale attività di sostentamento era la
pastorizia e l'agricoltura.
Coloro
che abitavano i villaggi ( katund), difendevano con fiero orgoglio le
loro costumanze tradizionali, non riconoscevano vincoli di vassallaggio e non si
assogettavano a pagamenti di imposta e a rendite feudali. Non era raro che le
tribù montanare si ribellassero con le armi a qualsiasi costrizione fiscale,
come quando, Niceforo, governatore bizantino, con incursioni vessatorie dei suoi
agenti fiscali, tentò di assoggettare quelle popolazioni.
Si
ebbe che le città di Berat, Kanina e Tomorizza furono interamente saccheggiate;
dovette intervenire direttamente l'imperatore bizantino Andronico III per
sedare quella incredibile rivolta. (1) Informazioni più dettagliate, riguardo le
caratteristiche essenziali di queste popolazioni, le attingo da Giorgio
Pachimere, scrittore bizantino vissuto a cavallo del XIII e XIV secolo e dal
suo contemporaneo Giovanni Cantacuzeno, anch'egli bizantino, scrittore
e cronista del tempo.
Il
primo, nella sua opera storica " Historia gestarum" di Michele
Paleologo, fa menzione di alcune popolazioni montanare della Tessaglia che
chiama " Megalo Balchiti" e che Cantacuzeno individua come "Albani
o Albanoi" ( da sottolineare che Pachimere, a volte denomina costore Mega
Balchiti e talune altre Illiri e Albanoi).
Historia gestarum di Pachimere Libro V: " Alcuni
Illiri, scossi dal giogo dell'Imperatore, fra i Locri, gli Acarnani e la
Tessaglia si governano da sè." ( Locri e Acarnani o Acrocerauni sono catene
montuose che s elevano fra l'Epiro sud orientale e la Tessaglia). Cantacuzeno
nel suo Libro 2 capitolo 24 di Cronaca così si esprime: " Sirgianni nei
tempi di Andronico II di Bisanzio, Basileus dei Romei dal 1282 al 1328,
traversando i Locri e gli Acarnani, si rifugiò presso gli Albani, i quali
abitano circa la Tessaglia, sono uomini agresti ed addetti alla pastorizia e
vivono con le proprie leggi."
Nel capitolo 28 lo stesso autore scrive:
"gli Albani che vivono sulle montagne della Tessaglia sono in numero di 12
mila, chiamandosi Malacasi, Massaretti e Bovii (Bua) essi vivono senza
Re per loro natura."
In molti si chiederannno perchè popolazioni
albanesi si trovavano ad abitare i territori tessali. I primi insediamenti di
Illiri o Albanesi in Grecia avvennero in Tessaglia, tra la fine del 1200 e i
primi anni del 1300 e furono, sicuramente, dovuti dalla triste situazione in cui
veniva a trovarsi l'Epiro, costituito in gran parte da albanesi, per le continue
lotte intestine, cagionate specialmente dall'infelice dominazione italiana degli
Orsini, principi di Taranto.
Esplicito riferimento di questa prima migrazione si
ritrova in una relazione del veneziano Marino Sanudo il Vecchio datata a Venezia
nel 1325 e riportata da Rubio y Lluch nei " Diplomatari dell'Orient Català a
pagina 159.
Con il
dominio ottomano, caduta ogni speranza per il riacquisto dell'indipendenza,
queste popolazioni non vennero soggiogate del tutto dalla cultura e dalla nuova
politica dell'oppressore e su questo di lume ci è Angelo Masci, arbereshe di
Santa Sofia d'Epiro nonchè illustre giurista che nel 1806
scriveva:
"
Gli Albanesi , che o vivono affatto indipendenti dalla Porta (Istanbul),
oppure soggetti a questa di un piccol tributo son liberi in tutto il dippiù. Non
poca estensione di terreno occupano questi albanesi indipendenti; ed o sia che
non mai sono stati sottoposti a dominio, o sia ( com'è più probabile ) che anche
i Sovrani tra loro non altra autorità han esercitata, che quella di esser
considerati come capi della nazione, eglino con i costumi barbarici hanno da
tempo antichissimo ritenuta anche la libertà. Ciascuna città, terra, o villaggio
- continua il Masci - vive per sè; nè fuori della causa comune è lecito
d'impicciarsi negli affari dei convicini. La comune causa non è che la causa
della libertà: spesso accade che i Bassà del Turco o per ambizione, o per
avarizia cerchino di soggiogarli, ed allora tutti si uniscono per respingere il
comune nemico."
In
effetti la dominazione turca sull'Albania e su quelle regioni da loro
abitate, ebbe piuttosto caratteristiche di contrattualità, sviluppatesi in
taciti consensi, che di reale posizione di supremazia.
Anche
il preciso e, per quei tempi, sofisticato sistema fiscale ottomano, con quei
montanari, trovò considerevole intralcio: talune tribù stanziali abitanti i
" Katun" pagavano agli esattori del Sultano un censo simbolico (tacito
consenso) mentre tribù nomade o più predisposte alla rivolta venivano
completamente esonerate ( cancellazione anagrafica; da ricordare che i turchi
disponevano anche di un funzionante apparato burocratico).
Gli
ottomani intuirono che l'inasprimento verso quelle genti, sulle cui terre, nè
gli Imperatori bizantini, nè i normanni avevano potuto fissare le loro signorie
( la dipendenza dell'Albania da Costantinopoli e dalla Puglia era stata più
nominale che reale), e che non avevano riconosciuto mai altra autorità, fuor di
quella dei liberi capi, avrebbe potuto costituire motivo di serie conseguenze
negative per la esistenza stessa del predominio territoriale e quindi
strategico-militare.
Scrive
Alessandro Cutolo nella biografia di Skanderbeg ( Istituto per gli Studi di
Politica Internazionale- Milano 1940): " Quando i serbi ( XIIIsecolo)
avevano tentato di imporre agli Albanesi il loro pesante giogo, si erano trovati
contro l'ostilità, larvata o palese, delle tribù; persino cambiando
religione, e da scismatici divenendo cattolici, quei popoli avevano fatto
comprendere a tutto l'Oriente come fosse difficile cosa ridurli in servitù.
Tutti
gli Albanesi erano concordi a spezzare ed allontanare ogni giogo straniero,
tuttavia, non tolleravano l'ingerenza, anche minima, di una tribù o di un
principato confinante.
Quelli
di Argirocastro lottavano con gli abitanti di Giannina; i Castriota ostentavano
nei confronti dei Balcha atteggiamenti di malcelato antagonismo e lo stesso con
gli Arianiti, pronti a ricambiare. Continue lotte intestine, queste, che
indubbiamente esaurivano le necessarie forze, per una eventuale resistenza
atta a fronteggiare attacchi dall'esterno.
Nonostante tutto, queste popolazioni apparentemente
prive di una organizzazione sociale, all'interno delle loro tribù e famiglie ,
in maniera velata, disponevano di un insieme di norme informali accettate quali
regole proprie di convivenza, disciplinate , in effettti, dal codice
consuetudinario.
Su
questa ultimo dato deduco e sviluppo la tesi che il sentimento di anarchia ,
più che endemico, era fortemente inerente e partecipe all'intima composizione ed
organizzazione di quelle società.
Infatti, è importante notare, sfatando tramontate,
inconsistenti e propagandate opinioni fondate su convinzioni soggettive e di
correnti, che nessuna formulazione e sistemazione dei principi generali
dell'anarchia, ha mai trascelto, nella teoria, l'inesisteza di norme e di
interazioni sociali, anzi l'anarchismo è antitetico al caos, ossia alla grande
confusione e alla mancanza di ordine, in quanto, in linee generali, si rende
propositore di un nuovo modo di trasfigurare con il pensiero l'organizzazione
sociale , intorno alla quale si sviluppa la cooperazione tra gli individui in
maniera egualitaristica e dove le norme e i principi fondamentali,
vengano condivisi e non imposti dal vertice dell'organismo
statalizzante.
In
Italia i primi profughi provenienti dall'Albania e dalle comunità arvanitiche,
condussero vita dura e miseranda. Relegati in territori angusti e selvosi,
dovettero sottoporsi ai rigori del potere feudale, laico ed ecclesiastico che
tanto gravame apportò alle popolazioni meridionali.
I
principi, i baroni, gli abati, dimentichi delle raccomandazioni inoltrate dagli
Aragonesi prima e da CarloV poi, a favore dei sopraggiunti greco albanesi,
mostrarono a costoro tutto il loro ineffabile astio, ma non riuscirono aad
assoggettarli del tutto e maggiormente non riuscirono a ad imporre loro la
cultura religiosa occidentale.
Questo
ultimo aspetto io lo allogherei, come fatto storico, a quella corrente di
pensiero definita "anarchismo cristiano"; infatti le popolazioni albanofone
erano si sottoposte alla giurisdizione ecclesiastica dei vescovi latini, ma,
senza il nulla osta di quest'ultimi, professavano il rito atavico dei loro
padri: il Rito Greco Bizantino. Solo in alcuni paesi , come Spezzano
Albanese, si passò al rito latino, ma per raggiungere tale scopo, gli ordinari
latini e i cosidetti baroni, dovettero esercitatre inaudita violenza.
" I Baroni e le Chiese - scrive nel 1807
Angelo Masci nel suo Discorso sugli Albanesi del Regno di Napoli - invece
di proteggere gli Albanesi, che formavano la loro ricchezza, li hanno piuttosto
gravati di tante soverchierie che fa orrore sentirle. Le angarie e le
perangherie, le indebite prestazioni ed altro, non potevano non avvilire il
coraggio dei coloni e far languire nella miseria la Nazione" (Gli
Arbereshe).
Aggiunge ancora il Masci: "Dove l'intiera
giurisdizione è stata de' Baroni, ivi il dispotismo da una parte e la
depressione dall'altra han reso squallido tutto il paese. Dove poi la
giurisdizione è stata divisa, cioè la civile della Chiesa, la criminale del
Barone secolare, ivi, la scostumatezza degli abitanti, l'impunità dei delitti e
l'avidità degli Officiali, han tenuta sempre in disordine la popolazione. I
Vescovi Latini, nelle Diocesi de' quali erano siti gli Albanesi, invece di
promuovere in questi gli studj, far crescere i lumi, proteggere le scienze e le
arti, per una mal'intesa Religione, non hanno avuto altra cura che di abbattere
il Rito Greco da loro adottato."
Soltanto verso la metà del XVIII secolo, con la
fondazione del Collegio Italo Greco, per opera dei Rodotà e di Papa ClementeXII
(1732), le popolazion Italo Albanesi cominciarono ad apprendere, con notevle
profitto, i primi elementi di erudizione e quindi a crearsi una coscienza
politica tale da inserirliattivamente e a pieno titolo nel complesso delle
circostanze sociali del Regno di Napoli e dell'Europa.
Il
Collegio Italo Greco Albanese, prima con sede a San Benedetto Ullano e poi a San
Demetrio Corone, divenne celebre istituto d'istruzione in tutte le Provincie del
Regno di Napoli, lì i giovani albanesi d'Italia espressero il meglio di sè:
Pasquale Baffi, Angelo Masci, Francesco Bugliari, i
vari Damis, i Dramis, i De Rada, i Vaccaro, gli Elmo, i Mauro e moltri altri che
in prima persona, fervidamente, contribuirono , fortemente pervasi dai concetti
di libertà e di egualitarismo, all'Unità della nostra Patria. Molti furono
esponenti dell'Illuminismo Napoletano, come il Bugliari, il Bellusci, entrambi
vescovi di Rito Greco;
Pasquale Baffi noto grecista e Ministro della
Repubblica Partenopea, Angelo Masci, ripartitore demaniale dopo l'eversione
della fedaulità; Pasquale Scura, insigne giurista e Ministro di Grazia e
Giustizia, nonchè compilatore del Proclama di annessione del 1860; Antonio
Marchianò. Vincenzo Stratigò, Camillo Vaccaro, progressisti e positivisti;
Attanasio Dramis, amico fraterno di Bakunin; Agesilao
Milano che attentò alla vita di Ferdinando II di Borbone ed altri ancora. Tutti
rivoluzionari ed egualitaristi : insofferenti del pesante giogo gerarchico. Non
bisogna andare lontano, tutt'ora, un italo albanese, anche se iscritto o
simpatizzante di un partito politico costituzionale, sente che non è libero del
tutto.
Riflessioni filosofiche di Pier Ugo Regoli
Torino
Ho letto con molto interesse l’articolo da Voi ( Albania News) pubblicato e vorrei esternare alcune riflessioni che sono sorte in me. Devo fare, innanzitutto, i miei complimenti a Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro per aver sollevato il velo di mistero che ricopre ed occulta un mondo difficilmente accessibile, il mondo degli Illiri. Ovviamente , non di tutti gli Illiri, ma marcatamente quello degli abitatori delle montagne.
Tale disvelamento prende l’avvio proprio dal dubbio che sorge nell’articolo sul socialismo anarcoide, tralasciando, per ora, la città di Voskopoja.
Per poter comprendere questo inusuale sistema di vita, è assolutamente necessario comprendere la linea di pensiero che sottostà, che funge da base, a tale sistema.
La comprensione di questo tipo di pensiero, però, non è per nulla semplice, perché ha a che fare con la filosofia intesa nella piena accezione del termine: amor di sapienza, ovvero ricerca della verità.
Nei tempi odierni, purtroppo, la filosofia è soltanto più uno snocciolare di date e di parole invece di essere un veicolo di indagine sulle motivazioni profonde che determinano il manifestarsi delle cose e degli eventi.
Questo modo di pensare rispecchia esattamente il modo attuale di concepire il mondo, ovvero in modo globalizzato.
Cosa si intende dire per mondo globalizzato? Si intende dire un mondo pensato a senso unico, con un significato unico, letteralmente, cosa palesemente in contraddizione con la costituzione del mondo stesso che della diversità ha fatto il suo modo di essere.
Sì, perché se non vi fosse la diversità, questo mondo sarebbe soltanto una ripetitività infinita, sempre uguale a se stessa, sarebbe, in pratica, un mondo senza significato alcuno.
Basta considerare la sua storia per poter comprendere la necessità della diversificazione: all’inizio esso era popolato solo da esseri unicellulari che si ripetevano all’infinito, sempre identici a se stessi, poi, ad un certo punto, si manifestò la sessualità, e la diversificazione da essa introdotta ha fatto sì che quei microrganismi monocellulari iniziali arrivassero ad andare sulla Luna.
Da un certo tempo ad arrivare fino ad ora, l’uomo si è lasciato imprigionare dalla chimera della “struttura”, tutto deve essere certificato, registrato, catalogato, ed al di fuori di questa catalogazione non vi può, non vi deve essere niente.
Niente che non sia stato approvato da un certificatore che ne garantisca la conformità con la struttura venutasi a costituire, certificatore che ovviamente è stato espresso dalla struttura stessa.
Se guardiamo le cose dall’alto, possiamo vedere che vi sono due parti contrapposte, da un lato una struttura piramidale, verticistica, creazionistica, di una creazione per luce; dall’altra, una parte costituita da persone dette libere, che non accettano autorità di nessun genere, apparentemente anarchiche.
Il problema consiste proprio in questa differenza di visione, anzi, più precisamente in questo differente modo di concepire il mondo.
Da un lato un insieme di persone legate tra di loro da una sorta di fluido animico, da una sorta di anima generale, tanto che possiamo definirla anima gruppo, ove vi sono i sapienti che stabiliscono le regole, esattamente come li descriveva Platone, i filosofi che scrutano le verità scritte nei cieli, i quali le trasmettono ai custodi, l’apparato statale, i quali, a loro volta, le impongono agli artefici, che essendo gerarchicamente lontani dalla luce DEVONO essere guidati da coloro che alla luce sono vicini.
In pratica un insieme di persone che in modo innato ricreano i tre stati ante rivoluzione francese, ed è da notare che sono tutti concordi su questo modo di intendere il mondo.
Dall’altra parte vi sono delle persone che non sono unite da fluidi chissà quali, ma che stanno insieme per una loro personale decisione, persone che non necessitano di capi perché la legge è dentro di loro, sono perfettamente in grado di autogovernarsi, e, qualora si renda necessario, si uniscono.
E’ un insieme di persone che hanno ben presente che la loro libertà finisce dove inizia la libertà di coloro che gli stanno accanto, cosa possibile solo perché hanno sviluppato,in se stessi, l’autocoscienza, ed in sommo grado.
Queste persone non sono più gente comune, bensì possono essere appellati Individui nel senso etimologico del termine.
Ne consegue, ovviamente, che non possono avere un Re o chiunque possa essere equiparato ad esso, proprio perché il Re è il vertice della piramide di cui prima, egli è la sintesi dell’anima gruppo, e come tale non ha la possibilità di comunicare con chi è divenuto un’altra cosa, un individuo, appunto.
Anche gli individui scelgono un capo, ma lo scelgono loro, tutti insieme, ed ha una funzione, più che altro, di coordinazione ma non di preminenza.
Naturalmente non è che questa individualità salti fuori dal nulla, essa risale addirittura ai primordi del genere umano, e su di essa si fonda una tradizione molto importante ma tenuta nascosta per le implicazioni che comporta, ma questo esula dalla presente trattazione.
Ritornando sui nostri passi,ecco che la città di Veskopoja, come quella di Shiasit, ed altre che gli scavi e lo studio stanno riportando alla luce, assumono una nuova prospettiva nel quadro d’insieme europeo ed anche mondiale.
Anche se può sembrare strano, le cose stanno proprio così, perché il pensiero luterano, quel pensiero che ha portato alla formazione dello Stato moderno inteso come scienza e legalità, era già presente nell’etnia che parla il dialetto Geg, gli albanesi delle montagne del nord, come si era detto all’inizio.
Per amor del vero tale pensiero è antecedente, infatti il pensiero luterano si sviluppa sulla base del pensiero Cataro.
Guarda caso, una forma di civiltà distrutta con una crociata come le città su descritte, proprio perché portatrice del pensiero dicotomico, il pensiero che ha portato alla fine i Regni e gli Imperi europei dalla fine del XVIII secolo.
Pier Ugo Regoli
Tale disvelamento prende l’avvio proprio dal dubbio che sorge nell’articolo sul socialismo anarcoide, tralasciando, per ora, la città di Voskopoja.
Per poter comprendere questo inusuale sistema di vita, è assolutamente necessario comprendere la linea di pensiero che sottostà, che funge da base, a tale sistema.
La comprensione di questo tipo di pensiero, però, non è per nulla semplice, perché ha a che fare con la filosofia intesa nella piena accezione del termine: amor di sapienza, ovvero ricerca della verità.
Nei tempi odierni, purtroppo, la filosofia è soltanto più uno snocciolare di date e di parole invece di essere un veicolo di indagine sulle motivazioni profonde che determinano il manifestarsi delle cose e degli eventi.
Questo modo di pensare rispecchia esattamente il modo attuale di concepire il mondo, ovvero in modo globalizzato.
Cosa si intende dire per mondo globalizzato? Si intende dire un mondo pensato a senso unico, con un significato unico, letteralmente, cosa palesemente in contraddizione con la costituzione del mondo stesso che della diversità ha fatto il suo modo di essere.
Sì, perché se non vi fosse la diversità, questo mondo sarebbe soltanto una ripetitività infinita, sempre uguale a se stessa, sarebbe, in pratica, un mondo senza significato alcuno.
Basta considerare la sua storia per poter comprendere la necessità della diversificazione: all’inizio esso era popolato solo da esseri unicellulari che si ripetevano all’infinito, sempre identici a se stessi, poi, ad un certo punto, si manifestò la sessualità, e la diversificazione da essa introdotta ha fatto sì che quei microrganismi monocellulari iniziali arrivassero ad andare sulla Luna.
Da un certo tempo ad arrivare fino ad ora, l’uomo si è lasciato imprigionare dalla chimera della “struttura”, tutto deve essere certificato, registrato, catalogato, ed al di fuori di questa catalogazione non vi può, non vi deve essere niente.
Niente che non sia stato approvato da un certificatore che ne garantisca la conformità con la struttura venutasi a costituire, certificatore che ovviamente è stato espresso dalla struttura stessa.
Se guardiamo le cose dall’alto, possiamo vedere che vi sono due parti contrapposte, da un lato una struttura piramidale, verticistica, creazionistica, di una creazione per luce; dall’altra, una parte costituita da persone dette libere, che non accettano autorità di nessun genere, apparentemente anarchiche.
Il problema consiste proprio in questa differenza di visione, anzi, più precisamente in questo differente modo di concepire il mondo.
Da un lato un insieme di persone legate tra di loro da una sorta di fluido animico, da una sorta di anima generale, tanto che possiamo definirla anima gruppo, ove vi sono i sapienti che stabiliscono le regole, esattamente come li descriveva Platone, i filosofi che scrutano le verità scritte nei cieli, i quali le trasmettono ai custodi, l’apparato statale, i quali, a loro volta, le impongono agli artefici, che essendo gerarchicamente lontani dalla luce DEVONO essere guidati da coloro che alla luce sono vicini.
In pratica un insieme di persone che in modo innato ricreano i tre stati ante rivoluzione francese, ed è da notare che sono tutti concordi su questo modo di intendere il mondo.
Dall’altra parte vi sono delle persone che non sono unite da fluidi chissà quali, ma che stanno insieme per una loro personale decisione, persone che non necessitano di capi perché la legge è dentro di loro, sono perfettamente in grado di autogovernarsi, e, qualora si renda necessario, si uniscono.
E’ un insieme di persone che hanno ben presente che la loro libertà finisce dove inizia la libertà di coloro che gli stanno accanto, cosa possibile solo perché hanno sviluppato,in se stessi, l’autocoscienza, ed in sommo grado.
Queste persone non sono più gente comune, bensì possono essere appellati Individui nel senso etimologico del termine.
Ne consegue, ovviamente, che non possono avere un Re o chiunque possa essere equiparato ad esso, proprio perché il Re è il vertice della piramide di cui prima, egli è la sintesi dell’anima gruppo, e come tale non ha la possibilità di comunicare con chi è divenuto un’altra cosa, un individuo, appunto.
Anche gli individui scelgono un capo, ma lo scelgono loro, tutti insieme, ed ha una funzione, più che altro, di coordinazione ma non di preminenza.
Naturalmente non è che questa individualità salti fuori dal nulla, essa risale addirittura ai primordi del genere umano, e su di essa si fonda una tradizione molto importante ma tenuta nascosta per le implicazioni che comporta, ma questo esula dalla presente trattazione.
Ritornando sui nostri passi,ecco che la città di Veskopoja, come quella di Shiasit, ed altre che gli scavi e lo studio stanno riportando alla luce, assumono una nuova prospettiva nel quadro d’insieme europeo ed anche mondiale.
Anche se può sembrare strano, le cose stanno proprio così, perché il pensiero luterano, quel pensiero che ha portato alla formazione dello Stato moderno inteso come scienza e legalità, era già presente nell’etnia che parla il dialetto Geg, gli albanesi delle montagne del nord, come si era detto all’inizio.
Per amor del vero tale pensiero è antecedente, infatti il pensiero luterano si sviluppa sulla base del pensiero Cataro.
Guarda caso, una forma di civiltà distrutta con una crociata come le città su descritte, proprio perché portatrice del pensiero dicotomico, il pensiero che ha portato alla fine i Regni e gli Imperi europei dalla fine del XVIII secolo.
Pier Ugo Regoli
Nessun commento:
Posta un commento