Il Tribunale Militare Straordinario di
Spezzano Albanese
di
Francesco Marchianò
Sul
fenomeno del brigantaggio meridionale post - unitario (1860 -1870) esiste
un’ampia e varia letteratura che, da circa un secolo e mezzo, cerca di
definirne le cause e di delinearne i contorni politici, militari e sociali (1).
Tutti
gli storici sono comunque concordi nell’affermare che il momento più cruciale e
cruento fu quello compreso nel periodo 1861-’65, definito brigantaggio politico
poiché, per certi aspetti, vi era predominante l’atteggiamento di ribellione
contro la politica economica e militare imposta dai Piemontesi e mirava alla
restaurazione dell’anacronistico trono borbonico (2).
Nel
periodo citato, la rivolta contro il nuovo regime politico unitario assunse
fenomeni di massa sproporzionati ed incontrollabili tanto che il governo inviò
nelle province meridionali oltre la metà dei reggimenti di cui disponeva
impartendo agli alti comandi l’ordine di reprimere le sollevazioni con ogni
mezzo, lecito ed illecito (3).
Non potendo venire a capo della situazione, il neo
governo italiano promulgò la famigerata legge Pica - Peruzzi che, dall’agosto 1863 a tutto il 1865,
permetteva di comminare la pena di morte, con processo sommario anche in base a
semplici indizi, a briganti, manutengoli, vagabondi e girovaghi, ed imponeva
forti misure restrittive anche alla popolazione civile. Insomma per il Sud non
esistevano garanzie costituzionali! (4)
Il regio esercito italiano si scatenò così contro le inermi masse meridionali, costituite per la maggior parte da contadini e pastori al servizio di latifondisti, provocando un vero e proprio genocidio di cui ancora oggi si ignora l’entità (5).
Il regio esercito italiano si scatenò così contro le inermi masse meridionali, costituite per la maggior parte da contadini e pastori al servizio di latifondisti, provocando un vero e proprio genocidio di cui ancora oggi si ignora l’entità (5).
A
tal proposito scrive il Rossani: " La repressione fu sinonimo di stato
d’assedio, fucilazioni in piazza senza processo, processi addomesticati o, se
necessario, truccati, e in più migliaia di prigionieri deportati nei campi di
concentramento in Piemonte e in altre regioni del nord. …." (6).
Nella provincia di Cosenza si distinse per ferocia il
colonnello Pietro Fumel il quale, pur di sradicare il brigantaggio, non ebbe
scrupoli a far ricorso alla tortura, ad esecuzioni di massa, a finte
fucilazioni, all’incarceramento dei parenti dei briganti! (7)
I deputati meridionali venuti a conoscenza di queste brutalità
chiesero ed ottennero la creazione di una commissione parlamentare d’inchiesta
che riuscì ad allontanare il Fumel ed altri ufficiali accusati di crimini, ma
non ottenne la soppressione dei Tribunali Militari Straordinari (o di Guerra)
che continuarono ad operare secondo i nove articoli della legge Pica (8).
Scrive il Rossani: "Viene istituito un tribunale militare di guerra nei seguenti capoluoghi: Potenza, Foggia, Avellino, Caserta, Campobasso, Gaeta, L’Aquila, Cosenza. I tribunali saranno costituiti da un colonnello (o luogotenente colonnello) presidente, da cinque giudici di cui due ufficiali superiori, gli altri capitani, oltre a quattro supplenti, da designarsi tra i maggiori o capitani" (9) .
Scrive il Rossani: "Viene istituito un tribunale militare di guerra nei seguenti capoluoghi: Potenza, Foggia, Avellino, Caserta, Campobasso, Gaeta, L’Aquila, Cosenza. I tribunali saranno costituiti da un colonnello (o luogotenente colonnello) presidente, da cinque giudici di cui due ufficiali superiori, gli altri capitani, oltre a quattro supplenti, da designarsi tra i maggiori o capitani" (9) .
Ma questi organi giuridici militari, dato l’enorme numero
di arrestati, vennero coadiuvati da altri tribunali, come quello di Cosenza che
annoverò Rogliano e Spezzano Albanese (10).
Il Tribunale Militare di Cosenza, nel periodo 1863
–’64, giudicò e condannò a varie pene i briganti appartenenti alle bande della
Sila e del Pollino, fra questi quella dei Saracinari, dello spezzanese Angelo
Maria Cucci (1819-’64), di Antonio Franco, Lavalle, Carlo Di Napoli, etc… Negli
atti processuali di questo tribunale spiccano i nomi di alcuni manutengoli
spezzanesi, benestanti, fiancheggiatori del Cucci (11).
Circa il manutengolismo praticato da elementi agiati
di Spezzano Albanese, il Cassiani nella sua esigua cronaca sul brigantaggio
scrive coraggiosamente: " Il colonnello Fumel, mandato qui dal governo,
esplicò una energica azione di rastrellamento, e se si potesse rinvenire la
corrispondenza di questo funzionario col Ministero degli Interni molte famiglie
vedrebbero compromessa l’origine della loro ricchezza e la piccola boriosa
istoria familiare, alimentata in origine dalla turpe corrispondenza coi
briganti, che di notte tempo alloggiavano nelle loro case" (12).
Il Cassiani si riferiva forse al noto losco
manutengolo e benestante Giulio Longo e ad altri personaggi che presero parte
al rapimento della povera Rina Mascaro, moglie del proprietario Vincenzo
Bevacqua, sequestrata dalla banda Bellusci per oltre un mese (13).
Spezzano Albanese, all’epoca era un popoloso borgo e
capoluogo mandamentale di oltre 4000 abitanti, dove funzionava, dal 1856, il
telegrafo, la pretura, il carcere, e dove erano presenti locande, negozi,
caffè, trattorie, alberghi, la posta per il cambio dei cavalli,….. (14)
Insomma, per la sua felice posizione geografica, posta al centro della vasta provincia cosentina, perla
Strada Consolare delle Calabrie ("Udh’ e re") che
attraversava la sua parte occidentale, Spezzano Albanese era il centro di tante
attività e di incontro di gente di ogni risma proveniente da tutto l’ex Regno
delle Due Sicilie.
Forse per i motivi sopra elencati e, soprattutto, per i trascorsi liberali della sua popolazione e la presenza di un’agguerrita Guardia Nazionale diretta da provati patrioti, le autorità militari decisero di istituirvi, dal 1863 al 1866, il Tribunale Militare Straordinario che condannò a varie pene centinaia di briganti o sospetti.
L’organo giuridico militare aveva sede nell’ex-caserma borbonica e già Ritiro del Carmine, mentre gli ufficiali risiedevano nell’albergo Leonetti (15).
Gli ufficiali componenti il Tribunale Militare di Guerra locale erano: il Maggiore Scipione Baraggia (presidente), i capitani Maurizio Abrate, Luigi Nardi, Giovan Battista Ravina, Ferdinando Civati e Filippo Pelkiner (16).
Insomma, per la sua felice posizione geografica, posta al centro della vasta provincia cosentina, per
Forse per i motivi sopra elencati e, soprattutto, per i trascorsi liberali della sua popolazione e la presenza di un’agguerrita Guardia Nazionale diretta da provati patrioti, le autorità militari decisero di istituirvi, dal 1863 al 1866, il Tribunale Militare Straordinario che condannò a varie pene centinaia di briganti o sospetti.
L’organo giuridico militare aveva sede nell’ex-caserma borbonica e già Ritiro del Carmine, mentre gli ufficiali risiedevano nell’albergo Leonetti (15).
Gli ufficiali componenti il Tribunale Militare di Guerra locale erano: il Maggiore Scipione Baraggia (presidente), i capitani Maurizio Abrate, Luigi Nardi, Giovan Battista Ravina, Ferdinando Civati e Filippo Pelkiner (16).
La sicurezza del paese era garantita dalla presenza di
un reparto di fanteria di linea e, dal 1861, da una dozzina di Regi Carabinieri
che avranno l’assegnazione definitiva della stazione nel 1871 (17).
Le sentenze di morte, emesse dal tribunale locale non
venivano eseguite nei pressi della nostra chiesa del Carmine, come erroneamente
ha scritto il Serra, ma dietro quella del Carmine di Cosenza (vicino alla
vecchia stazione FS) e nel triste e noto Vallone di Rovito, dove i condannati
venivano fucilati o spesso anche ghigliottinati (18).
Ma da dove provenivano le decine di briganti imputati
di complicità e brigantaggio giudicati nel nostro paese e condannati a varie
pene (morte, carcere, lavori forzati a vita) ?
Dal circondario di Rossano provenivano gli appartenenti alle famigerate bande di Domenico Straface detto Palma, di Francesco Godino Faccione, di Luigi Campana Pizzotorto, Domenico Sapia Brutto, Domenico Graziano Turco tutti di Longobucco, ed altre decine e decine di arrestati, uomini e donne, di Mandatoriccio, Caloveto, Calopezzati, Cropalati, Scala Coeli, Bocchigliero, Pietrapaola.
Dal Pollino calabro-lucano provenivano i gregari della banda dei Saracinari, di Franco Antonio di Francavilla sul Sinni (Pz), di Viola Domenico ed Antonio, Carlo Di Napoli, Labanca ed altri di Terranova del Pollino, Mormanno, Morano, Saracena, S. Lorenzo Bellizzi, S. Severino Lucano, Latronico, Castelluccio.
Dalla Sila provenivano gli appartenenti alla bande di Pietro Corea, di Pietro Bianchi, Scardamaglia, tutti di S. Giovanni in Fiore ad esclusione di Pietro Iozzolino, di Serra Pedace, affiliato alle bande rossanesi.
Dal circondario di Rossano provenivano gli appartenenti alle famigerate bande di Domenico Straface detto Palma, di Francesco Godino Faccione, di Luigi Campana Pizzotorto, Domenico Sapia Brutto, Domenico Graziano Turco tutti di Longobucco, ed altre decine e decine di arrestati, uomini e donne, di Mandatoriccio, Caloveto, Calopezzati, Cropalati, Scala Coeli, Bocchigliero, Pietrapaola.
Dal Pollino calabro-lucano provenivano i gregari della banda dei Saracinari, di Franco Antonio di Francavilla sul Sinni (Pz), di Viola Domenico ed Antonio, Carlo Di Napoli, Labanca ed altri di Terranova del Pollino, Mormanno, Morano, Saracena, S. Lorenzo Bellizzi, S. Severino Lucano, Latronico, Castelluccio.
Dalla Sila provenivano gli appartenenti alla bande di Pietro Corea, di Pietro Bianchi, Scardamaglia, tutti di S. Giovanni in Fiore ad esclusione di Pietro Iozzolino, di Serra Pedace, affiliato alle bande rossanesi.
La provenienza sociale di questi briganti era varia ed
umilissima (capi mandriani, mandriani, carbonai, filatrici, vaccari, porcari,
foresi, braccianti, caprai, bovari, guardiani, pastori, massari, calzolai,
fabbri ferrai, caffettieri, contadini, barilai, muratori) se si escludono i
possidenti Mancuso Giovanni, di S. Giovanni in Fiore, Basta Annibale di Mandatoriccio
ed il sacerdote di Liborio Palagano di Latronico (Pz) (19).
Le sentenze emesse dal Tribunale Straordinario
Militare di Spezzano Albanese e delle altre corti marziali vennero depositate
negli archivi dell’Esercito ed ora si possono consultare presso l’Archivio di
Stato di Roma (20).
Note
(1) Dalla seconda metà del XIX sec. sono migliaia i testi scritti sul brigantaggio. Uno tra più autorevoli e più documentati rimane Franco Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1983, sesta edizione.
(2) Cfr. Franco Molfese, op. cit., pag. 177.
(1) Dalla seconda metà del XIX sec. sono migliaia i testi scritti sul brigantaggio. Uno tra più autorevoli e più documentati rimane Franco Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1983, sesta edizione.
(2) Cfr. Franco Molfese, op. cit., pag. 177.
(3) ibidem, pag. 139; Cesare Cesari, Il brigantaggio e
l’opera dell’esercito italiano dal 1860 al 1870, Arnaldo Forni Editore, Sala
Bolognese (Bo), 2002.
(4) Cfr. Ottavio Rossani, Stato, società e briganti nel Risorgimento italiano, Pianetalibroduemila, Possidente (Pz), 2002, pag. 71.
(4) Cfr. Ottavio Rossani, Stato, società e briganti nel Risorgimento italiano, Pianetalibroduemila, Possidente (Pz), 2002, pag. 71.
(5) Cfr. Franco Molfese, op. cit., pag. 361; Antonio
Ciano, I Savia e il massacro del Sud, Grandmelò s.r.l., Roma, ottobre 1996, II
edizione. Si tratta di un testo revisionista filo borbonico che getta nuova
luce sulla spedizione dei Mille, sul ruolo di Garibaldi e di altri personaggi
politici e militari del Risorgimento.
(6) Cfr. Ottavio Rossani, op. cit. , pag. 94.
(6) Cfr. Ottavio Rossani, op. cit. , pag. 94.
o (7) cfr. Salvatore Lizzano, Brigantaggio calabrese,
Tipolitografia Jonica, Trebisacce (Cs), 2001, pag. 230 e segg. Pietro Fumel
(Ivrea 1821-Milano 1886), ufficiale dell’esercito piemontese che si distinse
nella seconda guerra d’indipendenza (1859) per azioni di spionaggio dietro le
linee austriache. Divenne noto per i metodi spicci con cui eliminò alcune bande
di briganti meridionali ma, posto sotto inchiesta, venne rimosso dall’incarico
e mandato a dirigere la dogana di Livorno. Cfr. Mario Spizzirri, Gli alamari di
cristallo, Jonia Editrice, Cosenza, 1997, pag. 57.
(8) cfr. Eugenio de Simone, "Atterrite queste popolazioni" – La repressione del brigantaggio in Calabria nel carteggio Sacchi – Milon (1868-1870), Editoriale Progetto 2000, Cosenza, luglio 1994.
(9) Cfr. Ottavio Rossani, op. cit. , pag. 91.
(10) Cfr. G. Rizzo – A.La Rocca ,
La banda di Antonio Franco – Il brigantaggio post-unitario nel Pollino
calabro-lucano, Edizioni "Il Coscile", Castrovillari (Cs), 2002, pag.
29.
(11) Ministero per i beni Culturali ed Ambientali – Ufficio centrale per i beni archivistici, Fonti per la storia del brigantaggio postunitario conservato nell’Archivio centrale dello Stato – Tribunali Militari straordinari – Inventario a cura di Loretta De Felice, Pubblicazione degli Archivi di Stato, Strumenti CXXXI, Roma, 1998, pagg. 262 e segg, e pag. 435 e segg. Secondo fonti ufficiali i manutengoli spezzanesi erano 11 undici ma, considerato il numero della popolazione residente e le persone di transito che ivi stazionavano per qualche periodo, essi dovevano essere di più. A tal proposito si consulti A. De Pasquale, Calabria Citeriore tra Francesi e Borboni (Brigantaggio, rivolte, repressioni), Tipolitografia F.sco Chiappetta, Cosenza, 1982, pag. 98.
(12) Ferdinando Cassiani, Spezzano Albanese nella tradizione e nella storia (1470-1918), Edisud, Roma, 1968, II edizione, pag. 122 e 123.
(13) Alessandro Serra, Spezzano Albanese nelle vicende storiche sue e dell’Italia (1470-1945), Edizioni Trimograf, Spezzano Albanese (Cs), 1987, cap. XXXIX. Il Serra si sofferma sull’abbietta figura del benestante Giulio Longo (dei Casali di Cosenza), già ufficiale garibaldino, presentandolo come un manutengolo che si avvaleva di alte complicità militari ed ecclesiastiche locali. Nel suo Diario del 1898, lo studioso G. A. Nociti (1832-1899) si lamenta di essere tormentato da questo delinquente che gli ha rubato antichi e preziosi manoscritti e tenta di portargliene via altri. Inoltre cfr. Francesco Marchianò, Spezzano Albanese: briganti ed episodi di brigantaggio dopo l’Unità d’Italia; in "Katundi Ynë", A. XXXIV- n° 113 – 2003/4, pag. 11.
(14) Nel I censimento nazionale del 1861 il paese contava 4080 abitanti, in cfr. Giovanni Sole, Viaggio nella Calabria citeriore dell’’800 (Pagine di storia sociale), Amministrazione Provinciale di Cosenza. Una descrizione della situazione economica spezzanese è contenuta in G. A. Nociti, Platea da servire per la compilazione di una storia del distretto o del circondario di Spezzano Albanese, m.s. inedito, 1860.
(15) Cfr. Alessandro Serra, op. cit., cap. XXXIX. L’albergo Leonetti, che era uno dei migliori luoghi di ospitalità del paese, si trovava nell’attuale via Crispi, tra lo studio del Dott. Scipione De Lorenzo e la casa della famiglia Natale.
(16) Cfr. G. Rizzo – A.La Rocca ,
op. cit., pag. 319. Il lavoro di questi due apprezzati studiosi merita di
essere annoverato fra i testi fondamentali del brigantaggio meridionale sia per
l’accurata e vasta documentazione, sia per l’analisi super partes del fenomeno.
(8) cfr. Eugenio de Simone, "Atterrite queste popolazioni" – La repressione del brigantaggio in Calabria nel carteggio Sacchi – Milon (1868-1870), Editoriale Progetto 2000, Cosenza, luglio 1994.
(9) Cfr. Ottavio Rossani, op. cit. , pag. 91.
(10) Cfr. G. Rizzo – A.
(11) Ministero per i beni Culturali ed Ambientali – Ufficio centrale per i beni archivistici, Fonti per la storia del brigantaggio postunitario conservato nell’Archivio centrale dello Stato – Tribunali Militari straordinari – Inventario a cura di Loretta De Felice, Pubblicazione degli Archivi di Stato, Strumenti CXXXI, Roma, 1998, pagg. 262 e segg, e pag. 435 e segg. Secondo fonti ufficiali i manutengoli spezzanesi erano 11 undici ma, considerato il numero della popolazione residente e le persone di transito che ivi stazionavano per qualche periodo, essi dovevano essere di più. A tal proposito si consulti A. De Pasquale, Calabria Citeriore tra Francesi e Borboni (Brigantaggio, rivolte, repressioni), Tipolitografia F.sco Chiappetta, Cosenza, 1982, pag. 98.
(12) Ferdinando Cassiani, Spezzano Albanese nella tradizione e nella storia (1470-1918), Edisud, Roma, 1968, II edizione, pag. 122 e 123.
(13) Alessandro Serra, Spezzano Albanese nelle vicende storiche sue e dell’Italia (1470-1945), Edizioni Trimograf, Spezzano Albanese (Cs), 1987, cap. XXXIX. Il Serra si sofferma sull’abbietta figura del benestante Giulio Longo (dei Casali di Cosenza), già ufficiale garibaldino, presentandolo come un manutengolo che si avvaleva di alte complicità militari ed ecclesiastiche locali. Nel suo Diario del 1898, lo studioso G. A. Nociti (1832-1899) si lamenta di essere tormentato da questo delinquente che gli ha rubato antichi e preziosi manoscritti e tenta di portargliene via altri. Inoltre cfr. Francesco Marchianò, Spezzano Albanese: briganti ed episodi di brigantaggio dopo l’Unità d’Italia; in "Katundi Ynë", A. XXXIV- n° 113 – 2003/4, pag. 11.
(14) Nel I censimento nazionale del 1861 il paese contava 4080 abitanti, in cfr. Giovanni Sole, Viaggio nella Calabria citeriore dell’’800 (Pagine di storia sociale), Amministrazione Provinciale di Cosenza. Una descrizione della situazione economica spezzanese è contenuta in G. A. Nociti, Platea da servire per la compilazione di una storia del distretto o del circondario di Spezzano Albanese, m.s. inedito, 1860.
(15) Cfr. Alessandro Serra, op. cit., cap. XXXIX. L’albergo Leonetti, che era uno dei migliori luoghi di ospitalità del paese, si trovava nell’attuale via Crispi, tra lo studio del Dott. Scipione De Lorenzo e la casa della famiglia Natale.
(16) Cfr. G. Rizzo – A.
(17)
Mario Spizzirri, op. cit., pag. 99. Il libro di Spizzirri ricostruisce la
storia dell’insediamento delle stazioni dei Reali Carabinieri nella provincia
di Cosenza nel decennio 1860-’70.
(18) Negli archivi parrocchiali non è registrata nessuna esecuzione capitale e né se ne conserva ricordo alcuno. Che le sentenze venissero eseguite a Cosenza lo testimonia il Padula nel suo "Il Bruzio" dove riporta che il famigerato brigante silano Carmine Bonofiglio, condannato a 20 anni di lavori forzati, sfuggì con l’inganno ai carabinieri che lo traducevano nel carcere del capoluogo. Cfr. S. Lizzano, op. cit., pag. 167.
(19) e (20) v. n. 11.
(18) Negli archivi parrocchiali non è registrata nessuna esecuzione capitale e né se ne conserva ricordo alcuno. Che le sentenze venissero eseguite a Cosenza lo testimonia il Padula nel suo "Il Bruzio" dove riporta che il famigerato brigante silano Carmine Bonofiglio, condannato a 20 anni di lavori forzati, sfuggì con l’inganno ai carabinieri che lo traducevano nel carcere del capoluogo. Cfr. S. Lizzano, op. cit., pag. 167.
(19) e (20) v. n. 11.
A cura di
M. A. Fazzano
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