Dopo il I Congresso tenutosi a Corigliano
Calabro, nel 1895, gli Arbereshe decisero di tener convegno a Lungro, riteunta
la capitale delle comunità albanofone, il 20 e 21 febbraio del 1897.
Nella lettera di avviso per la riunione da
tenersi nella «patriottica Lungro» si pregavano tutti quegli italo-albanesi,
al quali riusciva difficile essere presenti, di farsi rappresentare o aderire
in altro modo. Una preghiera particolare veniva, poi, rivolta ai
sindaci delle colonie ai quali si
ricordava che era opera altamente decorosa e doverosa « per noi stessi, per la
nostra nazionalità, per la nostra lingua, per la nostra letteratura » , aderire
con deliberazioni prese da Consigli Comunali o dalle Giunte.
Venne eletto vice presidente il Sindaco di
Lungro, Nicola Irianni, mentre le funzioni di segretario furono assolte dal
professor Camillo Vaccaro (1).
Vi intervennero Vincenzo Bugliari,
Giuseppe Ciaramella e Michele Calvosa da Santa Sofia d'Epiro; Francesco Chinigò
da San Giorgio Albanese; Raffaele Corrado e Luciano Frascino da Firmo; Anselmo
e Luigi Lorecchio da Pallagorio; Domenico Antonio Marchese da Macchia;
Giosafatte Bellizzi da Frascineto e Giuseppe Aronne, Salvatore Elmo e Martino
Cucci dalla vicina Acquaformosa (2).
Molti altri aderirono per mezzo di
telegrammi, come lo Schirò, il Camodeca, il Conforti, il Lusi, mentre Antonio
Argondizza si era già posto su un piano di aperta rottura.
Girolamo De Rada pronunziò il discorso
inaugurale in albanese e, nella stessa lingua, parlò il capitano Pasquale
Trifilio.
Uno dei convenuti, Angelo Damis, enunciò i
motivi per i quali l'Albania doveva essere annessa al regno d'Italia.
Come era avvenuto nel precedente congresso
di Corigliano, si fecero voti perché venisse istituita la cattedra di lingua
albanese presso l'Istituto Orientale di Napoli (3).
Ne mancò, anche questa volta, il
telegramma di Francesco Crispi: «Ricambio il saluto con l'augurio di una
vicina redenzione dei nostri fratelli che sono al di là dell'Adriatico, ancora
sotto la tirannide del turco » .
Le acque del piccolo mondo italo-albanese
sono, però, già agitate. Il periodico « Ili Arbresvet », che era nato come
organo della Società Nazionale fondata nel congresso di Corigliano, vive
stentatamente e il suo direttore Antonio Argondizza, un uomo intelligente e
ricco di una notevole vena poetica, ma con un temperamento focoso e ribelle, se
ne serve per polemizzare aspramente.
Il comunicato che egli pubblica
all'annunzio della convocazione del secondo congresso, è eloquente a questo
riguardo.
Sorge la contestazione, come accade oggi,
perfino sulla scelta della sede. «Perché Lungro, che non ha fornito un solo
socio (tranne l'illustre generale Damis, residente in Napoli) e non San
Demetrio Corone che, compresi il rione Macchia e il Collegio, conta 15 soci tra
fondatori ed ordinari, e che in forza dell'articolo 2 dello Statuto
fondamentale della Società è la sede di essa? » (4).
E poi che nell'avviso di convocazione si
accenna, tra l'altro, alla opportunità di provvedere alla pubblicazione di una
rivista italo-albanese, l'Argondizza incalza: «Pubblicare una rivista
italo-albanese? ma questa che si sta pubblicando è dunque araba o cinese? » (5).
Altri appunti vengono mossi perché il
decreto di convocazione è datato da Pallagorio, mentre la residenza del
Presidente è Castroregio (6), e poi ancora perché reca la firma del
De Rada, il quale, essendo presidente onorario, non « c'entra
nell'amministrazione e nei decretali della Società ».
Le contestazioni continuano: «Perché
riunire il secondo congresso nel cuore dell'inverno? Forse -insinua
l'Argondizza - per evitare grosso concorso e scodellare in famiglia?
E questo non è tutto, perché nel quarto
numero dell'Ili i Arbresvet, che fu pure l'ultimo e che egli pubblicò a proprie
spese, narra un episodio dal quale emerge chiaro che i suoi rapporti con gli
altri galantuomini arbëreshë sono ormai definitivamente rotti.
« L 'otto gennaio del 1897 - scrive l'
Argondizza - mi trovavo in San Demetrio Corone. Innanzi al municipio incontrai
un amico, che, dopo i complimenti di uso, mi chiese a brucia pelo: « Dunque
avremo presto il secondo congresso? ».
- Non ne so nulla, gli risposi.
- Possibile! riprese l'amico sorridendo - D.
Girolamo De Rada ha promesso di riunirlo in Lungro nel prossimo mese di
febbraio, e qui non vi è chi lo ignori.
- Ma De Rada - osservai io - è presidente
onorario e la convocazione del congresso appartiene, invece, alla presidenza
effettiva.
Eppoi queste riunioni esigono la stagione
estiva; chi vorreste che viaggiasse nel cuore dell'inverno?
-E' vero questo - 'amico a me -e la stessa
difficoltà si è fatta a D. Girolamo il quale rispose: « Anzi è la stagione più
propizia; perché il tempo dell'uccisione dei maiali » (7).
Nello stesso numero della rivista
l'Argondizza, dopo una serie di considerazioni, si congeda dai lettori: «Considerando che se la fiducia riposta in me dal 1. Congresso Albanese del
primo ottobre 1895, nominandomi ad unanimità Direttore della rivista
Italo - Albanese « Ili arbresvet » (La
Stella degli Albanesi) mi imponeva degli obblighi morali, il programma della
Presidenza, datato a Pallagorio, il 27 gennaio 1897, mi scioglieva da ogni
impegno e da ogni obbligo morale e materiale; considerando che mio unico dovere
come Direttore, era di fornire materiale letterario della Stella degli
Albanesi, senza obbligo di provvedere alle spese di pubblicazione; ed io
solamente ho fornito tale materiale, ma dei quattro fascicoli pubblicati della
rivista, tre furono fatti e spediti a mie spese; considerando che, non avendo
assunto alcun obbligo ne di carica, ne personale coi socii e cogli abbonati
della Rivista e che non avendo esatto un centesimo da chicchessia, non mi credo
tenuto a rispondere di nulla; per tali considerazioni mi sento in diritto di
rassegnare pubblicamente le mie dimissioni da Direttore della rivista
italo-albanese «Ili i arbresvet » come le rassegno risolutamente col presente
scritto» (8). E fu la fine della rivista!
Nella tornata del 21 febbraio si trattò la
parte dell'ordine del giorno che riguardava la revisione e la modifica dello
Statuto provvisorio della Società Nazionale. Tra gli scopi che essa si
prefiggeva di raggiungere -ricerca di un alfabeto, compilazione di un
dizionario, pubblicazione di una rivista italo-albanese - restava in piedi
l'esigenza dell'apertura di relazioni con la madre patria.
Quali modifiche vengono apportate allo
Statuto? La sede della Società che, a norma dell 'articolo 2, era stata fissata
a San Demetrio Corone, viene trasferita a Lungro.
Nell'elenco dei congressisti non figura
alcun cittadino di San Demetrio: e questo è sintomatico. Una presa di posizione
o un palese atto di sabotaggio per qualche notizia trapelata circa il
cambiamento della sede sociale? (9).
Vivacissime dispute si accendono intorno
all'articolo 10, in virtù del quale « è esclusa ogni discussione politica dalla
Società e dalla Rivista» .
Angelo Damis spiega i motivi per i quali
egli ritiene che questo articolo debba essere modificato nel senso che la
Società e la rivista possano e debbano occuparsi di tutto quanto giovi alle aspirazioni
albanesi. Raffaele De Marco si associa con un lungo
discorso alla proposta del Damis,
aggiungendo che non si può - trattare della cultura della lingua senza fare,
anche non volendo, della politica.
Camillo Vaccaro propone la radiazione pura
e semplice dell'articolo che viene così eliminato, proprio perché non si riesce
a trovare quel compromesso di cui siamo diventati maestri noi moderni ed al
quale, però, non si ricorreva allora perché nessuno era disposto a sacrificare
la propria opinione e a mettere da parte il proprio punto di vista.
In realtà, dopo qualche anno, della
Società Nazionale restava solo il nome.
Come vedremo, nel breve corso di un
decennio nelle colonie italo-albanesi si succederanno comitati e società,
senza, però, riuscire ad affermarsi su salde basi o espletare il programma
proposto. Il problema sollevato interesserà, però, altra gente e
il movimento uscirà dallo stretto ambito
della provincia per risalire verso Napoli e verso Roma.
(1) Camillo Vaccaro, nato a Lungro nel 1865, fu educatore e filosofo
stimato dall'Ardigò e dal Lombroso. Maestro nel senso più ampio del termine,
fondò a Lungro una sua scuola, alla quale attinsero il sapere diverse
generazioni di professionisti e di operai. Visse gli ultimi anni della sua vita
a Roma tra i suoi libri e i suoi ricordi e mori più che nonagenario il 1956.
(2) A costoro si unì una larga schiera di cittadini di Lungro: Giovanni
Damis, Angelo Santoianni, Ambrogio e Pasquale Irianni, Giovanni Aragona,
Giovanni Vincenzo Leccadito, Costantino Cucci fu Domenico, Francesco De
Marchis, Archilao e Scipione De Lorenzo, Alfonso Nociti, Giorgio Vaccaro,
Pietro Bavasso, Nicola a Pasquale Trifilio, Raffaele Dramis, Costantino
Belluscio, Achille e Nicola Irianni, Giovanni Vincenzo Straticò, Raffaele De
Marco, Ferruccio Martino, Ferdinando Manes, Serafino Rennis di Raffaele,
Francesco Dramis, Alberto Barberuni, Ugo Strocchì, Alfonso e Gìovannì Irìannì,
Amerìgo e Bettìno Santoìanni, Pasquale Manes, Raffaele Belluscio, Raffaele
Vaccaro, Giuseppe Cucci, Giovanni Vincenzo Martino, Pietro Martino fu Ambrosio,
Francesco Sciuti, Andrea Ferraro, Costantino Bavasso, Vincenzo Russo, Pietro
Straticò, Pasquale Lauriti di Ettore, Vincenzo Frascini, Luigi Pisani, Luigi
Straticò, Domenico De Marco, Nicola Minervini, Nicola Martino, Domenico Damis,
Aquilino Vaccaro, Francesco Ferraro e Francesco Martini di Vincenzo.
( 3) La richiesta, indirizzata al Crispi, presidente del Consiglio dei
Ministri, e sottoscritta da centinaia di italo-albanesi, era del seguente tenore:
« Noi sottoscritti, cittadini di ...Colonia Albanese nella Provincia di
...facciamo voti al Governo di S. M. il Re per la istituzione di una cattedra
di lingua albanese nel R. Istituto Orientale di Napoli. Una è già in esercizio,
da qualche anno, in San Demetrio Corone; e dà i suoi mirabili risultati. Ma
questa sola non basta; e noi imploriamo che se ne istituisca un'altra in
Napoli; ove per il sito e per l'altissima reputazione in cui è tenuto quel H. Istituto possono
accorrere gli studiosi di tutte le parti. Vostra Eccellenza, primo Ministro
della Corona e il più illustre figlio delle nostre colonie, vorrà esaudire i
nostri voti, facendo per tale guisa opera di altissimo decoro per questa
seconda patria nostra e di grandissimo aiuto agli studi della lingua albanese,
antichissima fra tutte ».
(4) Cfr. Ili i Arbresvet, anno I, n. 3 del 31 gennaio 1897.
(5) Idem.
(6) Il presidente effettivo era Pietro Camodeca, sul quale vedi: Giovanni
Laviola, Pietro Camodeca de' Coronei, Aversa ( 1969).
(7) Cfr. A. Argondizza in « Ili i Arbresvet » n. 4, p. 51. Antonio
Argondizza, vissuto dal 1838 al 1919, fu scrittore e poeta e si inserì el
movimento letterario e politico italo-albanese del tempo con la spontaneità
della sua vena poetica, la forza del suo temperamento polemico e l'inquietudine
del suo spirito contestatore. Nell'ambito di questo movimento la sua figura
dovrebbe trovare degna collocazione, perché si tratta di un personaggio, per
molti lati, veramente interessante. Conoscitore esperto della lingua arbëresh,
compose alcune liriche, una delle quali « Il pianto di un'orfana ~ fu inclusa dal De Rada
nella sua antologia e lodata dallo stesso come « un buon testo di lingua
albanese ~. I suoi lavori in lingua
italiana sono numerosi e si riferiscono ad argomenti diversi, perché diverse
furono le esperienze dell' Argondizza, in Italia e all'estero: visitò egli,
infatti, la Spagna, la Francia l'Albania e, a New York, nel 1890, pubblicò un
giornaletto « L'emigrato Italiano » per mezzo del quale volle fare opera educativa
mettendo in guardia -come scrive il Galati -gli emigrati italiani, i quali, per
scimmiottare gli americani, sperperavano i loro guadagni. Tra i numerosi suoi
scritti ricordiamo: Poesie varie ( 1865) ; Collegio Italo-Greco di Santo
Adriano ( 1884) ; Saggio di costumi americani ( 1894) ; Volere è potere ( 1897)
; Il viaggio di Don Casciaro o il socialismo svelato 1898. Su questo ultimo
vedi: Giovanni Laviola: Un poemetto burlesco del poeta italo-albanese Antonio
Argondizza, in «Risveglio Ezjimi» Anno XII, n. 1, 1974.
(8) Rivista citata, p. 52.
I quattro numeri di «Ili i Arbresvet » portano rispettivamente le seguenti
date: 1 agosto 1996 (sic); 30 settembre 1896; 31 gennaio 1897 e 28 febbraio
1897. I primi due sono datati Corigliano Calabro e stampati dalla Tipografia
del Popolano della stessa località, mentre il terzo e il quarto sono datati San
Giorgio Albanese e stampati dalla tipografia Francesco Fiore di Acerra.
Cogliamo qui l'occasione per ringraziare Emilio Tavolaro, il quale ce ne ha
fatto gentile omaggio.
(9) Questo della rivalità dei due centri è un motivo ricorrente nel corso
della storta delle comunità albanesi della provincia di Cosenza. Forse proprio
per superare un tale ostacolo, il Camodeca propose quale sede del vescovo della
costituenda diocesi autonoma di rito greco il comune di Spezzano Albanese. Cfr.
P. Camodeca, L'autonomia ecclesiastica degli italo-albanesi, Roma ( 1903) .
di Giovanni Laviola
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