Benedetto
Vescovo
Servo dei servi
di Dio, a perpetua memoria
I fedeli cattolici di rito greco, che
abitavano l’Epiro e l’Albania, fuggiti a più riprese dalla dominazione dei
turchi, emigrarono nella vicina Italia, ove, accolti con generosa liberalità si
stabilirono nelle terre della Calabria e della Sicilia, conservando, come del
resto era giusto, i costumi e le tradizioni del popolo greco, in modo
particolare i riti della loro Chiesa, insieme a tutte le leggi e consuetudini
che essi avevano ricevute dai loro padri ed avevano con somma cura ed amore
conservate per lungo corso di secoli.
Questo modo di vivere dei profughi
albanesi fu ben volentieri approvato e permesso dall’autorità pontificia, di
modo che essi, al di là del proprio ciel, quasi ritrovarono la loro patria in
suolo italiano.
All’inizio, come suole accadere,
tutto andò bene per ambedue le parti. Ma con l’andar del tempo, raffreddatasi la
carità di chi li ospitava, cominciarono a sorgere con troppa frequenza gravi e
fastidiose liti, che tristemente turbavano la pace dei fedeli che, pur
professavano gli stessi dogmi della medesima Chiesa. E l’origine di questi
dissensi, se sorvoliamo sulle cause meno importanti, bisogna ricercarla nel
fatto che i fedeli di rito greco, per quanto riguardava il governo e la
disciplina, erano sottoposti alla giurisdizione ordinaria dei presuli latini,
nelle cui diocesi risiedevano. Infatti questi vescovi, che ignoravano o non
conoscevano bene né la liturgia né la disciplina, né le consuetudini, né le
leggi e gli usi della Chiesa ortodossa unita, talora, nel governo dei sudditi
fedeli di rito greco, stabilirono cose che questi stimavano lesive dei loro
diritti e privilegi e così si rifiutavano tenacemente di ubbidire alle
disposizioni.
A ciò si aggiunse un altro fastidioso
inconveniente: l’aspra lotta fra i parroci dei due riti, particolarmente per
quanto riguardava i propri rispettivi diritti nell’amministrazione dei
sacramenti. Onde veniva turbata la pace tra il clero con gravissimo scandalo dei
fedeli e detrimento della mutua carità.
Desideroso di mettere riparo con
saggia fermezza a questi mali, che ormai serpeggiavano sia nelle diocesi della
Calabria, sia in quelle della Sicilia, ove i fedeli di rito greco vivevano
mescolati ai latini, il nostro predecessore, Papa Benedetto XIV, di f. m., emanò
in data 26 maggio dell’anno 1742, la costituzione apostolica “Etsi Pastoralis”,
nella quale, dopo di aver ammonito che voleva riconfermare e assicurare e
garantire in futuro quanto fosse già stato benignamente concesso dalla S. Sede
Apostolica in favore dei fedeli di rito greco, giustamente soggiunge: “…..
poiché, poi, in conformità alle diverse circostanze e tempi, i Romani
Pontefici e le Congregazioni dei Padri Cardinali della S. Romana Chiesa
emanarono molte e diverse costituzioni apostoliche, ordinanze, risposte, editti
e decreti riguardanti i greci e gli albanesi e i loro riti e consuetudini,
nonché la debita sottomissione ai Presuli latini nelle cui diocesi essi
dimoravano; e per questo motivo sorsero spesso e continuano a sorgere
discussioni e controversie sia circa i riti greci ed albanesi, sia circa le
facoltà dei loro sacerdoti, come pure circa la giurisdizione e l’autorità dei
presuli e dei parroci latini; noi sollecitati dal nostro pastorale ufficio,
volendo, per quanto possiamo, porre a questi mali un opportuno rimedio e
rimuovere ogni causa di liti, contese, dissidi, lotte, discussioni e
controversie…..” .
Perciò, quel sapientissimo Pontefice
promulgò la succitata costituzione, la quale tuttavia poichè le cause dei mali
avevano già messo radici, non ebbe un esisto felice.
Le contese, infatti, e le
controversie, ma specialmente le defezioni all’autorità dei legittimi vescovi, e
infine tutti quei mali e danni cha Papa Benedetto XIV, mosso dalla pastorale
sollecitudine, si riprometteva di stroncare senza troppe difficoltà con la sua
prelodata lettera, nel corso di circa due secoli andarono viepiù crescendo in
tutte le regioni ove abitavano i fedeli di rito greco, e mentre dappertutto le
cose erano peggiorate, qua e là si facevano più violente, con gravissimo danno
della cristiana carità e persino con pericolo della fede cattolica.
In queste lamentevoli condizioni
rimasero in Italia i fedeli di rito greco fino al tempo presente, senza che
nessun efficace provvedimento venisse preso per risollevarle. Ora poi, giacchè
sin dall’anno del Signore 1912 non fu nominato nessun successore di Giovanni
Barcia, di f.m., vescovo titolare di Croia, a cui, mentre era in vita era stato
affidato l’ufficio di conferire i sacri ordini ai chierici greci oriundi della
Calabria e di reggere il collegio di S. Adriano in San Demetrio Corone; noi
incaricammo la S. Congregazione de Propaganda Fide per gli affari dei riti
orientali perché ci esponesse quanto potesse giovare alla buona e retta
amministrazione e alla riforma dei fedeli di rito greco. Per questo motivo i
nostri venerabili fratelli cardinali della S. Chiesa Romana, preposti alla
medesima Congregazione, nel congresso plenario del giorno 19 del mese di
novembre dell’anno 1917 stimarono opportuno di farci la proposta che tutti i
greci della Calabria, ove in maggior numero abitano e sono soggetti ai presuli
latini, vengano sottratti alla giurisdizione ordinaria dei vescovi latini per
costituire un’unica diocesi di rito greco.
Questo consiglio che ci era stato
proposto, noi ordinammo che fosse di nuovo e più compiutamente esaminato e
discusso dai nostri venerati fratelli, anch’essi cardinali della S. Chiesa
Romana, preposti alla nuova congregazione da noi fondata, cioè per la Chiesa
Orientale. Questi cardinali, nel congresso generale del giorno 11 del mese di
febbraio u.s., stimarono che si poteva mettere in esecuzione, se così fosse a
noi piaciuto, l’erezione della nuova diocesi di rito greco in terra di
Calabria.
Noi, quindi, che sin dall’inizio del
nostro pontificato avevamo tanto a cuore la chiesa orientale e meditavamo cosa
si dovesse fare per venire incontro con più fermezza alle necessità e al giusto
decoro della chiesa universale e delle altre Chiese particolari, intuendo la
opportunità del momento, raccomandammo caldamente la sunnominata proposta e la
ritenemmo valida, perché pienamente consona alla nostra
deliberazione.
Per cui noi, con piena apostolica
autorità, decretiamo che venga canonicamente istituita immediatamente la diocesi
di rito greco in terra di Calabria. E a questa diocesi, che sarà chiamata
“Lungro” conferiamo ed assegniamo le seguenti parrocchie con tutti i fedeli sia
di rito greco sia di rito latino, se ve ne fossero, che dimorano in
esse; pertanto le stacchiamo e separiamo dalle diocesi latine, alle quali
attualmente appartengono, tali parrocchie precisamente sono: dell’arcidiocesi di
Rossano, San Demetrio Corone, San Giorgio albanese, Vaccarizzo, Macchia; dalla
diocesi di Bisignano, San Benedetto Ullano, S, Sofia d’Epiro; dalla diocesi di
Cassano, Aquaformosa, Civita, Firmo, Frascineto, Lungro, Plataci, Percile, San
Basile; della diocesi di Anglona, Castroregio, Farneta, San Costantino albanese,
San Paolo albanese.
Inoltre, affinchè per l’avvenire
possano godere del beneficio della cura pastorale del vescovo del medesimo rito
anche i non pochi fedeli di rito greco che dimorano fuori della Calabria, ma pur
sempre nell’Italia meridionale, Noi con apostolica autorità ordiniamo che ai
soprannominati paesi da riunire nella diocesi di Lungro vengano aggiunti i
fedeli del paese chiamato Villa Badessa, della diocesi di Penne e quelli di una
parrocchia della città di Lecce. Poiché, d’altra parte, in S. Cosmo, della
diocesi di Rossano, esistono due parrocchie, cioè una greca e una latina, ed
inoltre siccome nella predetta città di Lecce i fedeli di rito greco vivono
frammisti ai fedeli di rito latino, decretiamo che in questi luoghi la
giurisdizione del vescovo sia soltanto “personale”, si estenda cioè unicamente
ai fedeli e al parroco di rito greco di quei luoghi, mentre i fedeli dei rito
latino continueranno a rimanere sotto l’ordinaria giurisdizione dell’arcivescovo
di Rossano e del vescovo di Lecce.
Erigiamo poi ed istituiamo in
perpetuo la sede di questa diocesi di rito greco nel luogo chiamato Lungro; ed
eleviamo ed innalziamo alla dignità e al grado di cattedrale in perpetuo la
Chiesa di S. Nicola di Mira, già parrocchiale. Inoltre, come fu stabilito in
passato, noi costituiamo vescovo ordinario di rito greco in Calabria il presule
eletto a reggere la diocesi di Lungro, e gli affidiamo anche l’incarico e
l’ufficio di rettore del collegio di San Adriano con le necessarie e convenienti
facoltà.
Perciò ordiniamo a quanti spetta o
possa riguardare, che riconoscano ed accettino in questo incarico ed ufficio il
sopradetto vescovo di Lungro, come d’uso e secondo i patti, e a lui ubbidiscano,
lo assistano e gli siano d’aiuto.
Poiché, poi, questa piccola diocesi
non può avere un suo proprio seminario per la completa educazione e istruzione
dei chierici più giovani, stabiliamo che per i giovanetti che diano segni di
vocazione ecclesiastica siano riservati in perpetuo cinque posti sia nel nuovo
seminario pontificio recentemente da noi fondato presso il monastero di S.
Basilio di rito greco in Grottaferrata, sia nel collegio di S. Atanasio in Roma;
stabiliamo inoltre che la diocesi or ora eretta sia immediatamente soggetta alla
Santa Sede e alla Santa Congregazione per la Chiesa Orientale.
Nessuno peraltro si permetta in
nessun tempo di infrangere con apostolica autorità quanto abbiamo decretato in
queste lettere, né di rifiutarlo, né di contrastarlo in modo alcuno. Se poi
qualcuno, che Dio non permetta, avesse la pretesa di tentarlo, sappia che egli
va incontro alle pene stabilite dai sacri canoni contro chi si oppone
all’esercizio della giurisdizione ecclesiastica.
Per l’esecuzione di questi mandati,
poi, deleghiamo il nostro venerabile fratello Orazio Mazzella, arcivescovo di
Taranto, con tutte le facoltà necessarie e convenienti allo scopo, dandogli
anche la facoltà di subdelegare qualunque altro dignitario ecclesiastico e gli
affidiamo anche l’incarico di disporre quanto potrà contribuire alla retta
amministrazione della nuova diocesi, dopo essersi consultato col neo-eletto
vescovo greco e coi reverendissimi ordinari latini, e cioè, di Rossano,
Bisignano, Cassano, Penne, Lecce, Anglona, a patto però che entro sei mesi dal
giorno di promulgazione di questa lettera, rimetta alla Sacra Congregazione per
la Chiesa Orientale le norme da lui stabilite per ottenere la loro definitiva
approvazione, ed abbia pure cura di trasmettere al medesimo Sacro Dicastero un
esemplare autentico dell’avvenuta esecuzione.
Dato in Roma, presso S. Pietro,
nell’anno del Signore 1919, il giorno 13 del mese di febbraio, nel quinto anno
del nostro pontificato.
C. Card. Cagiano
S.R.E. Cancellarius
|
N. Card. Marini
S. C. pro Ecclesia Orientali a
secretis
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