Dissertando di storia risorgimentale , non si può obliare la figura di un
altro suo grande protagonista, l’italo albanese, Giuseppe Pace. Nato da antica
e nobile famiglia, suo padre era Muzio
Pace e la madre la duchessa Maria Baratta, negli anni della cospirazione e
della lotta e per la redenzione della patria diede il braccio, l’ingegno e gli
averi. Così lo illustrò nelle sue memorie il duca Sigismondo di Castromediano “…di
volto simpatico, di elette maniere, di larghi studi, aveva voce dolce e persuasiva,
una natura mite, cuore generoso ed ardito.”
Egli nacque a Castrovillari nel 1824
e, giovinetto, avviato agli studi classici nel Collegio Italo Albanese San
Adriano vi ebbe compagni di studio
Domenico Damis e Vincenzo Stratigò e dove assimilò tutti quegli elementi
culturali necessari per una formazione di vita dedita alla morale e all’amor
patrio, Trasferitosi a Napoli, nel 1844 si laureò in giurisprudenza e lettere
frequentando lì gruppi di intellettuali liberali della sua etnia, come il mazziniano
Achille Frascino di Firmo. Infatti, nel ’43, costituitosi nella capitale un comitato centrale di
agitazione con i migliori elementi liberali del Mezzogiorno, in concomitanza
con il Frascino ed il Mazzini che allora si trovava a Londra ed al conte Giuseppe
Ricciardi, pensò di promuovere delle insurrezioni simultanee in Calabria, dove
l’ energica propaganda della Giovine Italia, soprattutto negli ambienti italo albanesi, aveva riacceso l’odio contro la tirannide
borbonica; e stabilito che, per allora, i rivoluzionari repubblicani e i
monarchici costituzionali filo sabaudi
dovessero affratellarsi prefiggendosi come fine ultimo la liberazione
dell’Italia, poiché ad obiettivo raggiunto, la questione della forma politica
sarebbe stata risoluta da una Libera Costituente Nazionale.
Venuto il ’48, e fondate a Cosenza e in altre città della provincia le
associazioni segrete, affiliazioni della
Giovine Italia, in seguito al nefando ritiro della Costituzione da parte
di Ferdinando II, del quale parlamento fu eletto deputato, il Pace appartenne, insieme a Domenico Damis
di Lungro, Vincenzo Luci di Spezzano Albanese e Luigi Praino di Cassano Jonio,
alla società di Castrovillari, che prese il nome dal fiume Lagaria ed ebbe a
sommo sacerdote il sacerdote Raffaele Salerno.
Allo scoppio della rivoluzione fu nominato con Domenico Mauro di San
Demetrio Corone, commissario con pieni poteri nel suo distretto, combattendo in
quell’anno con il Damis , Placco e Luci al Monte Sant’Angelo. In seguito alla
fallita rivoluzione si rese latitante alla dura reazione borbonica. Introvabile
dalle forze della polizia borbonica, per ritorsione fu arrestata la madre, la
duchessa Maria Baratta, che patì per quattro mesi il duro carcere. Il Pace
costretto dal triste evento decise di consegnarsi al nemico e fu il 1851
condannato a morte. Nel 1852 la pena gli fu commutata all’ergastolo che scontò
prima nel bagno di Procida e poi in quello di Santo Stefano assieme ad illustri
personaggi come il Settembrini, Poerio,
Damis, Spaventa, Placco e Lamenza.
Seppur ergastolano e patendo le durezze della prigionia nel 1855 fu
accusato di intrattenere corrispondenze con il Comitato Rivoluzionario di
Napoli. Così scrive al riguardo Arrighi: “…Venne
condotto a Napoli a piedi, ed incatenato gli fecero percorrere due volte via
Toledo, indi venne torturato nelle segrete di Santa Maria Apparente col
concedergli solo acqua putrida e cibi guasti, e col tenerlo in luogo umido e
privo di aria.”
Essendo considerato dalla polizia borbonica “ elemento pericolosissimo”,
Ferdinando II decise, così come fece anche per altri 66 “ pericolosissimi” tra
i quali il suo inseparabile compagno di studi Domenico Damis, di esiliarlo in
Argentina, ma per il noto fatto del figlio di Settembrino fu sbarcato nella
baia di Cork in Irlanda con il resto dei condannati politici. Quindi passò
prima a Bristol e poi a Londra e di là rientrò in Italia soggiornando per
qualche periodo a Torino. Nel 1860 scese in Sicilia con la seconda spedizione
comandata dal generale Medici, e date prove di gran valore, venne con il Damis
, quest’ultimo dello Stato Maggiore di Garibaldi, ad organizzare in Calabria il
Battaglione degli Albanesi, che al Volturno combattè
splendidamente come scrisse Garibaldi a pagina 391 delle sue “ Memorie Autobiografiche.” Ad
Unità compiuta, pago del dovere compiuto, rifiutò ogni grado militare,
accettando solo il mandato politico in Parlamento dall’elettorato di Cassano
allo Jonio nelle elezioni che si fecero nel gennaio del 1861. Visse altri pochi
anni, nel 1866, mentre per incarico del Ministero della Guerra veniva in
Calabria per organizzare un corpo di volontari che accorresse alla liberazione
di Venezia, si spense a soli 42 anni.
Egli fu, come disse Raffaele De Cesare, … “ una delle figure più geniali del risorgimento nazionale, e il suo nome
vivrà, malgrado l’oblìo dei suoi concittadini.”
Bibliografia essenziale:
P. Camardella i Calabresi della Spedizione dei
Mille; Roma 1913.
G.C. Siciliano, L’utopia popolare
della repubblica, gli arbersh e la Gran Corte Criminale Falco editore Cosenza 2009.
Archivio Damis Lungro.
Foto: Valentina Dell’Aira.
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