Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro
Antichi rapporti hanno
sempre legato la Puglia con la sfera politica e religiosa bizantina, soprattutto
attraverso i contatti commerciali con i litorali dalmati e greco albanesi. L’influenza
culturale di Bisanzio sull’ambiente pugliese affonda le sue radici fin dai
tempi della guerra greco-gotica (535-553) resistendo sia all’invasione
longobarda del 568, sia agli attacchi musulmani dell’847, questi ultimi
repressi grazie all’opera militare di Basilio il Macedone (867-886).1 Nel
553, con la conquista della Puglia da parte dell’imperatore d’Oriente Giustiniano,
si avviò la prima colonizzazione bizantina e con essa anche l’introduzione
della lingua e della liturgia greca, aspetti rilevanti che rimasero inalterati
nel corso dei secoli. Negli anni 871-1071, decisiva fu la difesa che i
bizantini opposero alle incursioni dei saraceni, preservando il loro potere sia
da essi che dai longobardi avviando l’inizio alla “bizantinizzazione” dell’Italia meridionale.
Come già
accennato, gli interscambi politici e socio economici della Puglia con il
Levante, si mantennero vivi per molti secoli e nel XV secolo, dopo la parentesi
angioina, divennero ancor più solidi con la politica estera che gli aragonesi
adottarono con la vicina Albania di Skanderbeg. I rapporti tra Giorgio
Castriota Skanderbeg e Alfonso il Magnanimo prima e Ferrante in seguito furono
di cordialissima “amicizia”2
considerandosi, oltre che amici anche fedeli alleati contro gli ottomani.3
Agli inizi del XVI secolo
con la dinastia degli Asburgo tale attività diplomatica divenne più fluida ed
intensa soprattutto per gli interessi e le preoccupazioni che Carlo V nutriva
per la questione peloponnesiaca. Dopo la caduta di Corone, Modone e di altre
roccaforti cristiane nel Peloponneso 1532-34), su loro esplicita richiesta
molti, greco albanesi preferirono rifugiarsi nell’Italia meridionale
insediandosi - come avvenne a Napoli a Palermo, Venezia e Livorno - prima nelle
città costiere dove fervente era l’attività commerciale e in seguito, buona
parte di loro, nell’entroterra del Regno. A Barletta si insediò un consistente
nucleo di greco albanesi, che venne identificato, come Coroneo. Già dall’inizio
non ebbero problemi nell’integrarsi con la popolazione residente, mostrando
altresì un forte attaccamento alle loro origini etniche e religiose. In
principio il loro luogo di culto fu la Chiesa di San Giorgio, successivamente,
essendo aumentato la loro presenza in città, decisero di trasferirsi in un
luogo più ampio e confortevole: la Chiesa di Santa Maria degli Angeli, poi
denominata dei Greci.4
Il primo gruppo greco
albanese si insediò a Casale Trinità (attuale Trinitapoli) che era sotto la
giurisdizione del regio Capitano di Barletta secondo il privilegio del 31
ottobre del 1496) concesso all’Università da Federico d’Aragona. Esiste la
probabilità che il loro primo luogo di culto fosse la Chiesa di Santa Maria de Lureto. L’unica notizia che si ha di
questa chiesa si desume dalla Santa Visita del 1547. Era una chiesa fuori
Barletta, “ruinata” per causa della
guerra; aveva di entrate un tomolo di sale; ed a don Giacomo de Mascia che la
gestiva si ordinava “di accomodare la
cappella e di farci l’immagine della Madonna” nel termine di 15 giorni.5 Dal manoscritto di Mons.
Salvatore Santeramo, “Barletta nel 500”,
non si hanno notizie certe riguardo le prime attività religiose che i greco
albanesi svolsero in quella Chiesa, tuttavia egli sostiene che: “Verso la fine del 1400 essendo capitati a
Barletta 200 famiglie greci e illiriciani (greco albanesi) per maltrattamenti
guerreschi ebbero ogni riconoscimento di liberi cittadini e, costituiti in
colonia, presero alle loro dipendenze le Chiese di San Giorgio e di Santa Maria
degli Angeli. Difatti il 13 maggio 1601 come risulta dal notaio Orazio de Leo i
sacerdoti greci, don Antonio e don Emanuele Acconti, per 60 ducati si
impegnavano a celebrare messe nelle feste comandate e di amministrare i
sacramenti ai parrocchiani di nazionalità greca abitanti in Barletta.”6 Quindi è da ritenere,
secondo le informazioni del Santeramo e del Di Napoli, che in Barletta, tra la
fine del XV e gli inizi del XVI secolo, l’esistenza due chiese aperte al culto
dei greco albanesi il cui procuratore era Don Giovanni Gisi.7
Tuttavia le prime fonti
documentali riguardo l’insediamento in città dei così detti “coronei”, in
verità greco albanesi, “negozianti peloponnesiaci” risalgono al 1536.8 Importante, in tal caso, è
un documento che conferma la presenza dei greco albanesi in Barletta in
quell’anno, desunto da un atto di vendita concernente una casa nell’isola di
Zakinthos (Zante) in strata Sante Trinitatis, dove compaiono tra i nomi dei
testimoni un “dominus Franciscus de la Checa de Barolo, Iohannes, presbiter
grecus, il Capitano Antonius Stratigò Paleologo (già attivo presso la Comunità
greca di Napoli) e dell’abbate Lattantius Acconzaiocus.9 Quindi è comprovante che i primi insediamenti
“Coronei” a Barletta si sono avuti qualche anno dopo la caduta di Corone,
considerando con ciò che i flussi migratori greco albanesi dal Peloponneso
verso l’Italia meridionale si svilupparono, senza interruzioni, per tutto il
XVI ed il XVII secolo.
Inoltre, un insieme di
documenti archivistici più voluminoso, riguardante la vita sociale e religiosa
degli Arbëreshë, perché così possono essere
definiti quelli di Barletta, è fruibile dalla metà del XVI secolo. I greco albanesi
in poco tempo ottennero la loro chiesa parrocchiale e attraverso un notaio,
alle dipendenze dirette dei greci dimoranti a Barletta, Bernardino De Paccis10
Ecco alcune notizie che
riguardano i cittadini greci dimoranti in Barletta. Più di 40 greci di Corone e
di Jannina, compreso il Vicario generale, Manobio Tracicosus e l’arciprete
Nicola Malauguro dei chierici coronei in un atto del notaio P. de Geraldinis
del 5 marzo 1553, convennero di nominare Andrea Draguleo loro rappresentante
innanzi a tutti i tribunali, perché si chiegga, si ottenga e venga riconosciuta
dalla Summaria e dal Vicerè la loro franchigia che L’Università di Barletta non
vuol riconoscere e chiedono gli arretrati. Più tardi, il 27 settembre 1554,
allo stesso Dracoleo si dà l’incarico di dividere tra i greci e abanesi il
grano che si ricava dalla Curia Romana. Di seguito si elencano molti contratti
trascritti dal notaio Bernardino de Pacis che realmente è notaio dei greci
dimoranti a Barletta.
A differenza dei greco albanesi che si stabilirono
a Napoli, essi non trovarono sul posto un preesistente luogo di culto religioso
e per ottenerlo dovettero negoziare con le autorità locali.
I greci dunque ebbero ben
presto la loro chiesa in Barletta. Il resoconto storico del Zeno, redatto a
Napoli nel 1858 e conservato nell’Archivio Diocesano di Barletta, sostiene che:
«Quelli di Barletta […] sono stati ricevuti come Cattolici Romani, di rito
Greco, non essendo permesso nel Regno altro culto, e nemmeno tollerato, per le
leggi vigenti». Perciò: «Si deve ritenere sempre che [la chiesa di santa Maria
degli Angeli] fosse stata fondata per Chiesa Cattolica unita alla Chiesa
Occidentale, ed è follia il voler sostenere il contrario […] altrimenti non
sarebbe loro stato permesso di fondare Chiese di rito Greco Scismatico, perché
proibito dalle leggi di Stato, dai Concordati fatti colla S. Sede Romana». 11
Un aspetto rilevante
riguardo la Comunità greca di Barletta è quello della presenza, quasi stabile,
dell’Arcivescovo di Corone, Benedetto. Egli non conosceva la lingua italiana e
per comunicare si serviva dei suoi parenti oppure di soggetti appartenenti al
clero coronense.12 Sicuramente
era una persona molto agiata visto che i suoi interessi venivano curati dai
banchieri genovesi operanti in Napoli.13
Dal 1553 in poi la figura
di Benedetto non viene più menzionata dalle varie fonti e ciò lascia presumere
che proprio in quella data egli morì. A sostituirlo, nella guida pastorale dei
greco albanesi di Corone e di Jannina, fu il Vicario Generale Manobio
Tarcicosus o Tarsichei, coadiuvato dal papas Nicola Malauguro.14
Mentre nella comunità
greca di Napoli l’insediamento fu caratterizzato dall’elemento militare e meno
da quello economico, in Barletta come a Livorno i tratti essenziali furono
determinati dall’emporion.
In un tempo non
determinato la chiesa di Santa Maria degli Angeli fu ceduta ai greci coronei di
rito greco cattolico e pare ciò sia avvenuto verso la seconda metà del 1400,
quando molti greci e illiriciani per
maltrattamenti guerreschi come sopra si è detto, emigrarono dalle regioni
dalmate e greche sulle coste specialmente dell’Italia meridionale.15
Della cessione della
chiesa greca cattolica fa menzione nei libri delle Sante Visite, specialmente
in quella del 1639, in cui l’Arcivescovo don Tommaso Ancora esegue in quella
chiesa la S. Visita locale e personale ed il chierico greco Antonio de
Francesco mostra all’Arcivescovo le scritture della cessione della chiesa, il
libro dei beni e quello dei battesimi. Dichiara che per la sua cresima invece
della formula usata dalla Chiesa Cattolica, i greci recitano una orazione sul
battezzato e per ciò l’Arcivescovo fa obbligo di tenere esposta in chiesa la
bolla di Papa Clemente VIII che riguarda i riti greci.16
D’ora in poi pubblico,
integralmente, le notizie apprese dal Libro di Alfredo di Napoli e da quello di
Mons. Santeramo, di cui sopra si è fatto cenno.
Ecco alcune informazioni
che riguardano i cittadini greci dimoranti in Barletta. Più di 40 greci di
Corone e di Jannina, compreso il Vicario generale, Manobio Tracicosus e
l’arciprete Nicola Malauguro dei chierici coronei in un atto del notaio P. de
Geraldinis del 5 marzo 1553, convennero di nominare Andrea Draguleo loro
rappresentante innanzi a tutti i tribunali, perché si chiegga, si ottenga e
venga riconosciuta dalla Summaria e dal Vicerè la loro franchigia che
L’Università di Barletta non vuol riconoscere e chiedono gli arretrati. Più
tardi, il 27 settembre 1554, allo stesso Dracoleo si dà l’incarico di dividere
tra i greci e abanesi il grano che si ricava dalla Curia Romana. Di seguito si
elencano molti contratti trascritti dal notaio Bernardino de Pacis che
realmente è notaio dei greci dimoranti a Barletta.
Nel 1550, 8 ottobre,
l’Arcivescovo Benedictus coronense, dimorante in Barletta, per alcune somme che
deve esigere in Napoli ed in Sicilia nomina procuratore il medesimo Draguleo,
che ora dimora in Napoli, dalla quale città, detto procuratore, potrà spedire
lettere di cambio del banco di Gian Francesco Ravaschieri, dimorante in
Barletta. L’Arcivescovo si serve di lui come interprete di suo nipote Manolio.
Tale procura egli la ripetette il 2 novembre dello stesso anno a favore di
Nicola Draguleo, non potendo l’arciprete Nicolò Malauguro anche di Coron
soddisfare in tale affare, egli esigerebbe in Napoli ed in Sicilia da tutti i
banchi ed anche dalla Regia Curia tutte le loro entrate. Non conoscendo
l’Arcivescovo la lingua italiana chiama suo interprete il nobile Olivieri
Figueroa anche di Coron.
Il 4 marzo 1551, alcuni
greci di Corone vollero si scrivessero nella scheda dello stesso notaio i loro
connotati, così come erano annotati nella Cancelleria di Napoli, con i loro
nomi e cognomi. Sono: il venerabile don Manolio, Angelo Santa Bressegni, e
Antonio Draguleo, Andrea Draguleo, Todaro Vojla, Nicola Sabigino, Nicola
Sarcopola, Andrea Colonna. Il 12 giugno 1551 Serina, Catinella e Anussa figle
del conte Poliaczo di Corone, con il consenso di Nicola Poliaczo nominarono
loro procuratore Nicola Draguleo, perché le avesse rappresentate in tutti i
tribunaliper avere da Pietro di Toledo Vicerè parte dei 5000 ducati che si
dividono tra i greci e albanesi di Corone. Il 13 giugno 1551 la stessa cosa
fece l’arcivescovo Benedetto, monopolitano di Coronense e cioè scelse lo stesso
Draguleo affinchè per mezzo del Vicerè, Pietro di Toledo, presso tutti i
tribunali avessero sostenuto la questione della restituzione che i Coronesi
possedevano nella città di Corone, specie quei beni che si trovavano nel
territorio di Sua Maestà.
Diverse al tre donne di
Coron e cio è Elisabetta Draguleo, Petronella Romana , Veneranda C atoytis ,vedova,
scelsero come procuratore lo stesso Andrea Draguleo, perchè per loro avessero
esatto in Napoli le somme che esse ivi possedevano. E’ da ritenersi ancora che
i greci esigevano un assegno dal re e di ciò si parla dal Nobile Andrea Colonna
per i 15 ducati di resto che doveva esigere dalla Regia Curia o dal Real
Credenziere e della Reale Cancelleria di Napoli come da atto del 4 marzo 1551.
La stessa cosa, e più
chiaramente dichiara la vedova Parrinella, moglie del defunto capitano Giorgio
Romanatis, dimorante in Barletta, come risulta dallo stesso testamento rogato
dal notaio Bernardino de Paccis del 21 dicembre 1554. In detto testamento la
Parrinella nomina suoi eredi Elena Pullo nipote e Resina Greca, sua figluola.
Elegge la sua sepoltura nella chiesa di San Giorgio di Barletta. “Item declama essa testatrice come nelli
anni passati per servitio di Sua MaestàCesarea.” Sergio de Coron scacciato dai
turchi e se ne venne in queste parti de Italia per lo che piace a Sua Maestà di
darli 30 ducati de moneta de provisione
in quolibet anno dalla Reale Corte, quali ducati 30 essa testatrice
passando da questa via providere vole et mediante la volontà delli Superiori et
del Serenissimo et invictissimo re nostro, Filippo et del Re.mo et Ill.mo
Cardinale suo locotenete generale, et della Regia Corte, li passa alli detti
sui heredi, videlicet ducati 15 alla dicta
Helena et ducati 15 alla detta Resina. Per il resto delle robe Elena e Resina
faranno metà per ognuna”.
Anche l’Università di
Barletta provvede allo stato miserando dei greci ed il notaio Matteo Curci ci
riferisce che nel settembre 1567 la detta Università, essendo sindaco Girolamo
Bonelli, provvide per il vescovo Buduo
una casa presso Santa Maria degli Angeli, pagando la somma di ducati 35,
cosa che risultava in un deliberato dell’Università.
Altro documento
importante è quello del primo luglio 1574, notaio Bernardino de Paccis, nel
quale Marullo Trasicoto greca, a seguito della morte del marito Giovanni
Romano, con il consenso di Andrea Draguleo , per 45 ducati vendette a Tiroba de
Maralditijs, vedova di Todaro Romano, tutte le armi e diverse vesti del marito
e cioè: “un giacho de maglie, un paro de
arme per armar e, un corìo de cavallo, un feltro biondo, un cappello verde, una
casadra rinfoderata di tela nigra, uno stocco con coltello puntarolo e
corregia, due libretti a stampa, una casacca rossa, uno cigno e sopracigno, uno
cordone de cavalli, una sella, una briglia, una berretta nigra ed altri
oggetti.”
In altri due rispettivi
istrumenti, del 10 aprile 1553 e del 17 marzo 1575, sempre dello stesso notaio,
si trascrivono i due riti che i greci eseguono per il matrimonio e per la
sepoltura di un defunto. La chiesa in cui si svolgono le due cerimonie è quella
di Santa Maria degli Angeli, così in tutti i documenti l’appella il notaio.
Ecco il rito del
matrimonio:
Innanzi al giudice Giovan
Battista Spaluctia e notaio, nelle venerabile chiesa fi Santa Maria degli
Angeli, don Stamato Agristi de Coron, padre di Michele Agristi, suo figlio
legittimo e naturale, alla presenza del reverendo Vicario Generale dei chierici
Coronensi, nei mesi trascorsi, stipulò il matrimonio del predetto figlio con la
onesta donna Maria de Pigliorà, figlia del magnifico Pigliorà. Il matrimonio
avvenne “ante faciem Ecclesie,
interveniente sacerdotali benedictione, secundum usum, morem et consuetudinem
nobilium Coronensium.” Il detto don Stamato prese per mano la sua nuora
Maria e la consegnò al predetto Michele, il quale la prese come sua moglie ed
egli stesso promise al padre ed al suocero che l’avrebbe trattata come vera sua
moglie, governandola e mai disprezzandola. Poi seguirono altre cerimonie.
Per la sepoltura.
Il notaio come sopra e
come giudice Giuliano Curtius, furono invitati per parte di Arcade greca,
moglie, di Elia Bisceglia, greco de Coron, nella casa presso la chiesa diSanta
Maria degli Angeli, nella quale si celebrano i divini uffici, dai greci e dagli
albanesi abitanti a Barletta, trovano la detta Arcade languente e lacrimante.
Difatti nell’ora quasi ventiquattresima essa morì ed il giorno 17, all’ora
sedicesima, portata nella chiesa in
“lectorum mortuorum”, si celebrarono i divini uffici dei morti e poi fu
sepolta nella sepoltura di detta chiesa di Santa Maria degli Angeli.
Si annota ancora tra i
greci e albanesi di Coron nella detta scheda comparisce abitante in Barletta un
nobilis Antonio Aurifex.
Il 6 settebre
compariscono dinanzi allo stesso notaio 21 greci, i quali essendo occupati in
ardui negozi, scelsero come loro procuratore Andrea Draguleo, che per loro deve
chiedere presso la Magna Vicaria, presso la Regia Camera della Sommariae presso
il Vicerè, la franchigia concessa da Sua Maestà il re in ogni specie di gabelle
e di dazi; chiedono la retroazione delle somme versate all’Università di
Barletta e perciò presentano un loro memoriale come sopra si è detto. Si
aggiunge ancora che i greci avevano in Barletta una fabbrica di mattoni di
creta e difatti Andrea Caminara de Coron e Tommaso Servus si obbligano il 31
marzo del 1551 con Stefano Doloro di Corone di approntargli otto mila mattoni
di creta in maxaria promettendo di consegnarceli per tutto il mese di aprile al
prezzo di 15 carlini al migliao.
Tra i greci si trovano di
quelli che esercitavano l’industria del trasporto di merci con barche proprie
per mare. Così il primo luglio dello stesso anno 1551, nella scheda dello
stesso notaio, si legge che Giovanni Caccola di Coron, ora in Barletta,
convenne con Benedetto de Lucijs di Bitonto e con Ambrosio de Beccarijs di
trasportare, per mezzo di cinque grippi seu barche, 2176 tomoli di sale dalle
saline di Barletta, al luogo detto “il Chiancone” di Santo Spirito, al prezzo
corrente sulla piazza di Barletta.
Concludo questa nota
dichiarando agli studiosi che la scheda di Bernardino de Paccis,
importantissima, non è stata letta tutta dal sottoscritto per mancanza di
tempo.
Nel 1722 non fu più
officiata e fi affidata alle così dette “gesuitelle” dirette da suor Paola della
Croce al secolo Paola Ruggi, già monaca del monastero di Sant’Orsola a Napoli.
La Ruggi morì nel 1734 ed l’ordine dei Gesuiti fu soppresso nel 1722. 17
Essendo tornati i greci
in Barletta (fine XVIII secolo), essi pretesero per loro chiesa Santa Maria
degli Angeli e gli annessi pagando al re 600 ducati. Nel 1799 venne in Barletta
un “papasso” che la officiava, ma scismatico o greco ortodosso. Essendo finita
la comunità greca, la chiesa rimase in mano a pochi eredi di famiglia
cattolica. Richiesta dai conventuali che amministrarono S. Antonio, perché la
loro richiesa ha bisogno di riparazioni, i detti eredi al mese diottobre del
1959 l’hanno ceduta a detti padri che la officiavano con il rito cattolico.
Notizie su Thomas Bathas
realizzatore di alcune importanti icone
nella Chiesa Greca di Barletta.16 Nacque a Creta nel 1554 e si
stabilì a Corfù prima del 1586, rimanendovi fino al 1558. Dal 1581 fu membro
della Confraternita di San Giorgio dei
Greci a Venezia con il nome di Tomio da Corfù Batta.
Stabilitosi a Venezia
ricoprìla carica di Vicario della Confraternita nel 1592, 95, 98 guadagnandosi
da vivere insegnando pittura greca. Nel 1598 fornì il disegno raffigurante il
Cristo Pantocrator nella conca absidale della Chiesa di San Giorgio dei Greci.
Da alcuni documenti si
apprende che nel 1594 il pittore ricevette un pagamento per aver “conzato”il quadro della Madonna “De’ Gratia”fatto per mano de Santo Luca, da identificarsi con la
Madonna Nicopeia nella Basilica di San Marco.
Recentemente
sono state a lui ascritte numerose opere: una grande tavola firmata
raffigurante l’apocalisse, nell’omonimo monastero dell’isola di Patmos,
nell’ambito della quale il Chatzidakis attribuisce altre icone raffiguranti San
Cristodulo, la Sepoltura di San Giovanni teologo , San Giovanni teologo e
Procoro, la Madonna in trono, il Cristo in trono e la Madonna Hodighitria.
In un intervento di poco successivo lo studioso attribuisce al Bathàs anche il
Cristo in trono della chiesa di San Giorgio dei Greci a Venezia, e pubblica per
la prima volta il “Pantocrator” e
la “Madonna Hodighitria” della chiesa di Santa
Maria degli Angeli a Barletta come opere sicure del Bathàs.17
Note:
1 G. Gay, L’Italia meridionale e l’impero bizantino dall’avvento di Basilio I alla resa di Bari ai Normanni (877-1071), Firenze 1917; V. von Falkenhausen, La dominazione bizantina nell’Italia meridionale dal IX all’XI secolo, Bari 1978 - Alfredo Di Napoli, I greci di Barletta (sec. XVI-XX): storia di un’integrazione sociale e religiosa. La controversia sulla chiesa di s. Maria degli Angeli (1842-2003) Ed. L’Aurora Serafica, Bari 2014 pp.13-14.
2 Marino Barlezio, Historia de vita et gestis Scanderbegi Epirutarum Principis. Bizzardo, Venezia 1610, pag. 91 – 92.
3 G.M. Monti, La spedizione in Puglia di Giorgio Castriota, Iapigia, Bari, 1939 pp. 126-126). – Gli aragonesi investirono di alcuni feudi pugliesi Skanderbeg e la sua famiglia, si veda G.M. Monti, o.c. pp. 296-301 e in appendice i documenti pp. 302-320.
4 Biblioteca Santa Teresa dei Maschi – De Gemmis, Fondo Francesco Saverio Vista. Busta XI (exb.28/9. Notizie e documenti trascritti o raccolti da Francesco Saverio Vista relativamente alla colonia greca ed alle chiese greche di Barletta A. Di Napoli, o.c. pag. 16). Cfr. R. Russo, Le cento chiese di Barletta, ed. Rotas Barletta 1997, pp 461-462.
5 S. Santeramo, Barletta nel 500 pag. 113.
6 Manoscritto d S. Santeramo, Barletta nel 500, trascrizione a cura di Vincenzo Tupputi, Centro Regionale Servizi Educativi Culturali Via Indipendenza n.12 – Barletta. Regione Puglia 2003 pp 91-92.
7 Di Napoli, o.c. pag.43.
8 Codice Diplomatico Barletta, a cura di S. Santeramo e C. E. Borgia, Fasano 1988, Vol. V, doc. n° 279, pag. 154.
9 Codice Barlettano, come sopra - Cfr. Di Napoli, o.c. pag. 28.
10 Di Napoli, cit. pag. 36.
11 Di Napoli, cit. pag. 39.
12 Fiorella, D. A. R., La Comunità greca di Barletta, in C. Dicorato. – Cfr. G. Doronzo, I borghi antichi di Barletta. Vol. V. Regione Puglia, pag. 84.
13 Codice Diplomatico Barlettano, a cura di S. Santeramo e C.E. Borgia, vol. VII, doc n.n.757-758, p.p. 434-35; n. 826 p.p. 468-469. Cfr. Fiorella, cit.
14 Manoscritto di S. Santeramo, Barletta nel 500, trascrizione a cura di Vincenzo Tupputi Centro Regionale Servizi Educativi Culturali Via Indipendenza n.12 – Barletta. Regione Puglia 2003 p. 93.
15 S. Santeramo, cit. pag. 92.
16 Di Napoli cit. pag. 49
17 De Napoli- Santeramo citati.
18 www.comunebarletta.bt.retecivica/città/luoghi/greci/bathas