mercoledì 22 dicembre 2021

La Comunità e Chiesa Greco Albanese di Barletta tra il XVI e il XVIII secolo



Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro

 Antichi rapporti hanno sempre legato la Puglia con la sfera politica e religiosa bizantina, soprattutto attraverso i contatti commerciali con i litorali dalmati e greco albanesi. L’influenza culturale di Bisanzio sull’ambiente pugliese affonda le sue radici fin dai tempi della guerra greco-gotica (535-553) resistendo sia all’invasione longobarda del 568, sia agli attacchi musulmani dell’847, questi ultimi repressi grazie all’opera militare di Basilio il Macedone (867-886).1 Nel 553, con la conquista della Puglia da parte dell’imperatore d’Oriente Giustiniano, si avviò la prima colonizzazione bizantina e con essa anche l’introduzione della lingua e della liturgia greca, aspetti rilevanti che rimasero inalterati nel corso dei secoli. Negli anni 871-1071, decisiva fu la difesa che i bizantini opposero alle incursioni dei saraceni, preservando il loro potere sia da essi che dai longobardi avviando l’inizio alla “bizantinizzazione” dell’Italia meridionale.

Come già accennato, gli interscambi politici e socio economici della Puglia con il Levante, si mantennero vivi per molti secoli e nel XV secolo, dopo la parentesi angioina, divennero ancor più solidi con la politica estera che gli aragonesi adottarono con la vicina Albania di Skanderbeg. I rapporti tra Giorgio Castriota Skanderbeg e Alfonso il Magnanimo prima e Ferrante in seguito furono di cordialissima “amicizia”2 considerandosi, oltre che amici anche fedeli alleati contro gli ottomani.3

Agli inizi del XVI secolo con la dinastia degli Asburgo tale attività diplomatica divenne più fluida ed intensa soprattutto per gli interessi e le preoccupazioni che Carlo V nutriva per la questione peloponnesiaca. Dopo la caduta di Corone, Modone e di altre roccaforti cristiane nel Peloponneso 1532-34), su loro esplicita richiesta molti, greco albanesi preferirono rifugiarsi nell’Italia meridionale insediandosi - come avvenne a Napoli a Palermo, Venezia e Livorno - prima nelle città costiere dove fervente era l’attività commerciale e in seguito, buona parte di loro, nell’entroterra del Regno. A Barletta si insediò un consistente nucleo di greco albanesi, che venne identificato, come Coroneo. Già dall’inizio non ebbero problemi nell’integrarsi con la popolazione residente, mostrando altresì un forte attaccamento alle loro origini etniche e religiose. In principio il loro luogo di culto fu la Chiesa di San Giorgio, successivamente, essendo aumentato la loro presenza in città, decisero di trasferirsi in un luogo più ampio e confortevole: la Chiesa di Santa Maria degli Angeli, poi denominata dei Greci.4       

Il primo gruppo greco albanese si insediò a Casale Trinità (attuale Trinitapoli) che era sotto la giurisdizione del regio Capitano di Barletta secondo il privilegio del 31 ottobre del 1496) concesso all’Università da Federico d’Aragona. Esiste la probabilità che il loro primo luogo di culto fosse la Chiesa di Santa Maria de Lureto. L’unica notizia che si ha di questa chiesa si desume dalla Santa Visita del 1547. Era una chiesa fuori Barletta, “ruinata” per causa della guerra; aveva di entrate un tomolo di sale; ed a don Giacomo de Mascia che la gestiva si ordinava “di accomodare la cappella e di farci l’immagine della Madonna” nel termine di 15 giorni.5 Dal manoscritto di Mons. Salvatore Santeramo, “Barletta nel 500”, non si hanno notizie certe riguardo le prime attività religiose che i greco albanesi svolsero in quella Chiesa, tuttavia egli sostiene che: “Verso la fine del 1400 essendo capitati a Barletta 200 famiglie greci e illiriciani (greco albanesi) per maltrattamenti guerreschi ebbero ogni riconoscimento di liberi cittadini e, costituiti in colonia, presero alle loro dipendenze le Chiese di San Giorgio e di Santa Maria degli Angeli. Difatti il 13 maggio 1601 come risulta dal notaio Orazio de Leo i sacerdoti greci, don Antonio e don Emanuele Acconti, per 60 ducati si impegnavano a celebrare messe nelle feste comandate e di amministrare i sacramenti ai parrocchiani di nazionalità greca abitanti in Barletta.”6 Quindi è da ritenere, secondo le informazioni del Santeramo e del Di Napoli, che in Barletta, tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, l’esistenza due chiese aperte al culto dei greco albanesi il cui procuratore era Don Giovanni Gisi.7

Tuttavia le prime fonti documentali riguardo l’insediamento in città dei così detti “coronei”, in verità greco albanesi, “negozianti peloponnesiaci” risalgono al 1536.8 Importante, in tal caso, è un documento che conferma la presenza dei greco albanesi in Barletta in quell’anno, desunto da un atto di vendita concernente una casa nell’isola di Zakinthos (Zante) in strata Sante Trinitatis, dove compaiono tra i nomi dei testimoni un “dominus Franciscus de la Checa de Barolo, Iohannes, presbiter grecus, il Capitano Antonius Stratigò Paleologo (già attivo presso la Comunità greca di Napoli) e dell’abbate Lattantius Acconzaiocus.9 Quindi è comprovante che i primi insediamenti “Coronei” a Barletta si sono avuti qualche anno dopo la caduta di Corone, considerando con ciò che i flussi migratori greco albanesi dal Peloponneso verso l’Italia meridionale si svilupparono, senza interruzioni, per tutto il XVI ed il XVII secolo.

Inoltre, un insieme di documenti archivistici più voluminoso, riguardante la vita sociale e religiosa degli Arbëreshë, perché così possono essere definiti quelli di Barletta, è fruibile dalla metà del XVI secolo. I greco albanesi in poco tempo ottennero la loro chiesa parrocchiale e attraverso un notaio, alle dipendenze dirette dei greci dimoranti a Barletta, Bernardino De Paccis10

Ecco alcune notizie che riguardano i cittadini greci dimoranti in Barletta. Più di 40 greci di Corone e di Jannina, compreso il Vicario generale, Manobio Tracicosus e l’arciprete Nicola Malauguro dei chierici coronei in un atto del notaio P. de Geraldinis del 5 marzo 1553, convennero di nominare Andrea Draguleo loro rappresentante innanzi a tutti i tribunali, perché si chiegga, si ottenga e venga riconosciuta dalla Summaria e dal Vicerè la loro franchigia che L’Università di Barletta non vuol riconoscere e chiedono gli arretrati. Più tardi, il 27 settembre 1554, allo stesso Dracoleo si dà l’incarico di dividere tra i greci e abanesi il grano che si ricava dalla Curia Romana. Di seguito si elencano molti contratti trascritti dal notaio Bernardino de Pacis che realmente è notaio dei greci dimoranti a Barletta.

 A differenza dei greco albanesi che si stabilirono a Napoli, essi non trovarono sul posto un preesistente luogo di culto religioso e per ottenerlo dovettero negoziare con le autorità locali.

I greci dunque ebbero ben presto la loro chiesa in Barletta. Il resoconto storico del Zeno, redatto a Napoli nel 1858 e conservato nell’Archivio Diocesano di Barletta, sostiene che: «Quelli di Barletta […] sono stati ricevuti come Cattolici Romani, di rito Greco, non essendo permesso nel Regno altro culto, e nemmeno tollerato, per le leggi vigenti». Perciò: «Si deve ritenere sempre che [la chiesa di santa Maria degli Angeli] fosse stata fondata per Chiesa Cattolica unita alla Chiesa Occidentale, ed è follia il voler sostenere il contrario […] altrimenti non sarebbe loro stato permesso di fondare Chiese di rito Greco Scismatico, perché proibito dalle leggi di Stato, dai Concordati fatti colla S. Sede Romana». 11

Un aspetto rilevante riguardo la Comunità greca di Barletta è quello della presenza, quasi stabile, dell’Arcivescovo di Corone, Benedetto. Egli non conosceva la lingua italiana e per comunicare si serviva dei suoi parenti oppure di soggetti appartenenti al clero coronense.12 Sicuramente era una persona molto agiata visto che i suoi interessi venivano curati dai banchieri genovesi operanti in Napoli.13

Dal 1553 in poi la figura di Benedetto non viene più menzionata dalle varie fonti e ciò lascia presumere che proprio in quella data egli morì. A sostituirlo, nella guida pastorale dei greco albanesi di Corone e di Jannina, fu il Vicario Generale Manobio Tarcicosus o Tarsichei, coadiuvato dal papas Nicola Malauguro.14

Mentre nella comunità greca di Napoli l’insediamento fu caratterizzato dall’elemento militare e meno da quello economico, in Barletta come a Livorno i tratti essenziali furono determinati dall’emporion.

In un tempo non determinato la chiesa di Santa Maria degli Angeli fu ceduta ai greci coronei di rito greco cattolico e pare ciò sia avvenuto verso la seconda metà del 1400, quando molti greci e illiriciani per maltrattamenti guerreschi come sopra si è detto, emigrarono dalle regioni dalmate e greche sulle coste specialmente dell’Italia meridionale.15

Della cessione della chiesa greca cattolica fa menzione nei libri delle Sante Visite, specialmente in quella del 1639, in cui l’Arcivescovo don Tommaso Ancora esegue in quella chiesa la S. Visita locale e personale ed il chierico greco Antonio de Francesco mostra all’Arcivescovo le scritture della cessione della chiesa, il libro dei beni e quello dei battesimi. Dichiara che per la sua cresima invece della formula usata dalla Chiesa Cattolica, i greci recitano una orazione sul battezzato e per ciò l’Arcivescovo fa obbligo di tenere esposta in chiesa la bolla di Papa Clemente VIII che riguarda i riti greci.16

D’ora in poi pubblico, integralmente, le notizie apprese dal Libro di Alfredo di Napoli e da quello di Mons. Santeramo, di cui sopra si è fatto cenno.

Ecco alcune informazioni che riguardano i cittadini greci dimoranti in Barletta. Più di 40 greci di Corone e di Jannina, compreso il Vicario generale, Manobio Tracicosus e l’arciprete Nicola Malauguro dei chierici coronei in un atto del notaio P. de Geraldinis del 5 marzo 1553, convennero di nominare Andrea Draguleo loro rappresentante innanzi a tutti i tribunali, perché si chiegga, si ottenga e venga riconosciuta dalla Summaria e dal Vicerè la loro franchigia che L’Università di Barletta non vuol riconoscere e chiedono gli arretrati. Più tardi, il 27 settembre 1554, allo stesso Dracoleo si dà l’incarico di dividere tra i greci e abanesi il grano che si ricava dalla Curia Romana. Di seguito si elencano molti contratti trascritti dal notaio Bernardino de Pacis che realmente è notaio dei greci dimoranti a Barletta.

Nel 1550, 8 ottobre, l’Arcivescovo Benedictus coronense, dimorante in Barletta, per alcune somme che deve esigere in Napoli ed in Sicilia nomina procuratore il medesimo Draguleo, che ora dimora in Napoli, dalla quale città, detto procuratore, potrà spedire lettere di cambio del banco di Gian Francesco Ravaschieri, dimorante in Barletta. L’Arcivescovo si serve di lui come interprete di suo nipote Manolio. Tale procura egli la ripetette il 2 novembre dello stesso anno a favore di Nicola Draguleo, non potendo l’arciprete Nicolò Malauguro anche di Coron soddisfare in tale affare, egli esigerebbe in Napoli ed in Sicilia da tutti i banchi ed anche dalla Regia Curia tutte le loro entrate. Non conoscendo l’Arcivescovo la lingua italiana chiama suo interprete il nobile Olivieri Figueroa anche di Coron.

Il 4 marzo 1551, alcuni greci di Corone vollero si scrivessero nella scheda dello stesso notaio i loro connotati, così come erano annotati nella Cancelleria di Napoli, con i loro nomi e cognomi. Sono: il venerabile don Manolio, Angelo Santa Bressegni, e Antonio Draguleo, Andrea Draguleo, Todaro Vojla, Nicola Sabigino, Nicola Sarcopola, Andrea Colonna. Il 12 giugno 1551 Serina, Catinella e Anussa figle del conte Poliaczo di Corone, con il consenso di Nicola Poliaczo nominarono loro procuratore Nicola Draguleo, perché le avesse rappresentate in tutti i tribunaliper avere da Pietro di Toledo Vicerè parte dei 5000 ducati che si dividono tra i greci e albanesi di Corone. Il 13 giugno 1551 la stessa cosa fece l’arcivescovo Benedetto, monopolitano di Coronense e cioè scelse lo stesso Draguleo affinchè per mezzo del Vicerè, Pietro di Toledo, presso tutti i tribunali avessero sostenuto la questione della restituzione che i Coronesi possedevano nella città di Corone, specie quei beni che si trovavano nel territorio di Sua Maestà.

Diverse al tre donne di Coron e cio è Elisabetta Draguleo, Petronella Romana , Veneranda C atoytis ,vedova, scelsero come procuratore lo stesso Andrea Draguleo, perchè per loro avessero esatto in Napoli le somme che esse ivi possedevano. E’ da ritenersi ancora che i greci esigevano un assegno dal re e di ciò si parla dal Nobile Andrea Colonna per i 15 ducati di resto che doveva esigere dalla Regia Curia o dal Real Credenziere e della Reale Cancelleria di Napoli come da atto del 4 marzo 1551.

La stessa cosa, e più chiaramente dichiara la vedova Parrinella, moglie del defunto capitano Giorgio Romanatis, dimorante in Barletta, come risulta dallo stesso testamento rogato dal notaio Bernardino de Paccis del 21 dicembre 1554. In detto testamento la Parrinella nomina suoi eredi Elena Pullo nipote e Resina Greca, sua figluola. Elegge la sua sepoltura nella chiesa di San Giorgio di Barletta. “Item declama essa testatrice come nelli anni passati per servitio di Sua MaestàCesarea.” Sergio de Coron scacciato dai turchi e se ne venne in queste parti de Italia per lo che piace a Sua Maestà di darli 30 ducati de moneta de provisione  in quolibet anno dalla Reale Corte, quali ducati 30 essa testatrice passando da questa via providere vole et mediante la volontà delli Superiori et del Serenissimo et invictissimo re nostro, Filippo et del Re.mo et Ill.mo Cardinale suo locotenete generale, et della Regia Corte, li passa alli detti sui heredi, videlicet ducati 15 alla  dicta Helena et ducati 15 alla detta Resina. Per il resto delle robe Elena e Resina faranno metà per ognuna”.

Anche l’Università di Barletta provvede allo stato miserando dei greci ed il notaio Matteo Curci ci riferisce che nel settembre 1567 la detta Università, essendo sindaco Girolamo Bonelli, provvide per il vescovo Buduo  una casa presso Santa Maria degli Angeli, pagando la somma di ducati 35, cosa che risultava in un deliberato dell’Università.

Altro documento importante è quello del primo luglio 1574, notaio Bernardino de Paccis, nel quale Marullo Trasicoto greca, a seguito della morte del marito Giovanni Romano, con il consenso di Andrea Draguleo , per 45 ducati vendette a Tiroba de Maralditijs, vedova di Todaro Romano, tutte le armi e diverse vesti del marito e cioè: “un giacho de maglie, un paro de arme per armar e, un corìo de cavallo, un feltro biondo, un cappello verde, una casadra rinfoderata di tela nigra, uno stocco con coltello puntarolo e corregia, due libretti a stampa, una casacca rossa, uno cigno e sopracigno, uno cordone de cavalli, una sella, una briglia, una berretta nigra ed altri oggetti.”

In altri due rispettivi istrumenti, del 10 aprile 1553 e del 17 marzo 1575, sempre dello stesso notaio, si trascrivono i due riti che i greci eseguono per il matrimonio e per la sepoltura di un defunto. La chiesa in cui si svolgono le due cerimonie è quella di Santa Maria degli Angeli, così in tutti i documenti l’appella il notaio.

Ecco il rito del matrimonio:

Innanzi al giudice Giovan Battista Spaluctia e notaio, nelle venerabile chiesa fi Santa Maria degli Angeli, don Stamato Agristi de Coron, padre di Michele Agristi, suo figlio legittimo e naturale, alla presenza del reverendo Vicario Generale dei chierici Coronensi, nei mesi trascorsi, stipulò il matrimonio del predetto figlio con la onesta donna Maria de Pigliorà, figlia del magnifico Pigliorà. Il matrimonio avvenne “ante faciem Ecclesie, interveniente sacerdotali benedictione, secundum usum, morem et consuetudinem nobilium Coronensium.” Il detto don Stamato prese per mano la sua nuora Maria e la consegnò al predetto Michele, il quale la prese come sua moglie ed egli stesso promise al padre ed al suocero che l’avrebbe trattata come vera sua moglie, governandola e mai disprezzandola. Poi seguirono altre cerimonie.

Per la sepoltura.

Il notaio come sopra e come giudice Giuliano Curtius, furono invitati per parte di Arcade greca, moglie, di Elia Bisceglia, greco de Coron, nella casa presso la chiesa diSanta Maria degli Angeli, nella quale si celebrano i divini uffici, dai greci e dagli albanesi abitanti a Barletta, trovano la detta Arcade languente e lacrimante. Difatti nell’ora quasi ventiquattresima essa morì ed il giorno 17, all’ora sedicesima, portata nella chiesa in “lectorum mortuorum”, si celebrarono i divini uffici dei morti e poi fu sepolta nella sepoltura di detta chiesa di Santa Maria degli Angeli.

Si annota ancora tra i greci e albanesi di Coron nella detta scheda comparisce abitante in Barletta un nobilis Antonio Aurifex.

Il 6 settebre compariscono dinanzi allo stesso notaio 21 greci, i quali essendo occupati in ardui negozi, scelsero come loro procuratore Andrea Draguleo, che per loro deve chiedere presso la Magna Vicaria, presso la Regia Camera della Sommariae presso il Vicerè, la franchigia concessa da Sua Maestà il re in ogni specie di gabelle e di dazi; chiedono la retroazione delle somme versate all’Università di Barletta e perciò presentano un loro memoriale come sopra si è detto. Si aggiunge ancora che i greci avevano in Barletta una fabbrica di mattoni di creta e difatti Andrea Caminara de Coron e Tommaso Servus si obbligano il 31 marzo del 1551 con Stefano Doloro di Corone di approntargli otto mila mattoni di creta in maxaria promettendo di consegnarceli per tutto il mese di aprile al prezzo di 15 carlini al migliao.

Tra i greci si trovano di quelli che esercitavano l’industria del trasporto di merci con barche proprie per mare. Così il primo luglio dello stesso anno 1551, nella scheda dello stesso notaio, si legge che Giovanni Caccola di Coron, ora in Barletta, convenne con Benedetto de Lucijs di Bitonto e con Ambrosio de Beccarijs di trasportare, per mezzo di cinque grippi seu barche, 2176 tomoli di sale dalle saline di Barletta, al luogo detto “il Chiancone” di Santo Spirito, al prezzo corrente sulla piazza di Barletta.

Concludo questa nota dichiarando agli studiosi che la scheda di Bernardino de Paccis, importantissima, non è stata letta tutta dal sottoscritto per mancanza di tempo.

Nel 1722 non fu più officiata e fi affidata alle così dette “gesuitelle” dirette da suor Paola della Croce al secolo Paola Ruggi, già monaca del monastero di Sant’Orsola a Napoli. La Ruggi morì nel 1734 ed l’ordine dei Gesuiti fu soppresso nel 1722. 17

Essendo tornati i greci in Barletta (fine XVIII secolo), essi pretesero per loro chiesa Santa Maria degli Angeli e gli annessi pagando al re 600 ducati. Nel 1799 venne in Barletta un “papasso” che la officiava, ma scismatico o greco ortodosso. Essendo finita la comunità greca, la chiesa rimase in mano a pochi eredi di famiglia cattolica. Richiesta dai conventuali che amministrarono S. Antonio, perché la loro richiesa ha bisogno di riparazioni, i detti eredi al mese diottobre del 1959 l’hanno ceduta a detti padri che la officiavano con il rito cattolico.

Notizie su Thomas Bathas realizzatore di alcune importanti  icone nella Chiesa Greca di Barletta.16 Nacque a Creta nel 1554 e si stabilì a Corfù prima del 1586, rimanendovi fino al 1558. Dal 1581 fu membro della Confraternita di San Giorgio dei Greci a Venezia con il nome di Tomio da Corfù Batta.

Stabilitosi a Venezia ricoprìla carica di Vicario della Confraternita nel 1592, 95, 98 guadagnandosi da vivere insegnando pittura greca. Nel 1598 fornì il disegno raffigurante il Cristo Pantocrator nella conca absidale della Chiesa di San Giorgio dei Greci.

Da alcuni documenti si apprende che nel 1594 il pittore ricevette un pagamento per aver “conzato”il quadro della Madonna “De’ Gratia”fatto per mano de Santo Luca, da identificarsi con la Madonna Nicopeia nella Basilica di San Marco.

Recentemente sono state a lui ascritte numerose opere: una grande tavola firmata raffigurante l’apocalisse, nell’omonimo monastero dell’isola di Patmos, nell’ambito della quale il Chatzidakis attribuisce altre icone raffiguranti San Cristodulo, la Sepoltura di San Giovanni teologo , San Giovanni teologo e Procoro, la Madonna in trono, il Cristo in trono e la Madonna Hodighitria.
In un intervento di poco successivo lo studioso attribuisce al Bathàs anche il Cristo in trono della chiesa di San Giorgio dei Greci a Venezia, e pubblica per la prima volta il “
Pantocrator” e la “Madonna Hodighitria” della chiesa di Santa Maria degli Angeli a Barletta come opere sicure del Bathàs.17

 

 



 Note:
 1 G. Gay, L’Italia meridionale e l’impero bizantino dall’avvento di Basilio I alla resa di Bari ai Normanni (877-1071), Firenze 1917; V. von Falkenhausen, La dominazione bizantina nell’Italia meridionale dal IX all’XI secolo, Bari 1978 - Alfredo Di Napoli, I greci di Barletta (sec. XVI-XX): storia di un’integrazione sociale e religiosa. La controversia sulla chiesa di s. Maria degli Angeli (1842-2003) Ed. L’Aurora Serafica, Bari 2014 pp.13-14.
 2 Marino Barlezio, Historia de vita et gestis Scanderbegi Epirutarum Principis. Bizzardo, Venezia 1610, pag. 91 – 92.
 3 G.M. Monti, La spedizione in Puglia di Giorgio Castriota, Iapigia, Bari, 1939 pp. 126-126). – Gli aragonesi investirono di alcuni feudi pugliesi Skanderbeg e la sua famiglia, si veda G.M. Monti, o.c. pp. 296-301 e in appendice i documenti pp. 302-320. 
4 Biblioteca Santa Teresa dei Maschi – De Gemmis, Fondo Francesco Saverio Vista. Busta XI (exb.28/9. Notizie e documenti trascritti o raccolti da Francesco Saverio Vista relativamente alla colonia greca ed alle chiese greche di Barletta A. Di Napoli, o.c. pag. 16). Cfr. R. Russo, Le cento chiese di Barletta, ed. Rotas Barletta 1997, pp 461-462.
5 S. Santeramo, Barletta nel 500 pag. 113.
6 Manoscritto d S. Santeramo, Barletta nel 500, trascrizione a cura di Vincenzo Tupputi, Centro Regionale Servizi Educativi Culturali Via Indipendenza n.12 – Barletta. Regione Puglia 2003 pp 91-92. 7 Di Napoli, o.c. pag.43.
 8 Codice Diplomatico Barletta, a cura di S. Santeramo e C. E. Borgia, Fasano 1988, Vol. V, doc. n° 279, pag. 154.
 9 Codice Barlettano, come sopra - Cfr. Di Napoli, o.c. pag. 28.
10 Di Napoli, cit. pag. 36. 
11 Di Napoli, cit. pag. 39.
12 Fiorella, D. A. R., La Comunità greca di Barletta, in C. Dicorato. – Cfr. G. Doronzo, I borghi antichi di Barletta. Vol. V. Regione Puglia, pag. 84. 
13 Codice Diplomatico Barlettano, a cura di S. Santeramo e C.E. Borgia, vol. VII, doc n.n.757-758, p.p. 434-35; n. 826 p.p. 468-469. Cfr. Fiorella, cit. 
14 Manoscritto di S. Santeramo, Barletta nel 500, trascrizione a cura di Vincenzo Tupputi Centro Regionale Servizi Educativi Culturali Via Indipendenza n.12 – Barletta. Regione Puglia 2003 p. 93.
15 S. Santeramo, cit. pag. 92. 
16 Di Napoli cit. pag. 49
17 De Napoli- Santeramo citati. 18 www.comunebarletta.bt.retecivica/città/luoghi/greci/bathas

2 commenti:

  1. Urge confrontarsi, come facevano i cavalieri in tavole rotonde, altrimenti si finisce di fare, prediche, per non paccare, ogni domenica

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