domenica 2 giugno 2013

Il Rito Greco Bizantino, tribalità e folklore o vettore di avvicinamento a Dio?


(di Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro)
Qualche anno fa mi sono ripromesso di pubblicare una nota informativa riguardo il rapporto fra le popolazioni degli Albanesi d'Italia e il Rito da loro professato. Non ho scritto molto, ma ho cercato di mettere in evidenza alcuni aspetti salienti e di carattere storico che dovrebbero rifulgere da lume a chi sostiene, con eloquenti metafore, che il Nostro Rito Greco è motivo di divisione e ancor più teatro di tribale attività folkloristica. Per quanto mi concerne ritengo, nella maniera più assoluta, che nella Nostra Chiesa si svolga una intensa attività di politica religiosa incentrata sul soggetto ecumenico e quindi sulla universalità. Per quanto riguarda, invece, l'attaccamento del Popolo d'Arberia alla Sua avita Fede, è conseguenza di una "consanguinea attrazione" che trova i suoi risvolti nel passato. Un passato dove binaria è stata la lotta per la sopravvivenza.

Quando i Greco Albanesi, fra il XV e il XVI secolo, pressati dalla violenta avanzata e conseguente occupazione turca,giunsero, esuli, nei territori dell'Italia meridionale, nei primi anni, condussero vita pressochè miseranda, non ignudi, ma spogli di ogni bene per la repentina fuga, portarono con se la avita Fede trasmessa loro dagli antichi padri. Malinconici e poveri ma dotati di ingegno e di Fede, cominciarono a costruire le prime abitazioni, "Kalive,"(dal greco kaliba=tugurio o capanna), strutture fabbricate con mota e intrecci di rami e giunchi , spesso straziate dalle perturbazioni del tempo. Ogni comunità o colonia, costituita da questa sopravvenuta gente, aveva , nella maggior parte , un a guida spirituale, un sacerdote o meglio dire un papàs, essendo , questa, prevalentemente professante la religione cristiana. L'Italia meridionale, in quel periodo, era corrosa da un sistema sociale ed economico strutturato da un anacronistico regime feudale, laico ed ecclesiastico. Le baronie laiche ed ecclesiastiche, interessate solo all'impinguamento delle loro casse, non conoscendo queste popolazioni fin dall'inizio, per pura cautela credo, ostarono in maniera inqualificabile e violenta e talvolta addirittura perpetrando l'omicidio, la loro cultura religiosa. Nelle diocesi dove i profughi Albanesi si erano stanziati, violentissime furono le angherie e perangherie, ingiustificabile ed  inumana l'oppressione dei vescovi latini ( non mi vogliano male i latini ma questa è certificazione storica). Per più di 400 anni le genti Albanesi vissero nella tribolazione riuscendo nella maggior parte dei casi a sopravvivere e a salvaguardare costumanze e avita Fede alle angherie delle classi dirigenti autoctone. In San Demetrio Corone, Santa Sofia d'Epiro, San Cosmo Albanese e in tutte quelle comunità albanofone della fascia presilana, tirannici furono i Vescovi di Rossano e di Bisignano: unico intento di qegli ordinari era quello di abolire il Rito greco, ma l'audacia e la fermezza di quei popoli resero vani i loro sinistri fini. Scrive a tal proposito Domenico Cassiano: “I vescovi latini, nelle cui diocesi ricadevano le Comunità Albanesi, invece di promuovere tutte quelle iniziative idonee a farle progredire, badarono piuttosto a distruggere il Rito Greco, determinando una situazione di conflittualità con la conseguenza di contribuire ad aggravare  lo stato di depressione.”1 A Firmo, nel 1683, adducendo a scusante che i chierici greci, esentati da tassazione, erano in molti, su proposta del Vescovo di Cassano, l'intera popolazione fu scomunicata, ma questa non si diè per vinta e reiteratamente supplicando Dio, ottenne attraverso la Sacra Congregazione Propaganda Fide l'annullamento dell'infausto provvedimento, motivo di tribolazione per quella fiera gente per ben quarant'anni. Sempre a Firmo nel 1881, il Vescovo di Cassano impose al sacerdote di amministrare la Comunione non con il pane fermentato, come è in uso nel Rito Greco, ma con l'ostia, risultò che tutti i cittadini gettarono le ostie nel letamaio comune. Altri esempi di insulsa angheria, fra le tantissime che non sto quì ad elencare, fu l'accadimento nel 1678 in Lungro, ove essendo feudatario di quel luogo Didaco Pescara duca di Saracena, su insistenza del Vescovo di Cassano, perpetrò inaudite violenze contro la popolazione affinchè non riconoscesse più il Rito Greco proponendo quello latino. Anche se con la violenza quel infido signorotto trovò la caparbietà dell'Albanese, che speditamente lo fece recedere dal suo intento. In altre comunità il Rito fu abolito, ma occorse la violenza omicida: a Spezzano Albanese, nell'agosto del 1644, il principe Spinelli , signore del luogo e imparentato con l'Arcivescovo latino Antonio Spinelli, fece rinchiudere nelle segrete del suo castello di Terranova il papas Lungro-Spezzanese Nicola Basta, che non volendosi inchinare alle volontà del principe per il cambiamento di rito, dopo orribili persecuzioni morì in carcere. Con la tragica morte di Nicola Basta, iniziò inesorabile il declino del Rito Greco in Spezzano Albanese, che fu definitivamente sostituito da quello latino, con una Breve di Clemente IX, nel 1667. Giovanni Paolo II ha chiesto perdono a tutte quelle etnie che indebitamente sono state oggetto di soprusi e discriminazione da parte della Chiesa; i Vescovi di Anglona Tursi, Bisignano, Cassano e Rossano ancora tardano.


1 Domenico Cassiano,  San Adriano, la Badia e il Collegio Italo Albanese: Marco Editore Lungro 1997.





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