Qualche anno fa mi sono ripromesso di pubblicare
una nota informativa riguardo il rapporto fra le popolazioni degli Albanesi d'Italia
e il Rito da loro professato. Non ho scritto molto, ma ho cercato di mettere in
evidenza alcuni aspetti salienti e di carattere storico che dovrebbero
rifulgere da lume a chi sostiene, con eloquenti metafore, che il Nostro Rito
Greco è motivo di divisione e ancor più teatro di tribale attività
folkloristica. Per quanto mi concerne ritengo, nella maniera più assoluta, che
nella Nostra Chiesa si svolga una intensa attività di politica religiosa
incentrata sul soggetto ecumenico e quindi sulla universalità. Per quanto
riguarda, invece, l'attaccamento del Popolo d'Arberia alla Sua avita Fede, è
conseguenza di una "consanguinea attrazione" che trova i suoi
risvolti nel passato. Un passato dove binaria è stata la lotta per la
sopravvivenza.
Quando i Greco Albanesi, fra il XV e il XVI
secolo, pressati dalla violenta avanzata e conseguente occupazione
turca,giunsero, esuli, nei territori dell'Italia meridionale, nei primi anni,
condussero vita pressochè miseranda, non ignudi, ma spogli di ogni bene per la repentina fuga,
portarono con se la avita Fede trasmessa loro dagli antichi padri.
Malinconici e poveri ma dotati di ingegno e di Fede, cominciarono a costruire
le prime abitazioni, "Kalive,"(dal greco kaliba=tugurio o capanna),
strutture fabbricate con mota e intrecci di rami e giunchi , spesso straziate
dalle perturbazioni del tempo. Ogni comunità o colonia, costituita da questa
sopravvenuta gente, aveva , nella maggior parte , un a guida spirituale, un
sacerdote o meglio dire un papàs, essendo , questa, prevalentemente professante
la religione cristiana. L'Italia meridionale, in quel periodo, era corrosa da
un sistema sociale ed economico strutturato da un anacronistico regime feudale,
laico ed ecclesiastico. Le baronie laiche ed ecclesiastiche, interessate solo
all'impinguamento delle loro casse, non conoscendo queste popolazioni fin
dall'inizio, per pura cautela credo, ostarono in maniera inqualificabile e
violenta e talvolta addirittura perpetrando l'omicidio, la loro cultura
religiosa. Nelle diocesi dove i profughi Albanesi si erano stanziati,
violentissime furono le angherie e perangherie, ingiustificabile ed inumana l'oppressione
dei vescovi latini ( non mi vogliano male i latini ma questa è certificazione
storica). Per più di 400 anni le genti Albanesi vissero nella tribolazione
riuscendo nella maggior parte dei casi a sopravvivere e a salvaguardare
costumanze e avita Fede alle angherie delle classi dirigenti autoctone. In San
Demetrio Corone, Santa Sofia d'Epiro, San Cosmo Albanese e in tutte quelle
comunità albanofone della fascia presilana, tirannici furono i Vescovi di
Rossano e di Bisignano: unico intento di qegli ordinari era quello di abolire
il Rito greco, ma l'audacia e la fermezza di quei popoli resero vani i loro
sinistri fini. Scrive a tal proposito Domenico Cassiano: “I vescovi latini,
nelle cui diocesi ricadevano le Comunità Albanesi, invece di promuovere tutte
quelle iniziative idonee a farle progredire, badarono piuttosto a distruggere
il Rito Greco, determinando una situazione di conflittualità con la conseguenza
di contribuire ad aggravare lo stato di
depressione.”1 A Firmo, nel 1683, adducendo a scusante che i
chierici greci, esentati da tassazione, erano in molti, su proposta del Vescovo
di Cassano, l'intera popolazione fu scomunicata, ma questa non si diè per vinta
e reiteratamente supplicando Dio, ottenne attraverso la Sacra Congregazione
Propaganda Fide l'annullamento dell'infausto provvedimento, motivo di
tribolazione per quella fiera gente per ben quarant'anni. Sempre a Firmo nel
1881, il Vescovo di Cassano impose al sacerdote di amministrare la Comunione
non con il pane fermentato, come è in uso nel Rito Greco, ma con l'ostia,
risultò che tutti i cittadini gettarono le ostie nel letamaio comune. Altri
esempi di insulsa angheria, fra le tantissime che non sto quì ad elencare, fu
l'accadimento nel 1678 in Lungro, ove essendo feudatario di quel luogo Didaco
Pescara duca di Saracena, su insistenza del Vescovo di Cassano, perpetrò
inaudite violenze contro la popolazione affinchè non riconoscesse più il Rito Greco
proponendo quello latino. Anche se con la violenza quel infido signorotto trovò
la caparbietà dell'Albanese, che speditamente lo fece recedere dal suo intento.
In altre comunità il Rito fu abolito, ma occorse la violenza omicida: a
Spezzano Albanese, nell'agosto del 1644, il principe Spinelli , signore del
luogo e imparentato con l'Arcivescovo latino Antonio Spinelli, fece rinchiudere
nelle segrete del suo castello di Terranova il papas Lungro-Spezzanese Nicola
Basta, che non volendosi inchinare alle volontà del principe per il cambiamento
di rito, dopo orribili persecuzioni morì in carcere. Con la tragica morte di
Nicola Basta, iniziò inesorabile il declino del Rito Greco in Spezzano
Albanese, che fu definitivamente sostituito da quello latino, con una Breve di
Clemente IX, nel 1667. Giovanni Paolo II ha chiesto perdono a tutte quelle
etnie che indebitamente sono state oggetto di soprusi e discriminazione da
parte della Chiesa; i Vescovi di Anglona Tursi, Bisignano, Cassano e Rossano
ancora tardano.
1 Domenico Cassiano, San Adriano,
la Badia e il Collegio Italo Albanese: Marco Editore Lungro 1997.
Foto: www.admlungro.it
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