(di Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro)
Gli Archivi Veneziani, nonostante le molteplici avversità, del tempo, degli incendi e in maniera minore della negligenza del singolo, sopravvissero nelle turbolenze dei secoli, giungendo a noi quasi del tutto integri. Sono un grande tesoro di materiale storico unico al mondo, sia per importanza che per ricchezza. I documenti di questo “gioiello”, fino a qualche decennio fa, il più delle volte non venivano catalogati ed accorpati in registri, ma formavano solo una raccolta di fogli volanti e, come scritto sopra, spesso preda di furti, delle ingiurie del tempo e dei possibili incendi. Tutt’oggi questi Archivi sono una inesauribile fonte di carteggi, ove il ricercatore può attingere materiale inedito e non, per gli studi su quella che è stata la maggiore potenza marittima, nell’arco di diversi secoli, del Vecchio Mondo: la Talassocrazia della Repubblica Veneziana (ϑαλασσοκρατία).
Gli Archivi Veneti sono complessi e quindi richiedono capacità e passione e
quasi sempre un rigore scientifico e un
armamentario di conoscenze che possono arrivare anche da altri ambiti, come
avere una certa padronanza sulle lingue sulle quali si lavora, (nei suddetti Archivi
prevale la scrittura in latino medievale o dialetto veneziano)
in quanto è necessario non fare affidamento unicamente sulle opere tradotte ma
anche sul bisogno di esaminare minuziosamente documenti in archivi pubblici e
privati in lingua originale. Vale lo stesso per l’italiano volgare o per il
greco e il latino. Le cancellerie veneziane, in particolar modo, dagli inizi del
XIII secolo decisero di utilizzare il “sermo
vulgaris”, il latino volgare, ufficializzato definitivamente nel 1402 con una
deliberazione dello stesso Maggior Consiglio, scritta in volgare, che istituì la
cancelleria « Secreta », cioè una
sezione separata degli uffici di palazzo in cui sarebbe confluito il " materiale ritenuto meritevole di adeguata riservatezza".
Una mole di documenti ci viene offerto in
proposito dalla Cancelleria Veneta, nello specifico dalla Cancelleria Segreta, dalle Relazioni
o Giornali del Senato, dai Dispacci dei
vari Provveditori operanti in territorio greco come Jacomo Barberigo
provveditore militare nel Peloponneso dal 1455 al 1466 e Bartolomeo Minio
provveditore a Nauplia o Napoli di Romania dal 1479 al 1483; dalla Scuola dei
Diaristi dove i maggiori esponenti furono Marin Sanudo e Stefano Magno alias
Emmanuele Cicogna. In definitiva una documentazione che ci mostra nella sua
interezza la politica talassocratica e coloniale, sulle coste e sulle basi
adriatiche e ioniche, della Repubblica di Venezia fino alla sua decadenza, che
pone in evidenza anche l’aspetto, oltre che economico, anche sociale e
politico.
A favorire la “colonizzazione” di
Venezia di gran parte delle coste e di isole importanti della Grecia, fu
sicuramente la fine della Quarta Crociata, nel 1204, voluta dalle potenze
cristiane occidentali, alle quali la Repubblica era alleata. Dopo la presa e il
sacco di Costantinopoli e l’incoronazione di Imperatore d’Oriente di Baldovino
IX di Fiandra, Venezia nella spartizione del grande Impero Bizantino, pretese
ed ottenne gran parte delle coste occidentali e non della Grecia, le isole di
Eubea ex Nigroponte, la quale per un
certo periodo fu infeudata della famiglia Carceri di Verona passando nuovamente
sotto la signoria di Venezia nel 1366), Andros, Candia, Idra, Leucade,
Santorini, Cefalonia, Creta, Nasso,
Egina, le fortezze di Corone, Modone, Nauplia o Napoli di Romania e Maupasia o
Malvasia, in sostanza tutti i punti strategici più rilevanti del Peloponneso,
del Braccio della Maina e della Laconia.
La
pace stipulata a Torino tra Venezia e Genova del 1381, avviò la Serenissima a
una nuova grande ondata espansionistica oltremare, che si protrasse per tutto
il Quattrocento e andò spegnendosi col finire del secolo. L'acquisizione più
importante, negli ultimi anni del Trecento, fu Corfù, che si diede a Venezia
nel 1386 dopo la caduta dei suoi precedenti signori, la famiglia Tocco. In
quella stessa occasione Venezia acquisì le piccole isole limitrofe di Paxo e
Antipaxo (Paxos e Antipaxos), e Butrinto (Bouthrotó), sulla terraferma
antistante. Tre anni dopo passò sotto il gonfalone di San Marco anche Nauplia
(Nauplion), chiamata dai Veneziani "Napoli di Romània", un'importante
base sulla sponda nordorientale del Peloponneso. Nel 1390 furono assoggettate
le isole cicladiche di Tino, Micono e Delo, e nello stesso anno il governo
diretto di Venezia fu imposto a Negroponte, fino ad allora soggetta solo in parte
alla giurisdizione della Serenissima. Essa, padrona in Grecia di molte fortezze
dopo la IV Crociata, senti la necessità, considerando la vastità dei
possedimenti, di accogliere masse di albanesi che già in precedenza si erano
stabilite nell’Ellade, in maniera più accentuata in Tessaglia, nel Despotato di
Morea e nel Ducato Catalano. Si vedano i precedenti scritti su “gli Albanei in
Grecia nel protomedioevo e Albanesi nei possedimenti Catalani e del Despotato
di Morea”1 Fin dagli inizi del XV
secolo Venezia avvertì che non doveva solo perseguire i suoi interessi commerciali
e politici nelle colonie in Grecia ma di
rendere partecipi e quindi integrando nella sue attività di terraferma anche le
popolazioni indigene e in particolar modo i greco albanesi. La Repubblica per
il consolidamento del suo potere, con acuta spregiudicatezza, adottò nei loro
confronti una politica di protezionismo, attraverso aiuti economici, leggi
umane e privilegi vari. Essa non usò la insopportabile politica fiscale dei
Despoti di Morea che incautamente risvegliò dal torpore e quindi alla rivolta
anche i contadini guidata da Pietro Bua dal 1453-1454. Venezia comprese che i
greco albanesi in Grecia non erano solo una minoranza culturale, ma anche una
comunità affidabile rispetto ad altre popolazioni quali quella Valacca e Slava.
La presente ricerca, ormai intrapresa da un ventennio, vuole essere di sostegno
alla consolidata tesi, mia e di altri, che da svariate regioni della Grecia,
che verranno annoverate, considerevoli masse di greco albanesi, dalla fine del
XV fino alla fine del XVII ( Manioti), vennero
a fondare e ripopolare molti casali nel Mezzogiorno d’Italia.
Un
primo documento riguardo i privilegi che Venezia offrì ai greco albanesi e non
solo è riportato sia da K. Sarthas in
Mnemeia che nella Cancelleria Segreta Veneta.
Immunità fiscale per gli albanesi
in Negroponte
1401,
14 Februarii
Immunitas
data venientibus ab extra, habitantium super Insula Negropontis.
Sapientes
ordinum.
Capta.
– Quod addantur gratie alias, videlicet die X° mensis Februarii instantis
concesse et facte fidelibus nostri de Nigroponte pro eorum conforto et
consolatione, quod considerata fidelitate sua, omnes illi, qui usque in diem
presentem sunt cives terra Nigropontis, in facto Civilitatis Veneciarum et
navigandi, habentur et tractentur in totum prout habentur et tractantur fidelis
nostri de Candia, et Corono, et Mothono, exceptis Iudeis2.
Invito
(furono esclusi gli ebrei) a ripopolare l’isola di Eubea o Nigroponte offrendo
loro oltre benefici e privilegi di ogni sorta, come anche la Cittadinanza Veneziana,
così come è stato fatto per coloro che hanno ripopolato Candia, Corone e Modone.
L’anno successivo gli albanesi stabilitisi in Tessaglia e in Livadhja furono "benevolmente" sollecitati ad insediarsi nell’isola suddetta:
Cancelleriae Secretae
PARS ALTERA
(Deliberazioni Miste)
1402, 20 Aprilis
Quedam provisio facta, pro apopulando Insulam Nigropontis.
Sapientes ordinum.
Quod,
pro apopulando Insulam nostram Nigropontis, Scribatur et mandetur Regimini
nostro Nigropontis, Quod debeat facere publice proclamari, quod quilibet
Albanensis, vel alia gens, qui non sint nostri subditi, qui cum equis volent
venire et venient ad habitandum, a die captionis presentis partis, usque duo
annos proxime sequentes, in Insulam Nigropontis, recipientur et sin tac erunt
perpetuo liberi et absoluti ab omi angaria reali et personali, et sibi
donabuntur de terrenis nostri comunis incultis, que tamen sint apta ad
laborandum, cum conditionem tamen, quod
dicti tales Albanenses et alia gens equestris, teneantur tenere toto equos,
quot homines capita familie erunt numero, nec possint recedere de dicta Insula
sine licentia dicti Regimini, sed teneatur et debeant, omni vice qua erit
necesse, equitare et ire ad defensionem Insule, et offensionem quorumcumque
volentium dannificare Insulam nostram predictam, et post mortem eorum, dicta
terrena sint et esse debeant suorum heredum, qui habitarent super dicta Insula,
cum obbligatione, tenendi angariam predicta. Si vero non haberent heredes, dicta terrena revertantur in nostro
comune. Verum dictum Regimen Nigropontis, in facto dandi de dictis territoriis
nostri comunis dicti Albanensibus, et aliis equestribus venientibus habitatum
in Insula predicta, habeat libertatem dandi predictis illam quantitatem de
terrenis nostri comunis, per modum predictum qui ipsi Regimini videbitur,
secundum qualitatem personarum, et quantitatem ac conditionem familia illius
qui venerit habitatum in Insula predicta.3
Si
trattò di un proclama per il ripopolamento dell’isola di Negroponte da parte di
albanesi e altra gente che non fossero loro sudditi. Gli Albanesi che vorranno
stabilirsi nell’isola saranno resi immuni da ogni tassazione (angaria) e a loro
saranno donati terreni incolti affinchè con piena padronanza li potranno coltivare. Quote di terreno saranno donate in base alle esigenze e al numero
del nucleo familiare. Se i proprietari delle terre a loro assegnate, dopo la
loro morte, non avranno eredi diretti le stesse terre ritorneranno al bene
comune (alla disponibilità del Provveditore). In cambio gli albanesi che
verranno ad insediarsi nell’isola dovranno allevare tanti cavalli quanti sono i
capifamiglia; dovranno difendere l’isola insieme ai veneziani contro le
incursioni dei nemici e non potranno abbandonare l’isola senza il permesso del
Provveditore del Doge.
Un
quarto di secolo dopo la Repubblica reiterò l’invito ai greco albanesi:
1425,
22 maii
Commissum
Regimini Nigropontiss, quod permittat omnes illos Albanenses qui voluerint
venire ad habitandum in Insulam predictam.
Quod
scribatur Regimini Nigropontis in hac forma videlicet:
Sapientes
ordinum.
Capta
– Intellectis litteris, quibus nobis significastis, quod certa Capita
albanensium ducaminis et diversorum locorum numero familiarum trecentarum
intraverunt Insulam et illam volunt habitare, quorum adventus videtur summe
placere Comunitati nostre Nigropontis, que etiam superinde nostro domino
scripsit, Intellecto etiam quantum eorum adventus affert comodum et utilitate
dicte Insule, Vobis respondemus cum nostris consiliis rogatorum et additionis,
quod placet nobis, et sic vobis mandamus quatenus permittatis dicto albanenses
et alio albanenses, qui vellent venire ad dictam Insulam, ipsam Insulam habitare,
providendo et habendo tantem bonam advertentiam, quod non habitent in
fortilicia nostra, sed intrare et exire possint ad partem ad partem, et non
habitare in eis pro securitate eorum locorum, sed extra persistant et non
inferant dammnus subditis nostris.4
Anche
in questa richiesta di ripopolamento dell’isola i greco albanesi godettero di
privilegi, ma con l’obbligo di non poter abitare nelle fortezze per la loro
incolumità, potendo, tuttavia, uscire ed entrare quando lo ritenessero
opportuno, evitando di provocare danno agli abitanti stessi
Un
documento incompleto del 1426 riguarda alcune famiglie albanesi che stabilitisi precedentemente in Livadia e in Valacchia (Tessaglia), si insediarono nell’isola:
1426,
21 januarii
Quod
scriptum fuit Regimini Nigropontis pro factis Albanensium ((
illegibile))…………….. Quod scribatur nostro Nigropontis in haec forma videlicet:
……..Alios
autem Albanenses, quos dixistis utile esse, et obedientes, qui de Levadia partibus
et de Blachia (Tessaglia) priusquam
suprascripti, illuc venerunt, sicunt scripsistis , debeant retinere in Insula,
et sibi providere de aliquo territorio nostro comuni, aut de alia..re, ut
vivere et stare possint in ea Insula5
Ancora oggi la maggior parte dell’isola di
Eubea, ex Nigroponte, è abitata dai discendenti di quegli albanesi. Ma Venezia non si accontentò solo di ripopolare e di porre in sicurezza l’isola di Eubea, altre cittadelle e basi fortificate dovevano essere regolate in tal senso.
Nella
parte sud occidentale del Peloponneso, in Messenia, la Repubblica possedeva dal
1247 due cittadelle fortezza, esse erano Corone e Modone (gli occhi della
Serenissima) ed anche qui essa ritenne opportuno che fossero i greco albanesi,
in maniera minore e diversa rispetto Negroponte, a ripopolarla. Infatti le due
fortezze non necessitavano di forza lavoro contadino, ma di truppe mercenarie
per la difesa e operai addetti al rafforzamento delle loro mura.
Il
primo documento che riguarda i rapporti tra gli albanesi e la fortezza di
Corone:
1401,
16 februarii
Castellani accipiant XII equites Albanenses, vel alios pro
quolibet pro bono ipsorum.
Sapientes ordinum.
Capta.
– Quod scribatur et mandetur Castellanis locorum nostrorum Coroni et Mothoni,
quod debeant accipiere ad soldum XII Albanenses, vel alios homines confidentes
equestres, pro quolibet dictorum locorum, qui sint boni et sufficientes
homines, et habeant bonos equos, et arma consueti haberi deinde per tales,
dando cuilibet ipsorum de soldo in mense, a quindecim usque viginti yperperos
prout melius facere poterunt. Et quilibet ex castellanis in loco sibi commisso,
debeant operari dictos equestres vel partem eorum, in mittendo et tenendo ipsos
ad loca et passus Amoree in quibus melius et citius possit sciri adventius et
intentio Turchorum vel aliorum volentium venire in Amoream, vel ad damna
territorium nostrorum locorum, dando eis inter alia ordinem, quod subito et
prestissime, cum sentirent aliquid de predictis novis, veniant ad informandum
nostros Castellanos predictos, et debeant operari etiam dictos equestres, in
faciendo reduci vilanos dictorum locorum nostrorum ad fortilicia, in casu
necessitatis, et in fatiendo alia que videntur necessaria dictis nostris
Castellanis, pro bono, custodia, et conservatione dictorum locorum nostrorum
declarando dictis Castellanis quod accipiant dictos equestres qui sint homines
habentes familiam, et quod sua familia veniat ad habitandum in locis predictis.6
Questo
è il primo dei rari documenti riguardanti l’insediamento di albanesi nella
fortezza di Corone, Agli albanesi
addetti all’agricoltura, insediatisi nelle pianure non distanti di Navarino non era permesso di soggiornare entro le mura del caposaldo
veneziano.
Il consiglio dei Savi agli Ordini, ordina ai
castellani di Corone e Modone di assoldare cavalieri albanesi già in
possesso di cavallo che difendano i territori circostanti le fortezze. A questi
albanesi è permesso abitare nei pressi delle fortezza con le proprie famiglie.
Ma
alla Serenissima non bastava solo ripopolare e rendere floridi i suoi
possedimenti in Grecia, essa ritenne opportuno, essendo dispendioso assoldare
truppe di terra provenienti dall’Europa, per la difesa e quindi per la
sopravvivenza delle suindicate colonie, reclutare truppe indigene e greco
albanesi quest’ultimi ormai numerosissimi in Morea. Negli Annali Veneti del
Provveditore Generale Stefano Magno, vengono numerati nel 1453 nel Peloponneso
ciraca 30.000 Albanesi.7
A tal proposito c’è un documento che ci
informa riguardo i contatti che la Repubblica, attraverso il Provveditore
Generale della Morea, Jacomo Barberigo intraprese con i maggiori capi degli
Albanesi in Morea e nel Braccio della Maina:
Jacomo Barberigo
Provveditore Generale della Morea
Dispacci di Guerra di Peloponneso
1465 – 1466
Illustrissimo
Princeps. Per ultimas meas, quas his replicatas ad Excellentiam Vestram mitto,
significavi meum huc appulsum, et quicquid usque scribendum existimavi; per has
autem Celsitudini Vostre significo me odio accessorum in campum pro dando
expeditionem scriptioni Startiotorum restantium, Solicitavi quantum plus potui
Petrum Bua et Alexium Bua, et duo alia capita Stratiotorum Albanensium, ut in
campum profiscicantur; heri scribi feci eorum, conductus me presente, quas auxi de aliquibus
Stratiotis , et cum paga eos ac hora exercitum misi: habent Stratiotos circa
250. (…………). Spero equidem hos Albanenses vicinos his partibus tenere tota hac
hieme cum modica expensa vestri dominii, per eaque habere potui. Dominatio
vestra in tota hac Morea in diversis partibus, cum his qui sunt de conducti, habent Stratiotos circa 1500 8.
Il
Provveditore Barberigo scrive ancora a Venezia, questa volta in dialetto
veneziano:
La
spesa de questi Stratioti albanesi è bona per alcuni valenti homeni, ma per
quelli sono scripti sotto loro ne la
gran conducte, non he bona perché quelli con dificulta se pono tenir in campo;
preterea ne sono molti occupati in guardia de forteze, et passi, zioe con miser
Michieli Ralli de le bande di Chiarenza et col Prothostatora et altri verso
Napoli, che de 1500, non ce ne sono in campo ultra 500 Stratioti. Unde
necessario e la provision vegna de Veneixia, et presto.
Deli
Stratioti dela Illustrissima Signoria Vostra che sono in queste parte, ge sono
alcuni valentuomini, et tra gli altri el conte Megara, el quale di prudentia
proibita et animo al mio iuditio e excellentissimo.9
In
questo caso ci sono da evidenziare alcune considerazioni molto rilevanti:
1.
Gli Albanesi
assoldati, come scritto sopra, sono molto meno dispendiosi in termini economici
degli altri mercenari europei;
2.
La loro
fedeltà alla Repubblica non può essere soggetto a critiche sfavorevoli, quindi
è ineccepibile;
3.
Gran parte
dei capi Albanesi fa parte della casta dei feudatari che già dal IV secolo si stabilirono
in questi territori. Riguardo tale tematica si tratterà in un altro scritto,
essendo essa vasta e non riguardante solo la loro posizione nei possedimenti
veneti in Grecia.
Molti greco albanesi del Braccio della Maina e dei vari “catune”(
villaggi), soprastanti Calamatà e le alture delle Palamidi, nei pressi di
Napoli di Romania, principalmente di estrazione contadina chiedono di essere
reclutati tra le fila degli Stradioti.
Barberigo informa Venezia:
“Le in questa provintia molti principal Grexi et Albanesi, tuti
dimande el viver, et provision, et chel va per anni 3, che iserve de bando son
poveri et contadini et non ha con che sustentarse, et in parte dixe el vero, ne
el etiam si Greci come da catune de Albanexi che tuti dimande denari; a tuti
Serenissimo Principe, don bone parole, et prometto che conquistando questo
paexe, come ha da sperar in la gratia de Dio, la Vostra Signoria remunera tuti
i suoi servitori.10
Ma il Provveditore fece una selezione decidendo chi arruolare o
meno come stradioti:
“….et è una spexa butada via quella se fa ne la mazor parte di
loro, perché iservino male, et tuti altri coreno per essere Stratioti, et li
acceptando, fanno delle cosse maco che ben facte”.11
Riguardo i dissensi tra i Greci e gli arconti Albanesi Barberigo
scrive al doge:
“…Tuti questi Albanesi, che sono reducti ad obedentiam de la
Vostra Illustrissima Signoria hanno in tanto odio questi Greci che per neum
modo volevano esser o governadi da quelli; Et essendo per tutto deputati Greci
et Albanexi ad governation de castelli, et luoghi, tuto di venivano ad
agravarsi ad me, dolendosi di essere a lor governo, dicendo che ringratiavano
Dio, essere liberati di mano di Greci”.12
La mole del carteggio riguardante gli Albanesi nei possedimenti
della Repubblica di Venezia è inesauribile, quindi ritengo, per non fiaccare il
lettore, che questa piccola dissertazione documentata possa essere sufficiente
ad esaudire i curiosi e ad allontanare i misoneisti. Venezia dominava anche su
altri possedimenti minori, come l’isola di Egina, Tenos, Patmos, Andros,
Spetza, Idra ecc…., ma negli archivi di queste poco è conservato, in quanto la
loro amministrazione la Serenissima la attribuì in gran parte ai suoi
aristocratici i quali non ebbero la diligenza dei provveditori o dei rettori
che tutto compilarono.
Fonti:
1. La Voce dell’Arberia Blogspot.com
Fonti:
1. La Voce dell’Arberia Blogspot.com
2ASV
Cancelleria Secreta Reg.° 45, 1400-1401, c. 138.
3 ASV Reg.° 46, 1400-1405, c. 15, t.°) e ( K. Satahas, Documents inedits relatifs a l’histoire del
Grece au Moyen Age Vol: IV pag 111).
4 ASV Cancelleria Secreta . Reg. 35-1424-1425, c. 113 e K. Sathas
o.c. vol. III pag. 126.
5 ASV Cancelleria Secreta – Reg. 56, 1426 1428 c, 70, t.
6 ASV Reg°. 45, 1400 – 1401, c. 139 t°.
e K. Sathas o.c. Vo.II pag. 96
7 A. Zakythinos,
Le Despotat Grec de Moree, pag. 126. Paris 1932
8 Biblioteca Municipale Magnani Bologna ( Dispacci della Guerra di
Morea vol.I) e K. Sathas o.c. Vol. VI pag. 6
9 K. Sathas o.c. Vol. VI, pag. 15.
10 K. Sathas o.c. Vol. VI pag. 25. e S. Dragoumes, Χρονικῶν τοὺ Μορέος τοπωγνομικὰ-τοπογραϕικὰ
ίστορικὰ ("Studi storico-topografici sulle cronache di Morea"), Atene
1921.
11 K Sathas o.c Vol. VI pag 26.
12
K
Sathas, o.c. Vol. VI pag. 27.
Foto Wikipedia
Foto Wikipedia
Ottimo certosino lavoro di ricerca che premia una invidiabile passione innata a difesa di tesi più che convincenti su ipotesi di popolamento delle comunità arbreshe.A suffragio di contrastate e polemiche tesi resta un fatto eclatante nella povera letteratura orale delle comunità,l'emozionante canto dell'esule che ricorda la Morea,la fede e il rituale religioso.Tutti elementi che contrastano l'imperante dilettantismo di alcuni cultori delle tradizioni che operano nel settore folcloristico con voracità,premiata da ondate politiche.Evito di tirar in ballo la Chiesa,ormai ridotta a promuovere manifestazioni ecumeniche di dubbia finalità e condizionata da infiltrazioni esterofile molto nocive per le tradizioni locali.Complimenti sinceri.
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