mercoledì 25 novembre 2015

Gli Stradioti

( Vincenzino Duca Angeli Vaccaro)

Dalle giuste tesi enunciate dal Braudel, da quelle di Anselmi e di Ducellier, riguardo la trasmigrazione degli albanesi dalle montagne alla ricerca di spazi più ampi e a quella di sfuggire alla triste realtà del rigido sistema feudale  e considerando che sussiste una congiuntura di elementi che, nello specifico periodo di cui si farà cenno, hanno caratterizzato la situazione sociale ed economica della penisola Balcanica, è necessario che venga sommariamente dissertato sul fenomeno del mercenarismo degli albanesi, i quali nella maggior parte dei casi scelsero di servire le potenze straniere e in particolar modo la Repubblica di Venezia, che nel corso dei secoli che vanno da quello XV a quello XVII, erigendosi a potenza marittima nell’Adriatico, si trovò ad affrontare militarmente l’Impero Ottomano, per la salvaguardia dei suoi territori e soprattutto dei suoi commerci. Il Braudel, forse con tono molto critico, ecco come si esprime riferendosi ai mercenari albanesi: “La storia degli albanesi merita uno studio a sé. Attratti dalla ‘spada, gli ornamenti d’oro e gli onori, hanno lasciato le loro montagne principalmente per diventare soldati. Nel XVI secolo che si trovavano a Cipro, a Venezia, a Mantova, a Roma, a Napoli, e in Sicilia, e per quanto all’estero come Madrid, dove sono andati a presentare i loro progetti e le loro rimostranze, per chiedere barili di polvere da sparo o anni di pensione, arroganti imperiosi, sempre pronti a combattere. Alla fine l’Italia progressivamente chiuso le sue porte a loro. Si sono mossi verso i Paesi Bassi, Inghilterra e Francia durante le guerre di religione, soldati-avventurieri seguiti ovunque dalle loro mogli, bambini e papàs.
La  Serenissima per poter tranquillamente svolgere la propria attività commerciale lungo le coste adriatiche e ioniche, aveva bisogno di garantirsi la difesa delle sue basi navali, le città e le fortezze e,  nutrendo qualche interesse particolare, anche di alcune zone dell’entroterra della penisola balcanica. Data la ristrettezza territoriale e quindi il limitato numero di cittadini, la Repubblica di Venezia non disponeva di milizie sufficienti, atte ad assicurare la sua posizione di potenza marittima occidentale e, quindi, si pensò di porre rimedio a tale inconveniente arruolando militi fra le popolazioni indigene dei suoi possedimenti. Come già sopra accennato, ad arruolarsi furono soprattutto gli albanesi, originari da Durazzo e dalla Chimara e in maggior parte quelli che intorno alla fine del XIII secolo trasmigrarono in Grecia. Centri di reclutamento vennero istituiti a Corone, Modone e Malvasia in Morea, Nauplia o Napoli di Romania in Argolide, Candia, Cefalonia, Corfù, Cipro, Negroponte, Zante e Cefalonia.
Questa militi vennero  denominati “Stradioti.”
Molti storici, attraverso studi ben accurati, hanno trattato il fenomeno dello “stradiotismo” analizzandolo sia sotto l’aspetto antropologico che storico,  tra questi vanno ricordati Marino Sanudo, Coriolano Cippico e Filippo de Commines.  Ma a compulsare e pubblicare la storia degli stradioti sono sicuramente da annoverare il greco Costantino Sathas, che tra il 1888 e il 1890 rese edita  in nove volumi la monumentale opera : “Documents inedits relatifs à l’histoire de la Grece au myen-age e la non meno pregevole ed esaustiva raccolta dei documenti dell’Archivio veneto “ Acta Albaniae Veneta” di Giuseppe Valentini, pubblicata nel 1966 in 27 volumi.
Gli stradioti, dal greco στρατιώτες ( soldato), costituivano un corpo speciale di cavalleria leggera e le armi di cui erano dotati consistevano in una lancia chiamata “assegai” il macis, la mazza e la balestra. Così li descrive Marino Sanuto il giovane:
“Indossano mantelli e cappucci alti, alcune mute usurate, portano la lancia in mano, e una mazza, e appendono la spada al loro fianco. Si muovono come gli uccelli e restano incessantemente sui loro cavalli … Sono abituati a brigantaggio e spesso saccheggiano il Peloponneso. Sono ottimi avversari contro i turchi e sanno organizzare le loro scorrerie molto bene, colpendo il nemico inaspettatamente.  Sono fedeli ai loro padroni. Non prendono prigionieri, ma piuttosto tagliano le teste dei loro avversari, ricevendo secondo il loro costume un ducato a testa. I loro cavalli sono grandi, abituati ai disagi, corrono come gli uccelli. Gli stradioti tengono sempre la testa alta e superano tutti gli altri nella manovra di battaglia. Innumerevoli di questi stradioti si trovano a Napoli di Romagna e di altre zone della Grecia che sono sotto la signoria e che ritengono le loro città fortificate con le armature e lance”.
Secondo la maggior parte delle fonti documentate, gli stradioti , non indossavano armature, poiché di intralcio alla loro caratteristica di essere abili e veloci cavalieri, ma solo tuniche imbottite di lino o camicie di maglia. Studiosi moderni, invece, come lo Stone, ritengono, che i loro abbigliamento fosse di origine ibrida, in quanto, in quel periodo, notevole era la mescolanza degli stili militari.
La loro fama di abili cavalieri, esperti nella guerriglia, ben presto attraversò i confini della penisola balcanica propagandosi in quasi tutta Europa. Il loro stile di combattimento (attacchi improvvisi, imboscate, finte ritirate e altre tattiche poco conosciute) usciva dalle linee dogmatiche di strategia militare tradizionale ed accademica  conformandosi, sotto certi versi, alla guerriglia organizzata che Giorgio Castriota Skanderbeg mosse per un quarto di secolo contro gli ottomani, conseguendo di volta in volta, sempre maggiori successi.
Dal 1475 essi sostituirono definitivamente la cavalleria leggera veneziana venendo posti a presidiare i confini friulani. Molti altri, invece giunsero in Europa servendo le corti francese e spagnola, in particolare modo e, in Italia, oltre alla già menzionata Serenissima, furono reclutati dagli Aragonesi e dagli Sforza di Milano.
Dai documenti rinvenuti e pubblicati da Costantino Sathas, soprattutto nel 9° volume della sua monumentale opera e nello specifico in “Documenta feudatarios greco strathiotas dictos illustrantia”,risulta che la maggior parte degli stradioti era costituita da volontari Albanesi di Grecia ( Arvaniti) e solo in parte da Greci autoctoni, Dalmati, Valachi e Slavi. I reparti erano costituiti, inoltre, da un numero variabile di soldati che si aggirava dai 30 ai 300. Essi erano guidati da un comandante, che si distingueva per coraggio, valore, esperienza e godeva di grande prestigio presso i suoi sottoposti.
Si è sempre immaginato che i militi di queste truppe speciali fossero in gran parte di origine greca, ma studi moderni, hanno accertato, come la visione delle liste degli stradioti da parte di Costantino Sathas nell’opera sopra citata e gli indici dei Diari di Marino Sanuto, che circa l’80% dei nomi erano di chiara origine albanese e il restante 20% di origine greca, Valaca e Slavi del sud. Vero è che molti capi stradioti di una certa rilevanza erano di origine greca bizantina, come i Paleologhi, Spandounios, i Comneni, i Miniatis, i Kondomitis, i Spyliotis ed altri, ma essi erano una minoranza che si era ritrovata ad assumere il comando di truppe, in grazia della loro posizione di signori e feudatari dell’Argolide e del Peloponneso dove imperava Venezia. Altri, come i Soimiris, i Vlastimiris e i Voicha potrebbero appartenere a famiglie slave del sud.
Attraverso scrupolosi studi di carattere onomastico, però,  viene evidenziato che la maggior parte di questi soldati a cavallo, oltre ad avere diretta origine dall’Albania, nello specifico da Durazzo e dalla Chimara, veniva reclutata, come sopra annotato, dai vari possedimenti veneziani disseminati nella Grecia meridionale, dove fin dal XIII secolo popolazioni provenienti dal sud dell’Albania si erano insediate dietro fervido incoraggiamento dei Paleologhi, despoti bizantini della Morea, regione ormai spopolata e poco difesa dalle incursioni militari straniere.
Il motivo che di più determinò la diffusione del fenomeno dello stradiotismo nella penisola Balcanica e in Italia, può senz’altro ricercarsi nel trattamento economico a loro riservato, infatti  essi percepivano una paga  che era più bassa rispetto a quelle che venivano elargite agli altri mercenari, francesi spagnoli, svizzeri e napoletani, quindi, oltre che ottimi cavalieri, anche più convenienti, dal punto di vista prettamente finanziario. Infatti gli stradioti, pare che apprezzassero di essere ricompensati più con titoli, privilegi e concessioni di terre ( pronoia = allodio), che con alte paghe. Narrare le proprie gesta e partecipare esibendosi da protagonisti principali ad una sfilata dove poter mostrare la loro capacità di indomiti guerrieri e poter professare la loro religione ortodossa o uniata, era più importante di qualsiasi altra retribuzione e ciò si evince anche dalle poesie che alcuni di loro, come Michele Marullo, il Tracaniota e Manoli Blessi, scrissero in lingua veneta frammista a quella greca, elogiando, talvolta con punte di epica,  le avventure degli stradioti
Taluni non li hanno considerati come veri e propri mercenari, ma piuttosto come nomadi in cerca di asilo per sé e le loro famiglie, che sistematicamente li accompagnavano nelle destinazioni dove prestavano i loro servigi.
Nonostante la loro bravura nel combattere il nemico secondo lo stile Akinci (cavalleria irreoglare), venivano considerati da molti funzionari della Repubblica di Venezia  come “anticristiani, perfidi, ladri nati e potenziali traditori e “ così disobbedienti che possano farci nulla di buono.”
Alla fine del XV secolo, prospettandosi critica per la Serenissima la situazione politica e militare fra gli stati italiani e le incombenti minacce provenienti dalle potenze europee resto, truppe di stradioti furono sbarcati a Venezia per essere impiegate in eventuali conflitti armati sulla Terrafirma.  Così Marino Sanuto descrive il loro sbarco a Venezia: “Il 22 aprile ( 1482) la prima nave della cavalleria è arrivata e ha portato con sé sette stradioti da Corone, che, quando sbarcarono al Lido, sfilarono al loro modo abituale e la folla insolita si meravigliò della velocità dei loro cavalli e dell’abilità dei cavalieri.”
Non trascorse molto tempo e gli stradioti furono prontamente impiegati in battaglia dalla Repubblica di Venezia, che alleata di Milano, aveva costituito, per combattere le truppe di Carlo VIII, la Lega Antifrancese, dove militavano per la maggior parte mercenari italiani, dalmati, tedeschi e gli stradioti. Le truppe francesi, colpite dalla peste, mentre si ritiravano da Napoli furono fermate nei pressi di Parma dalle truppe veneziane e milanesi le quali, in un primo momento approvarono la marcia di Carlo VIII verso la conquista di Napoli ed in seguito, preoccupate dalla rapidità e dalla facilità con cui esse conquistarono il napoletano cercarono di ostacolare la ritirata del suo esercito. La Lega Antifrancese decise di dare battaglia all’invasore d’Oltralpe con l’intento di stanarlo e farlo recedere da eventuali altre intenti di conquista in territorio italiano. Lo scontro avvenne a Fornovo nei pressi di Parma il 6 luglio del 1495 ed ebbe un risultato incerto. Sicuro è che i francesi ebbero la possibilità di poter rientrare in patria indisturbati. Per quanto concerne gli stardioti, essi, in quel frangente, si dimostrarono più predoni che soldati a cavallo, infatti essendo sotto il diretto comando del condottiero veneziano Fortebraccio, alla vista del bottino disertarono la battaglia, volgendo il loro avido interesse a tutto ciò che il nemico aveva abbandonato sul campo, contravvenendo all’ordine impartito.
Pochi si fidavano degli stradioti che erano avvezzi al saccheggio. Il bailo veneziano di Modone, nel 1541 inviando una missiva al capitano generale di mare in Terra Firma”annotava che fra Napoli di Romania (Argolide) e Malvasia ( Peoponneso) due capi stradioti, Paolo Bua e Corcondilo Cladà, isolandosi irruppero in un campo turchesco” prelevando 250 porci, 50 bovini e più di 120 cavalli.
Il loro girovagare per l’Europa tutta, ebbe inizio con la caduta delle fortezze veneziane in Grecia. Tra i capi degli Stradioti vanno menzionati gli albanesi Bua, Cladas, Bafi, Mathes, Blessi e Plessia, Basta, Renesi, Sarri, Candreva, Braila, Baccari, Stamati, Capuzzimadio, Masi ed altri, tutti “Capitani di cavalli Albanesi.” Molti di loro, come sopra accennato, si misero al servizio dei vari potentati occidentali, altri, sia come capitani che come semplici militi, con i proventi ottenuti dai loro servigi resi alla Serenissima, con le loro famiglie e sacerdoti decisero di condurre una esistenza più tranquilla stabilendosi nelle preesistenti comunità albanesi dell’Italia meridionale dove tutt’oggi esiste una fitta rete onomastica di origine stradiotica.
Bibliografia essenziale:
K.Sathas, Documents inèdits relatifs à l’histoire de la Grèce au Moyen Age. Tom. VI. J. Barbarigo, Dispacci della Guerra in Peloponneso ( 1465-1466). Paris 1880 – 1890.
Marino Sanuto, La Spedizione di Carlo VIII in Ialia, ed. Fulin, Venezia 1883.
Philippe de Comines, Memoires vol. II , Londra e Parigi 1747.
N. Pappas, Stradioti: Balkan mercenaries infifteenth and sixteenth century Italy.- Article.
F. Braudel, La Mèditerranneè et le mond mèditerrannèen à l’epoque de Philippe II, Paris 1982 ( trad. Italiana Torino 1983).
A. Ducellier, Bisance et le monde orthodox Paris, 1986 ( traduzione taliana Torino 1987).
A. Anselmi, Schiavoni e Albanesi nell’agricoltura marchigiana, in rivista di Storia dell’Agricoltura 1976 pag. 5.
G.G.Pontano, De bello neapolitano, Napoli 1509, libro II.
I. Mazziotti, Immigrazioni albanesi in Calabria nel XV secolo e la Colonia di San Demetrio Corone, cap. V . Edizioni il Coscile 2004.
Marino Sanuto, F. Visentini 1901- I Diari di Marino Sanuto ( MCCCCXCVI-MDXXXIII) dall’autografo Marciano ital. Cl. Codd. CDXIX-CDLXXVII.


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