Una libreria nella Badia di Lungro?
Di Biagio Cappelli
In un lucido capitolo ed in vari altri luoghi del volume 68 della collezione « Studi e testi » della Biblioteca Vaticana, il cardinale Giovanni Mercati illustra e discute alcuni antichi elenchi di libri, un giorno appartenuti a monasteri basiliani della Calabria, conservati nel codice Vaticano Reg. lat. 2099.
Gli elenchi che sono da riferire ad un inventario eseguito in occasione di
una Visita compiuta ai monasteri basiliani calabresi nel 1575, rappresentano le
liste, più o meno complete, dei manoscritti allora esistenti nelle librerie
delle badie di S. Giovanni Theriste a Stilo, di S. Bartolomeo a Sinopoli, del
Patirion a Rossano, di S. Gregorio Taumaturgo a Staletti, di S. Adriano a S.
Demetrio Corone ed infine di un 'altra di cui manca il titolo in capo alla
nota.
L 'ottavo dei codici segnati nella lista dei manoscritti che appariscono
conservati nella badia sconosciuta è dallo stesso cardinale Mercati
identificato con l'attuale codice Vaticano greco 2030 che contiene opuscoli del
beato Efrem e del monaco Nilo. E poiché questo codice, da una sottoscrizione
che porta, appare copiato nel 1020, indizione 4., da un Marco chierico di un
monastero intitolato al gran martire S. Sozonte; e poiché questo monastero è da
identificare con quello di S. Sosti, già esistito nei pressi del borgo omonimo
in provincia di Cosenza, sarebbe legittimo concludere che l'intera lista dei
codici elencati sotto la badia della quale manca il titolo sia appunto da
riferire alla libreria del monastero di S. Sosti. Dato però che questo appare,
dalla documentazione potuta raccogliere, già del tutto privo di monaci verso la
metà del sec. XVI, è forse più esatto
supporre che l'elenco vada riferito al contenuto della libreria di qualche altro
monastero vicino, che ospitando gli ultimi monaci di S. Sosti, ne raccogliesse
anche le reliquie.
Spinto dalla lettura avvincente delle pagine del cardinale Mercati ed in
conseguenza dal desiderio di cercare di fare un po' di luce sull'argomento, che
investe la cultura di un centro monastico basiliano nella Calabria
settentrionale, allo studio della quale da tempo ho rivolto la mia attenzione
ho voluto tentare una ricerca che nelle sue linee generali mi sembra abbia dato
qualche buon risultato.
In seguito a quanto il 10 giugno 1573 viene stabilito tra papa Gregorio
XIII e Giulio Antonio Santoro, cardinale di Santa Severina ed allora abate
commendatario del monastero dei SS. Elia ed Anastasio del Carbone, nel mese di
giugno del 1575 il benedettino don Germano di Genova e don Ludovico Grisoni di
Napoli visitano la badia di S. M. di Grottaferrata. Essendo poi questi stessi
incaricati di estendere la loro Visita anche ai monasteri basiliani di Calabria
e di Sicilia, don Germano di Genova appare il 14 novembre dello stesso anno
1575 nel monastero di S. Pietro di Arena. Vi appare però solo mentre attende di
poter recarsi nella Sicilia, dove poi alla fine non passa per timore della
grande epidemia di peste, che allora infierisce terribilmente in alcune parti
dell'isola.
Benchè non siano ancora ritornati alla luce gli Atti completi di questa
Visita del 1575, che un tempo erano conservati nell'Archivio del Collegio di S.
Basilio a Roma, dove poterono anche vederli e consultarli ed utilizzarli
scrittori e giuristi del sec. XVIII, pure la stessa notizia che nel novembre
1575 don Germano di Genova è solo a S. Pietro di Arena, dove attende il momento
propizio per recarsi in Sicilia, specie se combinata con l'altra che, invece,
al monasteto di S. Basilio Craterete, oltre don Germano, è presente don
Ludovico di Napoli, ci dà modo di accertare un dato di fatto. E cioè che la
Visita, alla quale si devono gli elenchi dei codici trovati in vari monasteri
della Calabria, ha inizio, come del resto è logico per chi viene da Roma, dalla
parte settentrionale della regione.
Nessuna notizia circa 1 'itinerario preciso seguito dai due visitatori
traspare però dalla disposizione degli elenchi dei codici nel fascicolo che li
contiene. Perchè, nell'ordine in cui i fogli di questo fascicolo sono
attualmente rilegati, alla badia sconosciuta seguono quella di S. Giovanni a
Stilo, di S. Bartolomeo a Sinopoli, del Patirìon a Rossano, di S. Gregorio a
Staletti, di S. Adriano a S. Demetrio Corone, mentre in un ordine ipotetico,
che si ottiene piegando il fascicolo in senso contrario, si inizia con il
monastero del Patirion, cui succedono S. Gregorio, S. Adriano, la badia
sconosciuta, S. Giovanni, S. Bartolomeo. E' chiaro da quanto precede come
elenchi riguardanti badie topograficamente vicine e si può dire confinanti nei
loro territorii, quali ad esempio quella di S. Adriano e l'altra del Patirion,
siano sempre separate da note riguardanti monasteri lontani: come, per rimanere
nel caso preso in esame, quello di S. Gregorio. Per modo che è da pensare che
gli elenchi siano redatti disordinatamente nelle pagine rimaste bianche.
Pure, in questo disordine e per quanto si riferisce ai monasteri predetti,
vi è un indizio importante che fa congetturare che l'itinerario seguito nella
Visita ha proprio, o quasi, inizio dalla badia sconosciuta. E' precisamente il
fatto che tutti gli elenchi sono redatti da due mani: una prima che trascrive i
titoli o dà notizia del
contenuto solamente dei primi nove codici della badia sconosciuta; una seconda
che segna i rimanenti libri di questa badia e quelli di tutti gli altri
monasteri. E poichè una nota che appartiene alla seconda mano, apposta al primo
dei codici di S. Giovanni di Stilo, « Istoria della regione... delli Etiopi...
tradotta da Ioanne monaco di S. Sabba » presuppone una persona pratica di libri
che conosce anche quelli della badia di Grottaferrata, con uno dei quali
istituisce un raffronto, sì che giustamente si è supposto che la nota stessa si
debba a don Germano da Genova, che oltre ad aver visitato il monastero di
Grottaferrata appare assai versato nelle lettere greche; ne viene di
conseguenza che quasi sicuramente il catalogatore dei primi nove codici della
badia sia don Ludovico di Napoli. Mettendo così in relazione questo fatto con
la prova che si è visto noi abbiamo della presenza di ambedue i visitatori in
qualche monastero della più settentrionale zona dell'alta Calabria, mentre don
Germano appare unico visitatore alla fine del viaggio, siamo indotti a credere
che la badia sconosciuta sia da ricercare proprio tra quelle che rimangono a
nord di S. Demetrio Corone e di Rossano.
Il monastero di S. Sozonte, dal quale implicitamente prende le mosse la
presente ricerca, sorse un tempo in un luogo paesisticamente ammirevole per
l'asprezza e la bellezza delle campagne intorno e delle prossime tormentate
montagne boscose, sito tra gli odierni abitati di S. Sosti e di S. Donato
Ninea, alle falde sud-orientali del monte Mula. Celebre quest'ultimo
nell'agiografia italo-bizantina per la vita ascetica che vi conducono S.Leon
Luca da Corleone ed altri anacoreti che questi vi trova. Nulla vieta pensare
che il monastero di S. Sozonte, già centro di cultura nel 1020, come è
documentato dalla notizia del ricordato codice Vaticano greco 2030, sia appunto
sorto sopra il precedente eremo, che nel secolo X ricovera i SS.
Cristoforo e Leon-Luca. Ma ad ogni modo esso, che poi accoglie alla sua ombra
una colonia albanese, e che è restaurato completamente dal monaco Paolo di
Carbone abate dal 1447, come appare dalla Visita effettuata da Atanasio
Calceopoulos nel 1458, nella prima metà del secolo XVI è in disfacimento anche
nei suoi fabbricati. I quali un secolo dopo appariranno delle pittoresche
rovine, tra cui è però ancora possibile distinguere chiaramente la chiesa ed
un'ala del cenobio, ravvivate dai secolari colori di affrescate immagini di
arte bizantina con leggende in caratteri greci. Dipinti ed iscrizioni che
oramai soli danno la prova che i ruderi appartengono ad una fondazione dei
basiliani, i quali a quell'epoca neanche vogliono riconoscerla come loro. E
l'esodo degli ultimi monaci, o dell'ultimo monaco, poichè il visitatore del
1458 non vi trova che l'abate Paolo Camaya di Carbone, rimasti a S. Sozonte
avviene, per quanto possia1mo congetturare dai dati esposti e da quanto ora si
dirà, alla fine del secolo XV. In quest'epoca, allontanandosi per sempre
dall'antico, ma ora tanto desolato monastero, essi cercano e trovano
sicuramente rifugio nell'altra badia assai prossima intitolata a S. Maria de
Funtibus.
Questo cenobio fondato e riccamente dotato il 2 maggio 1195, alla presenza
di molti prelati e feudatari imperiali e signoriali, da Rogerio e Basilia
signori della vicina terra di Brahalla, ora Altomonte, prospera ancora, dopo la
desolazione che il Calceopoulos vi nota nella sua Visita, nel secolo XVI nel
casale di Lungro. Dove oggi solo una fontana, che un tempo donò il nome al
monastero ed alla chiesa, dalle cui fondamenta scaturisce, ne mantiene vivo il
ricordo con il suo odierno appellativo di « fontana della Patia ». Che la badia
di S. Maria de Fontibus accolga i monaci superstiti di S. Sozonte e nei loro
riguardi subentri a questo in tutto, è ampiamente provato dal fatto che nel
1508 il napoletano Paolo dello Porta, concedendo alla Università di Lungro,
formata di Italiani e di Albanesi, di cui egli ha la giurisdizione civile,
alcuni «Capitoli, immunità e gratie», il cui testo custodito un tempo
nell'Archivio comunale di Lungro ora non più esiste, avendolo inutilmente
ricercato anni addietro, si intitola « abate del venerabile monastero di S. M.
di Lungro e S. Sosti ». Con il 1525 il monastero di S. Maria de Fontibus passa
anch'esso in commenda; ma i monaci insegnano sempre le lettere greche in cui
sono istruiti. Cosa questa, naturalmente, che ci indica come gli studi siano
ancora tenuti in onore nel cenobio. Questa notizia, per noi assai preziosa, è
ricavata appunto dagli Atti della Visita del 1575, che aggiungono come ora il
monastero sia commenda del napoletano Camillo Venati e la chiesa abbaziale sia
officiata da quattro domenicani, ma anche che il settantenne arciprete di
Lungro attesti di ricordare i monaci greci dei quali un cinquantennio prima è
scolaro e discepolo.
Quasi a conferma di questa notizia un'altra nota anch'essa attinta agli
Atti della Visita del 1575, che vengono espressamente citati, ci rende edotti
che i visitatori PP. Germano da Genova e Lodovico da Napoli si rendono anche
conto dello stato dell'altro vicino monastero di S. Basilio Craterete, che dal
1932 è risorto prospera per la pietà della Badia di Grottaferrata vicino
all'abitato di S. Basile. Quivi i visitatori si protestano però fare la Visita
senza intenzione di ledere i diritti del titolare dell'episcopato di Cassano,
allora monsignore Tiberio Carafa (1571-88), cui il monastero è unito nel 1509,
mentre nella Visita del 1458 Atanasio Calceopoulos vi ritrova l'abate Paolo con
altri monaci.
Dopo la Visita ordinata da papa Onorio III il 10 maggio 1221 a Giovanni
vescovo di Crotone e Ioannice o Teodosio abate di Grottaferrata e della quale,
pur essendosene dispersi gli Atti, sappiamo che deve raggiungere i monasteri
basiliani calabresi di S. Ciriaco di Buonvicino, S. Sosti e S. M. de Fontibus,
che con l'altro di S. Basilio Craterete sono scaglionati torno torno alle
pendici orientali del gruppo montuoso di cui fa parte il monte Mula, e dopo
l'altra Visita, di cui si è più volte fatto cenno, del 1458, da quanto si è
detto abbiamo le prove che i visitatori del 1575 si recano almeno in tre dei
cenobi siti nella predetta zona.
Il primo è quello stabilito nella fresca valletta di Buonvicino dal locale
asceta S. Ciriaco che dopo essersi fermato nell'alpestre contrada di Trepidono
e poi nella grotta detta Romano o Venicella, già ostentante lembi di pitture
mura,li bizantine illustrate da iscrizioni greche ed oggi sovrastata da una
piccola e suggestiva chiesa, fonda il cenobio a lui poi dedicato poco sotto
l'abitato. Di questo monastero appunto, per quanto passato in commenda un
decennio prima, rimane una particolare relazione della Visita ivi effettuata. L
'altro è il cenobio di S. Maria de Fontibus, il terzo il monastero di S.
Basilio Craterete. Se si esclude dunque che i visitatori tocchino S. Sosti per
il fatto che il monastero da tempo non è più abitato dai basiliani, ugualmente
mi pare che, in base a quanto essi stessi, come si è visto, esprimono, non si
debba considerare l'ipotesi che gli stessi visitatori si occupino di prendere
nota dei codici che possono trovarsi in una libreria oramai incorporata tra i
beni del vescovato di Cassano allo Ionio; quale sarebbe il caso del monastero
di S. Basilio Craterete.
Rimangono così le fondazioni di S. Ciriaco di Buonvicino e di S. Maria de
Fontibus di Lungro dove i visitatori hanno potuto trovare i libri elencati.
Codici che d'altra parte, per la sommarietà con cui vengono inventariati i
libri trovati nelle varie case nella Visita del 1458, non possono essere
identificati con questo mezzo che pure sarebbe il più idoneo. Mentre per
maggiore disdetta ciò non sarebbe neanche sempre possibile dal momento che
nella Visita del 1458 non viene redatto alcun inventario dei beni posseduti dal
monastero di Lungro in quanto il suo abate Elia non si trova in sede, ma ad
Altomonte. Ad ogni modo più che pensare al monastero di S. Ciriaco di
Buonvicino, per tutto quanto precede resta sempre lecita e giustificata la
supposizione che i delegati alla Visita del 1575 abbiano trovato nella badia di
S. Maria de Fontibus i dodici, e forse più, codici elencati sotto la badia di
cui manca il titolo; tra i quali codici tre pregevoli e rari per il loro
contenuto: una « Dottrina » di Pietro vescovo alessandrino, vari testi relativi
a S. Pacomio ed una Vita di S. Nicolò di Mira redatta da Basilio « Lacedemonii archiepiscopi ».
Anche il monastero di Lungro è all' epoca della Visita governato da un
abate commendatario da circa un cinquantennio e quindi si potrebbe supporre che
gli ultimi monaci Basiliani allontanandosene avessero portato con loro i libri
di antica proprietà del cenobio e, ancora una volta, quelli che vi sono entrati
con la venuta degli ultimi religiosi di S. Sosti. Tutto ciò può benissimo
essere vero. Ma, d'altra parte, mentre non può assolutamente affermarsi che
tutti i monaci basiliani abbiano nel 1525 abbandonato il vecchio monastero,
trovandosi ad esempio ricordato un « Dionisio monaco greco » nel censimento
effettuato a Lungro il 1545, rimane sempre da notare che la stessa Lungro ed
implicitamente la sua badia di S. Maria de Fontibus presentano un notevole
interesse per gli studi greci e per le scuole monastiche, non soltanto fino al
1525, come si è già visto, ma anche in seguito. Poichè una annotazione aggiunta
al nome del predetto monaco Dionisio ci informa che questi tiene a Lungro una
scuola di lettere greche aperta a tutti.
E poi sempre la badia di S. Maria de Fontibus mantiene una sua tradizione
di decoro e di dignità, che spinge nel 1634 l'abate commendatario del tempo, il
milanese cardinale Giulio Roma, del titolo di S. Maria della Minerva, a
restaurarne le fabbriche corrose, ed un secolo dopo monsignor Nicolò Colonna
dei principi di Stigliano a ripararle ancora, curarle ed adornarle.
Estratto da
BIAGIO CAPPELLI
IL MONACHESIMO BASILIANO AI CONFINI CALABRO-LUCANI
Napoli 1963 in Ungra.it
Biagio Cappelli, Una libreria nella Badia di Lungro?
IV, 31 – Nuova pubblicazione sulla Badia di Grottaferrata. X, 37
Foto:Archivio Sanseverino di Bisignano