SULLE ORIGINI "ALBANESI" DI S. GIORGIO LUCANO
Di Vincenzo Fucci
Terra di S.
Giorgio. Dal 1863, regnante Vittorio Emanuele II°, sulla base di una esplicita
deliberazione di quel Consiglio comunale – sindaco Giuseppe Lauria – divenne,
con decreto reale, a tutti gli effetti, S. Giorgio Lucano. C'è comunque
confusione sulle sue origini, sulla sua fondazione.
Per alcuni avrebbe avuto
origini e sarebbe stato fondato da profughi albanesi. Non si può essere di
questo parere.
La "Nuova descrittione del Regno di Napoli diviso in dodici
provincie" di Enrico Bacco, del 1639 – che è la più vicina nel tempo alla data
ufficiale di nascita del paese (1607) – riporta S. Giorgio alias Mendulo con
"nove fuochi" mentre lo Giustiniani (1797), a proposito di Noja, l'attuale
Noepoli, dica che "comprende cinque altri casali, cioè Terranova, Sangiorgio,
Cersosimo, Casalnuovo e S. Costantino. Questi due ultimi sono abitati da
albanesi". A proposito di S. Giorgio lo stesso Giustiniani rileva che "...in
certi notamenti trovasi appellato Sangiorgio alias Minullo ed altre volte
Sangiorgio alias Mandulo ma forse per errore".
L'abate Domenico Sacco nel suo
"Dizionario geografico-storico-fisico del Regno di Napoli" del 1795, qualche
anno prima perciò dello Giustiniani, nel descrivere San Costantino e Casalnuovo
(l'attuale S. Paolo), allora "terre della Provincia di Matera e in diocesi di
Anglona e Tursi", rileva che gli abitanti dei due paesi (o casali) sono affidati
alla cura spirituale di un arciprete curato per Casalnuovo e di un arciprete per
San Costantino, entrambi di rito greco; i due centri, dice Sacco, sono abitati
da albanesi. Tra le date dei testi di Bacco, Giustiniani e Sacco si inserisce
quella della Relazione Gaudioso (1736) secondo cui: "La terra di S. Giorgio,
distante dalla sopraddetta miglia dodici, situata vicino le montagne del
Pullino, angustissima di territorio, viene posseduta dallo illustre Principe D.
Fabrizio Pignatelli. È abitata da 50 e non più persone tutte miserabili, la
maggior parte dei quali va procacciandosi il vitto in alieni paesi per essere
detto territorio orrido e di malissima qualità, tenendo semplicemente una
piccola Parrocchia senza entrate talmente che la Chiesa viene mantenuta
dall'Università" (Traduzione Pedio). A redigere la relazione è stato senz'altro
Rodrigo Maria Gaudioso per incarico di Carlo III°, ma si sarebbe limitato a
raccogliere ed a coordinare le notizie fornitegli dalle varie Università. Tra le
altre gli giunge anche quella dell'Università di S. Giorgio i cui amministratori
– Pietro Antonio Di Stasi, sindaco, Domenico Silvestro capo-eletto, e Domenico
Conce eletto – tutti sotto-croce segnati, ne fecero "Piena, veridica e reale
feda". Nella "Relazione Gaudioso" perciò compaiono le notizie che loro stessi
hanno voluto fornire. Non fanno comunque alcun cenno di albanesi, di origini
albanesi, della presenza tra quei "50 miserabili" di albanesi o di loro
discendenti. Mons. Antonio Lavitola, nei suoi "Cenni storici su Noepoli" a
proposito di S. Giorgio osserva: "...I vassalli dovettero vendere, per pretesi
debiti, diritti e privilegi, ai marchesi Pignatelli.
Questi, nel 1617, per
popolare il paesello di Mendulo, oggi S. Giorgio, la cui origine si attribuisce
a banditi che furono obbligati a prosciugare il lago fiancheggiata, invitarono
con concessioni le popolazioni dei dintorni ad occorrervi". La fonte del
Lavitola appare Giuseppe Zito col suo "Contributo alla storia della Basilicata -
Il Mandamento di Noepoli" del 1911 nel quale dice che: "...Sotto la signoria dei
Pignatelli, che è durata fino all'abolizione della feudalità nel 1806, il feudo
di Noha (o Noja, l'attuale Noepoli) si popolò di altri quattro casali: due
albanesi e due italiani". Ed ancora: "...Alcuni (albanesi ndr) dopo essersi
fermati prima nel casale detto Rubio, vicino a Francavilla sul Sinni,
s'internarono nell'agro nolano e fondarono l'attuale S. Costantino. Altri si
fermarono, secondo la tradizione popolare, prima nel luogo detto Mennulo, ove è
attualmente il paese italiano di S. Giorgio Lucano, poi risalirono la valle del
Sarmento e di fronte ai loro connazionali di S. Costantino, fondarono Casalnuovo
ora detto S. Paolo. Questa tradizione trova conferma nel De Lellis il quale dice
che Fabrizio Pignatelli, signore di Noha, cacciò gli albanesi da Mendollo
(Mennulo) perché facinorosi e sanguinari. Gli albanesi dei due paesi conservano
ancora la lingua ed i costumi nazionali". Che non siano stati, gli albanesi di
cui accenna il De Lellis, una o due famiglie che avevano ottenuto "concessione"
dal Pignatelli che ad un certo punto ritenne di allontanarli dai suoi territori?
Di questa "concessione" comunque non c'è traccia alcuna, come non c'è traccia
della presenza di quei "facinorosi e sanguinari", come rileva lo stesso Zito.
Ma, del resto, Rubo o Rubio, feudo della Certosa di S. Michele in Valle, nei
pressi di Francavilla sul Sinni, non era "diruntum et destructum" già all'inizio
del XV° secolo? In una nota, nel suo "Contributo alla storia della Basilicata"
del 1911, Zito che si è riportato a Tommaso Pace – autore di "Notizie storiche
sul demanio e municipio di S. Costantino Albanese" del 1877 che non fa cenno
alcuno alle origini albanesi di S. Giorgio – rileva che "Anche adesso gli
albanesi chiamano S. Giorgio, Minnuglio". Non potrebbe darsi che i
"...facinorosi e sanguinari..." di cui parla il De Lellis, siano quelli che
Lavitola definisce "banditi"? Comunque, per gli albanesi, S. Giorgio era
Mendullo, Mennulo, Minnuglio, Mendollo, Minullo: quale era il suo nomignolo
preciso nel dialetto? Il Racioppi, che per altro, è preciso per le chiare
origini dei casali di S. Paolo e di S. Costantino, non fa cenno alcuno – nemmeno
a titolo di ipotesi – delle origini albanesi dell'altro casale sarmentano, S.
Giorgio appunto, che cronologicamente fu l'ultimo a sorgere nell'antico Stato di
Noha. Che, ad ogni modo, un S. Giorgio sia stato fondato in seguito ai flussi
migratori della popolazione albanese che caratterizzò il periodo, è fuor di
dubbio. Si tratta, però, di S. Giorgio Albanese che, ben diverso dal nostro, è
situato in Calabria in una zona dove tutti quei piccoli centri sono di chiara
origine albanese anche nel nome.
Una zona che è appena al di là della parte
lucana del massiccio del Pollino dove sono sorti i nostri S. Paolo e S.
Costantino; ed anche a S. Giorgio Albanese il Sacco riporta la presenza di una
Chiesa di rito greco con il relativo parroco così come riporta la presenza della
Chiesa di rito latino, intitolata a S. Giorgio, con il relativo parroco. S.
Giorgio Albanese, S. Cosmo Albanese, Spezzano Albanese, S. Demetrio Albanese,
tutti sorti intorno al 1470, hanno conservato intatto il loro patrimonio
culturale, dalla religione, agli usi, ai costumi, alle tradizioni. Non vi è
dunque alcuna concretezza sulla origine albanese del comune lucano che lo stesso
Zito definisce con chiarezza "italiano". In definitiva c'è un solo elemento:
quella che egli stesso chiama "tradizione popolare" senza peraltro indicare
alcun altra notizia se non l'episodio dei "facinorosi e sanguinari" ripresa dal
De Lellis. Che poi uno o più gruppi di persone, nelle loro migrazioni, si siano
fermati per un tempo anche breve in un posto, senza mettervi radici, non può
avvalorare una tesi di fondazione tanto più quando di questa esistono precise
indicazioni e documentazioni. È ancora Giuseppe Zito, con il suo richiamato
"Contributo..." del 1911, che ci sovviene. Egli infatti riporta il preciso atto
di nascita del piccolo centro lucano, a rogito notar Giulio Senisio di Cerchiara
di Calabria: lo "strumento" dell'8 marzo 1607 intervenuto tra il Principe di
Noha, Fabrizio Pignatelli, ed alcuni coloni di varie provenienze: Lausonia Viola
di Castelsaraceno, Orlando Palazzo di Viggianello, Filippo Santagata, Felice
Ippolito, Prospero Acciardi, Paladino Napoli e Tiberio Buonafede di Trebisacce.
Alcuni di questi cognomi sono sopravvissuti all'usura del tempo. Nello
"strumento" sono riportati i pesi e le servitù a cui i coloni stessi dovevano
sottostare. Lo stesso Zito che aveva già riportato lo "Istrumento della
fondazione di S. Giorgio – secolo XVII – nel suo "Contributo alla Storia della
Basilicata – Lo Stato di Noha" del 1901, nel presentare "la descrizione di tre
costumi antichissimi e caratteristici" – tra cui il "Gioco della falce"
rivisitato nel tempo ed arricchito con elementi che non hanno alcun riscontro –
non riporta e non fa cenno alcuno alla "tradizione popolare" ripresa dal De
Lellis. Tutti i nomi o nomignoli con cui gli albanesi chiamavano S. Giorgio
erano espressioni dialettali che, a quanto pare, potrebbe avere un solo
significato: piccolo. E non vi è dubbio che S. Giorgio, all'epoca, sia stato di
modestissime proporzioni come del resto attestavano gli amministratori del 1735
nella loro relazione all'incaricato di Re Carlo III°, Rodrigo Maria Gaudioso. S.
Paolo e S. Costantino, i due microcosmi della Valle del Sarmento, di chiara
origine albanese, hanno da sempre avuto – sino a non molti decenni or sono –
come punto di riferimento S. Giorgio Lucano specie in alcune ricorrenze
dell'anno.
I loro caratteristici costumi, peraltro molto apprezzati ed ammirati,
erano familiari nelle giornate di fiera e di festa quando affollavano i negozi
di generi vari per gli acquisti di ogni genere, dall'abbigliamento
all'oreficeria. Erano tributari di S. Giorgio Lucano e non può apparire strano
che lo chiamassero in dialetto Minullo, Mendullo o come altro, nel significato
di "piccolo paese". Questo, anche se non manca l'ipotesi del significato di
"paese in mezzo alle acque" per essere il paese stesso situato tra il torrente
Sarmento ed un lago, poi prosciugato o scomparso nei secoli per le condizioni
climatiche. Del resto, attraverso i secoli, dell'eventuale presenza albanese non
è rimasta traccia alcuna nella lingua, negli usi, nei costumi, nelle tradizioni,
a riprova proprio che non c'è stato alcun radicamento concreto. Che poi il
territorio di S. Giorgio, per la sua particolare posizione geografica, ad una
spanna dall'allora navigabile fiume Sinni, sia stato forse da sempre terra di
passaggio non dovrebbe suscitare molte discussioni. Lo dimostrano, del resto, i
reperti archeologici rinvenuti ai primi del secolo da cui si desume se non la
fissa dimora almeno il passaggio dei greci. Ma, del resto, nel dialetto
sangiorgese sono ancora presenti termini di origine greca tanto che Rainer
Bigalke nel suo "Dizionario dialettale della Basilicata" stampato in Germania ad
Heidelberg nel 1980, comprende il piccolo centro sarmentano nella zona con forte
influsso di lingua greca e di lingua latina arcaica.
Estratto da “Basilicata
Regione – Notizie – Cultura/5 – Storia dei comuni lucani.
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