domenica 30 giugno 2013
Carmine Abate vincitore del Premio Campiello 2012 racconta le Calabrie e la sua Arberia
Nella suggestiva e storicamente romantica Piazza XVI Luglio aLungro, il 27 giugno, lo scritore Arberesh Carmine Abate, vincitore della cinquantesima edizione del Premio letterario Campiello conl il romanzo la Collina del vento ( Mondadori), ha, accompagnato dalla magnifica voce di Anna Stratigò, raccontato le sue Calabrie e la sua Arberia.
lunedì 17 giugno 2013
Breve cenno monografico del comune di Lungro (1858)
Breve cenno monografico del comune di
Lungro (1858)
( Domenico De Marchis)
Dall'introduzione
Il lavoro che presento al pubblico ha per scopo di evocare dal silenzio
di remoti secoli la Storica Origine del mio Comune, il quale se vogli
riguardarsi per lato di sua sociale posizione, e peculiare civiltà, nulla
offre d'importante da interessare lo spirito del culto lettore: ma
trattandosi di un popolo straniero ben accolto nel nostro regno, in cui da
tempo antico vive sotto le medesime leggi, ed unificato nei dritti civili e
politici coi sudditi della nazione napolitana:
ove serba il proprio linguaggio, ed esercita gli atti religiosi nel greco rito-ortodosso, non uniforme alla latina ritualogia; che mantiene con gelosa superstizione le abitudini, ed i propri costumi; ......
Dal testo
| |||||||||
Castrovillari, siede
suI lembo di una Cinta di Monti, che s'innalzano quasi a picco da
settentrione a ponente, rimanendo aperto rlal lato d'oriente a mezzo giorno
un vast'orizonte, così che da un canto lo sguardo si spazia, e si disperde
nelle spiagge dell'Jonio, e dall'altro percorre estesa parte della catena
delle maestose Montagne della Regia Sila fino al loro congiungimento con le
alture dell' Ovest."
|
martedì 11 giugno 2013
Attuali cognomi di origine Greco Albanese in Acquaformosa, Firmo e Lungro
Accursi, Aragona o Ragona, Blumetti e Brunetti, Basile, Bavasso ( ramo
D’Alvalos), Buono (Vuno Himara)
Borrescio, ( Burrelce), Borrello ( Burrel) Bellizzi, ( Belleshi) Bellusci,
Braile, Brescia, Calimà, Camisdeca, Camodeca, Candreva ( Corone) Cannataro( Corone)
Capparelli, Candia , Conte, Cortese (
ramo Marrone e ramo Branà) Cucci,Damis (
Tepelene), Drassi D’Agostino, De Marchis (
genitivo o accusativo Marcheseos), Donato ( Patrassi), Dorsa, Dramis, Elmo,
Frascino ( Frasheri o Frasciva in Peloponneso), Frega ( Acaia), Franco ( Acaia),
Gangale, Gramsci e Gramisci, Iaconianni ( Iacos Ianni) Irianni( Ieros Ianni) Lasdica, Luci,
Lopreite o Loprete, Leccadito o Leucadito ( Leucade), Marco ( Marku), Manes, Manoccio, Mattanò e Mattinò, Matrangolo
e Matranga, Mortati, Musacchio, Mele, Martino, Oriolo o Riolo, Russo alias Frega, Genise Zenevise (
Geneci), Parapugna ( Attica), Pisarro ( Ipsari Peloponneso), Plescia, Rennis,
Rio o Riolo, Santoianni ( Aghios Ianni), Scarparito Attica) Scura, Stratigò (
ramo coroneo), Straticò ( ramo chimariota e dell'isola di Tinos), Trasci, Trifilio Pisarro o Ipsaro ( eparchia Tryfilias
Peloponneso), Tripoli ( Tripoli di Grecia Peloponneso), Vaccaro ( Baccaro (
Himara- Argolide - Angelocastro) Napoletano ( Trupia) Tropea di Grecia. Rennis ( Rennisi Peloponneso) Cianni ( Peloponneso)
giovedì 6 giugno 2013
La tradizione dei Carri di Sant’Antonio a Montecilfone (Cb).
Articolo di Milly De Angelis (Montecilfone)
Foto tratte dal sito: http://associazione-carristi-montecilfone.oneminutesite.it
Aggiogati
ad aratri per dissodare la terra o per delineare i solchi dei confini di città
nascenti, i buoi sono il simbolo del duro lavoro. Ad essi, dunque è stato
attribuito il compito, in varie forme, del ringraziamento degli uomini agli dei
prima e a Dio poi, per l' abbondanza delle messi.
Le
famiglie che avevano ricevuto qualche "grazia" lasciavano in giro per
il paese un maialino, riconoscibile perché aveva le orecchie mozzate, chiamato
"porcellino di S. Antonio”.
In genere viene realizzato tutto con grande riservatezza per creare la "sorpresa" il giorno della sfilata.
A Montecilfone la festa di S. Antonio si svolge il sabato dopo il 13 giugno.
Il giorno precedente, il venerdì, nel tardo pomeriggio, il quadro del Santo, viene portato al Calvario e da lì, in processione, tra persone ed animali vari, viene ricondotto in Chiesa dove viene celebratala Messa.
Il giorno della festa si abbelliscono gli animali, si lavano, e si addobbano con cordoni, frontiere e campane e si attaccano al carro per mezzo del giogo.
All' ora prevista i carri partono per raggiungere il Calvario ad attendere la "chiamata".
E' infatti una tradizione secolare che i carri sfilino in processione dietro il Santo secondo un ordine prestabilito in base ad una lista che si tramanda da tempi remoti e che viene aggiornata dal Vigile del Comune.
Non esistono posti vacanti in quanto essi vengono occupati dai partecipanti che hanno una parentela con gli assenti e chi non ce l' ha è l' ultimo della lista.
Sin dall' arrivo del primo carro inizia una festa che mischia il sacro ed il profano con la benedizione del Parroco, la banda che suona, i carristi con il "puntarillo" (un bastone di legno o ferro con un chiodo ad un' estremità che serve a sparare le bombette) e con la genuflessione dei buoi alla statua del Santo.
La sfilata procede sinché non si completano tre giri intorno alla Chiesa ed ogni volta si ripetono tutti i riti.
Il tutto viene riproposto nel pomeriggio dopola Messa vespertina per rivivere, anche se in toni
un po' più dimessi il ripetersi della "magia".
E' quindi una giornata da non perdere per gli aspetti culturali, folkloristici e di fede che si assaporano, ed infatti sono in tanti i turisti ed i paesani che vivono altrove, a non mancare a questo mistico appuntamento.
Foto tratte dal sito: http://associazione-carristi-montecilfone.oneminutesite.it
Le Carresi, corse dei carri o sfilate dei carri
trainati da buoi, rappresentano la manifestazione più pittoresca della
Primavera Molisana e soprattutto nelle comunità albanofone del Molise.
L'
addobbo dei carri si perde nella memoria ma ad esso sono legati molti rituali
veramente suggestivi, alcuni ormai quasi persi o persi del tutto ed altri che
continuano ad esistere.
Coloro
che avevano ricevuto qualche grazia vestivano i loro figli con il saio, ed i
bimbi lo dovevano indossare sino allo scioglimento del "voto".
Tutti
gli davano da mangiare, infatti girava libero per il paese e, quando diventava
grande, si vendeva al Comitato Feste.
Ancora
oggi vengono offerte, da alcune famiglie, le pagnottelle di S. Antonio, piccoli
pani benedetti dal sacerdote come gesto benaugurale.
La ricorrenza più sentita da sempre, a
Montecilfone, è la festa di S. Antonio; la
venerazione del popolo verso questo Santo è ricca di simbologie allegoriche e
folkloristiche per va degli animali addobbati a festa.
Da alcuni anni, oltre ai carri dal
sapore più tradizionale ricchi di pizzi, merletti e fiori di carta, ne sfilano altri,
creati dalla fantasia dei loro fattori, ma sempre legati alla devozione per il
Santo.
La preparazione dei fiori, per abbellire il carro, delle
frontiere, per addobbare anche le mucche, e dei cordoni in ricordo di quello
usato da S. Antonio, viene affidato alle donne, vere maestre in quest' opera.
Gli uomini, nel frattempo si dedicano alla preparazione del
carro, pitturando e costruendo la struttura che verrà utilizzata.In genere viene realizzato tutto con grande riservatezza per creare la "sorpresa" il giorno della sfilata.
A Montecilfone la festa di S. Antonio si svolge il sabato dopo il 13 giugno.
Il giorno precedente, il venerdì, nel tardo pomeriggio, il quadro del Santo, viene portato al Calvario e da lì, in processione, tra persone ed animali vari, viene ricondotto in Chiesa dove viene celebrata
Il giorno della festa si abbelliscono gli animali, si lavano, e si addobbano con cordoni, frontiere e campane e si attaccano al carro per mezzo del giogo.
All' ora prevista i carri partono per raggiungere il Calvario ad attendere la "chiamata".
E' infatti una tradizione secolare che i carri sfilino in processione dietro il Santo secondo un ordine prestabilito in base ad una lista che si tramanda da tempi remoti e che viene aggiornata dal Vigile del Comune.
Non esistono posti vacanti in quanto essi vengono occupati dai partecipanti che hanno una parentela con gli assenti e chi non ce l' ha è l' ultimo della lista.
A
questo punto parte la processione con la banda in testa ed i carri che seguono
la statua del Santo, sino all' arrivo in chiesa, e qui si aspetta la fine della
Messa.
Al
termine, la statua del Santo viene posta in cima alla scalinata della chiesa ed
iniziano a sfilare i carri per la benedizione.Sin dall' arrivo del primo carro inizia una festa che mischia il sacro ed il profano con la benedizione del Parroco, la banda che suona, i carristi con il "puntarillo" (un bastone di legno o ferro con un chiodo ad un' estremità che serve a sparare le bombette) e con la genuflessione dei buoi alla statua del Santo.
E'
un rituale antichissimo, quello della genuflessione, c'è chi lo fa risalire ad
un evento che si sarebbe verificato a Montorio dei Frentani l' 11 giugno del 1742, in occasione della
festa di S. Costanzo.
Si
narra che un bue proveniente da Montecilfone si sia inginocchiato ai piedi
della statua del Santo tra la gente che urlava al miracolo.La sfilata procede sinché non si completano tre giri intorno alla Chiesa ed ogni volta si ripetono tutti i riti.
Il tutto viene riproposto nel pomeriggio dopo
E' quindi una giornata da non perdere per gli aspetti culturali, folkloristici e di fede che si assaporano, ed infatti sono in tanti i turisti ed i paesani che vivono altrove, a non mancare a questo mistico appuntamento.
La miniera salifera di Lungro di Camillo Vaccaro
La
miniera salifera di Lungro
di Camillo Vaccaro
(1864-1955)
(1864-1955)
Tempo fa, prendendo occasione delle proteste dei
consumatori italiani per lo scadente sale straniero acquistato Ministero, e
sobbarcandoci ad un lavoro di ricerche fastidiosissimo, ci mettemmo in grado di
pubblicare sul Corriere di Napoli e poi sulla Lotta di Cosenza,
una serie di articoli intesi a richiamare l'attenzione del pubblico sulle
condizioni fatte dal Governo alla Miniera salifera di Lungro.
Quegli articoli, non per meriti letterari che non avevano, ma per i dati ufficiali che venivano onestamente proponendo, richiamarono l' attenzione di molti deputati, di due ex ministri delle finanze, e, segnatamente, dell' onorevole Giunti -deputato del Collegio, - il qual si affrettò a fare, come riferirono i giornali, lunghe e caldissime raccomandazioni all'attuale Ministro delle finanze on. Carcano, durante la discussione del bilancio -6 maggio -al capitolo 157.
Da parte sua il comm. De Nava, Ispettore agl'Interni, venuto in Calabria per la nota Inchiesta, se ne impressionò pure, e, dopo visitata la salina, promise dl propugnare -come puntualmente praticò -presso l' on. Giolitti, il risollevamento delle sorti della povera miniera.
Quegli articoli, non per meriti letterari che non avevano, ma per i dati ufficiali che venivano onestamente proponendo, richiamarono l' attenzione di molti deputati, di due ex ministri delle finanze, e, segnatamente, dell' onorevole Giunti -deputato del Collegio, - il qual si affrettò a fare, come riferirono i giornali, lunghe e caldissime raccomandazioni all'attuale Ministro delle finanze on. Carcano, durante la discussione del bilancio -6 maggio -al capitolo 157.
Da parte sua il comm. De Nava, Ispettore agl'Interni, venuto in Calabria per la nota Inchiesta, se ne impressionò pure, e, dopo visitata la salina, promise dl propugnare -come puntualmente praticò -presso l' on. Giolitti, il risollevamento delle sorti della povera miniera.
L'on. Carcano, intanto all'on. Giunti, rispondeva, come nel
resoconto stenografico, nel modo seguente:
"CARCANO, (ministro delle Finanze). Io potrei limitarmi a
rispondere al collega Giunti che molto volentieri accolgo la raccomandazione da
lui rivoltami a favore della Salina di Lungro, ma voglio aggiungere qualche cosa
di più per assicurarlo che il mio intendimento non è diverso dal suo.
L'onorevole Giunti ha detto benissimo: "La Salina di Lungro produce ottimo sale,
che è stato anche ieri elogiato dall'on. Branca; ma il prezzo di costo del sale
stesso, specialmente per le spese di trasporto, è assai grande, e quindi è molto
desiderabile che l'ostacolo derivante dalle difficoltà del trasporto, sia tolto
di mezzo. Io posso bene assicurare l'on. Giunti che, anche nell'interesse
dell'Amministrazione che mi onoro di dirigere, desidero al pari di lui che una
via di comunicazione più facile si possa avere quanto prima, in modo che il
trasporto dalla Salina di Lungro al mare possa farsi a prezzo conveniente.
Raggiunta questa condizione diventerà allora facile soddisfare anche l'altro
voto dell'on. Giunti: quello di dare maggiore sviluppo alla produzione del sale
di Lungro.
L'onorevole Giunti ha anche osservato che nell'esercizio
passato è stato importata dall'estero una quantità notevole di sale, e ha detto
di essere desiderabile che invece lo si produca in casa nostra.
Anche qui condivido pienamente il suo desiderio. Io credo
che l'Amministrazione abbia il dovere di fare in modo da emanciparsi
dall'estero, anche per le provviste del sale...."
Dopo ciò l'on. Giolitti, da parte sua, avuti in mano i
risultati della famosa inchiesta De Nava, si affrettava a domandare, nel luglio
scorso, coi caratteri dell'urgenza, al Ministero delle Finanze, cinque
provvedimenti per la Calabria Citeriore.
Primo fra di essi provvedimenti figurava quello relativo al
maggiore sviluppo da imprimere alla Miniera lungrese.
Al leggere nei giornali tale notizia, per poco non si
fecero in Lungro e dintorni le luminarie.
Ma purtroppo, la lunga promessa del passato, non
trascorse sul nostro spirito ottimista di meridionali, senza lasciarci una buona
mano di scetticismo moderatore.
Che avvenne?
L'on. Carcano, quello stesso che all'onor. Giunti aveva
risposto nella maniera che sappiamo, - passandosi allegramente sui motivi di
ordine pubblico e di giustizia distributiva che sostanziavano le richieste del
Ministro dell'Interno - ritenne, in secondo tempo, comodo espediente il
polemizzare: e diresse all'on. Giolitti, nel 21 agosto, una lettera nella quale,
dopo molte distinzioni ed esclusioni e rettificazioni ed attenuazioni, discende
bel bello alla confessione che per ora purtroppo non se ne può far
nulla.
Infatti, stringi stringi, fatta ragione degli eufemismi
bifidi, consigliati dal Talleyrand, non se ne cava che questo: che, cioè, s'è
ordinata l'ammissione di altri 25 operai. Or questo aumento di personale non fu,
almeno in gran parte, vero aumento perchè risponde al bisogno di completare
periodicamente i quadri che la morte, la leva, la messa in pensione ecc.
sguerniscono di continuo. Anzi, la sostituzione dei nuovi ammessi, a paga più
magra, risolvesi per l'Amministrazione in una reale economia.
Tutto questo però non impedisce che il Ministro soggiunga,
pienamente soddisfatto dello sforzo ipergeneroso: "Ho quindi motivo di ritenere,
che, saputo ciò, quella popolazione cesserà dall'insistere nelle
richieste".
Le quali richieste, che formano la conclusione del nostro
studio, erano e sono le seguenti:
"1. Estrarre dalla Miniera 120 mila quintali di sale
l'anno, cioè per ridurre coll'aumento dell'estrazione, il costo differenziale
tra il sale di monte e il marino: e poter rispondere al fabbisogno integrale
delle quattro provincie, attornianti lo stabilimento, di Calabria e
Basilicata;
2. Allacciare la Salina alla stazione
Spezzano-Castrovillari, mediante la costruzione di 18 chilometri di ferrovia. La
qual cosa farebbe risparmiare tanto sui trasporti, da permettere in un primo
tempo, l'ammortamento della spesa incontrata, e poi una notevole riduzione del
costo del minerale;
3. Esporre il bellissimo e purissimo sale comune e
il raffinato lungrese in tutte le rivendite italiane, fosse pure che,
oltre il raggio delle quattro provincie normalmente provvigionate, si dovesse
aumentargli di un soldo per chilogramma il prezzo della vendita;
4. Utilizzare con la distillazione l'enorme quantità di
sali di sgombero."
Che risponde, a Camera chiusa, il Ministro?
Non tocca prudentemente di quella che fu la massima
argomentazione nostra, del fatto cioè che le miniere tedesche dànno il sale a
poco il sale a poco costo, perchè vi si fa l'estrazione annuale di fin 700 mila
quintali; e se la sbriga dicendo che farà fare degli studi per vedere se sia
possibile cavare più dei normali 70 mila quintali annui (1); salvo a
soggiungere subito, in linea di sincerità incoerente, che, se il sale c'è - oh
se c'è! - economicamente sarà sempre più conveniente mettere in circolazione il
sale terroso di Cervia, o dell'Egitto, o ... l'acido fenico spagnuolo; e la
convenienza per quei sali continuerebbe a sussistere anche dopo costruito il
breve tronco della Miniera alla traversa Sibari-Cosenza; che per ora, in fine,
non è a parlare dello stesso sfruttamento dei sali di sgombero perchè la soda e
i concimi si vengono fabbricando - scoperta preziosa! - coi prodotti di altre
saline.
Sono pure e semplici affermazioni, che pretendono di ave
ragione su tutta una serie di deduzioni e induzioni, basate sui dati
improvvidamente offerti dallo stesso direttore generale, comm. Sandri, nelle
relazioni annuali.
Or noi, invece di ribattere accademicamente, crediamo utile
fissare qualche osservazione d'indole generale.
A
noi sarebbe parso più estetico e decente che il Governo, senza ragionamenti
sottili, avesse, come altra volta, risposto di non rispondere, in Parlamento e
fuori. Almeno così mostravasi meno palese la violenza che sull'animo del
ministro operò la strapotenza dei burocratici subordinati. l'attesochè -
rubiamo l'espressione ad un sociologo vivente - è un pleonasmo ridicolo, quando
si ha il pugno fermo e bene armato. Le popolazioni meridionali, taglieggiate per
un quarantennio dal Governo e spinte a costituirsi una patria nuova, meno
rapace, nelle Pampas americane avrebbero - è vero - ben ragione di pretendere
che il potere centrale guardasse una volta tanto, i loro istituti con un occhio
che non che non fosse quello avido dell'Agente delle imposte. Ma il diritto -
non siamo metafisici - è purtroppo la forza: ed esse popolazioni, disorganizzate
ed incoscienti e sprovviste di una direttiva, non possano realizzare diritti,
perchè non hanno ancora la forza.
Vorremmo un pò vedere lo stile delle epistole ministeriali,
se la Calabria non fosse la Calabria. Vedreste allora come la versatilità
ingegnosa dei Direttori Generali giustificherebbe le più inverosimili
concessioni!
Sarà per un'altra volta.
Allora noi torneremo
a martellare sulle nostre argomentazioni per niente infirmate; e, lo crediamo
fermamente, la nostra modesta parola sarà più fortunata.
Ora non possiamo concludere che così.
Il programma di studi che la Direzione generale
avrebbe mandato ai dirigenti locali per possibili ampliamenti, e
innovazioni nella Miniera ci lascia perfettamente indifferenti. E non già
per diffidenza molta o poca che noi possiamo nutrire verso il personale tecnico
locale, cui professiamo - a parte equivoci e dissensi teorici - sincera
stima.
Egli è che il Ministero, e vogliamo dire il Direttore
Generale realmente non è disposto nè a innovare nè ad ampliare: e
gli assaggi o non si faranno, o, quale che ne siano i risultati, non
varranno a cavare dal buco nè un ragno, nè un quintale di più.
"Vutta che va 'n Calabria!... fin che la
dura."
1) Insanamente scettici - non quasi
nemmeno alla normalità di questi 70 mila quintali. Non perchè essi siano una
concessione, giacché lo stesso Ministro s'incarica di riferirci che venti anni
addietro, l'estrazione superava, in media, i 72 mila quintali, con un personale
quasi doppio dell'attuale.
Mancano forse scuse all'Amministrazione
per ridurre - oh le innovazioni! - il lavoro e il pane a questi
operai?
Estratto da: Cronaca di Calabria n° 14 del 15 febbraio 1903
Estratto da: Cronaca di Calabria n° 14 del 15 febbraio 1903
domenica 2 giugno 2013
Il Rito Greco Bizantino, tribalità e folklore o vettore di avvicinamento a Dio?
Qualche anno fa mi sono ripromesso di pubblicare
una nota informativa riguardo il rapporto fra le popolazioni degli Albanesi d'Italia
e il Rito da loro professato. Non ho scritto molto, ma ho cercato di mettere in
evidenza alcuni aspetti salienti e di carattere storico che dovrebbero
rifulgere da lume a chi sostiene, con eloquenti metafore, che il Nostro Rito
Greco è motivo di divisione e ancor più teatro di tribale attività
folkloristica. Per quanto mi concerne ritengo, nella maniera più assoluta, che
nella Nostra Chiesa si svolga una intensa attività di politica religiosa
incentrata sul soggetto ecumenico e quindi sulla universalità. Per quanto
riguarda, invece, l'attaccamento del Popolo d'Arberia alla Sua avita Fede, è
conseguenza di una "consanguinea attrazione" che trova i suoi
risvolti nel passato. Un passato dove binaria è stata la lotta per la
sopravvivenza.
Quando i Greco Albanesi, fra il XV e il XVI
secolo, pressati dalla violenta avanzata e conseguente occupazione
turca,giunsero, esuli, nei territori dell'Italia meridionale, nei primi anni,
condussero vita pressochè miseranda, non ignudi, ma spogli di ogni bene per la repentina fuga,
portarono con se la avita Fede trasmessa loro dagli antichi padri.
Malinconici e poveri ma dotati di ingegno e di Fede, cominciarono a costruire
le prime abitazioni, "Kalive,"(dal greco kaliba=tugurio o capanna),
strutture fabbricate con mota e intrecci di rami e giunchi , spesso straziate
dalle perturbazioni del tempo. Ogni comunità o colonia, costituita da questa
sopravvenuta gente, aveva , nella maggior parte , un a guida spirituale, un
sacerdote o meglio dire un papàs, essendo , questa, prevalentemente professante
la religione cristiana. L'Italia meridionale, in quel periodo, era corrosa da
un sistema sociale ed economico strutturato da un anacronistico regime feudale,
laico ed ecclesiastico. Le baronie laiche ed ecclesiastiche, interessate solo
all'impinguamento delle loro casse, non conoscendo queste popolazioni fin
dall'inizio, per pura cautela credo, ostarono in maniera inqualificabile e
violenta e talvolta addirittura perpetrando l'omicidio, la loro cultura
religiosa. Nelle diocesi dove i profughi Albanesi si erano stanziati,
violentissime furono le angherie e perangherie, ingiustificabile ed inumana l'oppressione
dei vescovi latini ( non mi vogliano male i latini ma questa è certificazione
storica). Per più di 400 anni le genti Albanesi vissero nella tribolazione
riuscendo nella maggior parte dei casi a sopravvivere e a salvaguardare
costumanze e avita Fede alle angherie delle classi dirigenti autoctone. In San
Demetrio Corone, Santa Sofia d'Epiro, San Cosmo Albanese e in tutte quelle
comunità albanofone della fascia presilana, tirannici furono i Vescovi di
Rossano e di Bisignano: unico intento di qegli ordinari era quello di abolire
il Rito greco, ma l'audacia e la fermezza di quei popoli resero vani i loro
sinistri fini. Scrive a tal proposito Domenico Cassiano: “I vescovi latini,
nelle cui diocesi ricadevano le Comunità Albanesi, invece di promuovere tutte
quelle iniziative idonee a farle progredire, badarono piuttosto a distruggere
il Rito Greco, determinando una situazione di conflittualità con la conseguenza
di contribuire ad aggravare lo stato di
depressione.”1 A Firmo, nel 1683, adducendo a scusante che i
chierici greci, esentati da tassazione, erano in molti, su proposta del Vescovo
di Cassano, l'intera popolazione fu scomunicata, ma questa non si diè per vinta
e reiteratamente supplicando Dio, ottenne attraverso la Sacra Congregazione
Propaganda Fide l'annullamento dell'infausto provvedimento, motivo di
tribolazione per quella fiera gente per ben quarant'anni. Sempre a Firmo nel
1881, il Vescovo di Cassano impose al sacerdote di amministrare la Comunione
non con il pane fermentato, come è in uso nel Rito Greco, ma con l'ostia,
risultò che tutti i cittadini gettarono le ostie nel letamaio comune. Altri
esempi di insulsa angheria, fra le tantissime che non sto quì ad elencare, fu
l'accadimento nel 1678 in Lungro, ove essendo feudatario di quel luogo Didaco
Pescara duca di Saracena, su insistenza del Vescovo di Cassano, perpetrò
inaudite violenze contro la popolazione affinchè non riconoscesse più il Rito Greco
proponendo quello latino. Anche se con la violenza quel infido signorotto trovò
la caparbietà dell'Albanese, che speditamente lo fece recedere dal suo intento.
In altre comunità il Rito fu abolito, ma occorse la violenza omicida: a
Spezzano Albanese, nell'agosto del 1644, il principe Spinelli , signore del
luogo e imparentato con l'Arcivescovo latino Antonio Spinelli, fece rinchiudere
nelle segrete del suo castello di Terranova il papas Lungro-Spezzanese Nicola
Basta, che non volendosi inchinare alle volontà del principe per il cambiamento
di rito, dopo orribili persecuzioni morì in carcere. Con la tragica morte di
Nicola Basta, iniziò inesorabile il declino del Rito Greco in Spezzano
Albanese, che fu definitivamente sostituito da quello latino, con una Breve di
Clemente IX, nel 1667. Giovanni Paolo II ha chiesto perdono a tutte quelle
etnie che indebitamente sono state oggetto di soprusi e discriminazione da
parte della Chiesa; i Vescovi di Anglona Tursi, Bisignano, Cassano e Rossano
ancora tardano.
1 Domenico Cassiano, San Adriano,
la Badia e il Collegio Italo Albanese: Marco Editore Lungro 1997.
Foto: www.admlungro.it