giovedì 30 maggio 2013

Arbëresh e rivoluzione, Giuseppe Pace

( di Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro)

Dissertando di storia risorgimentale , non si può obliare la figura di un altro suo grande protagonista, l’italo albanese, Giuseppe Pace. Nato da antica e nobile famiglia, suo padre era  Muzio Pace e la madre la duchessa Maria Baratta, negli anni della cospirazione e della lotta e per la redenzione della patria diede il braccio, l’ingegno e gli averi. Così lo illustrò nelle sue memorie il duca Sigismondo di Castromediano “…di volto simpatico, di elette maniere, di larghi studi, aveva voce dolce e persuasiva, una natura mite, cuore generoso ed ardito.”

 Egli nacque a Castrovillari nel 1824 e, giovinetto, avviato agli studi classici nel Collegio Italo Albanese San Adriano vi ebbe  compagni di studio Domenico Damis e Vincenzo Stratigò e dove assimilò tutti quegli elementi culturali necessari per una formazione di vita dedita alla morale e all’amor patrio, Trasferitosi a Napoli, nel 1844 si laureò in giurisprudenza e lettere frequentando lì gruppi di intellettuali liberali della sua etnia, come il mazziniano Achille Frascino di Firmo. Infatti, nel ’43, costituitosi  nella capitale un comitato centrale di agitazione con i migliori elementi liberali del Mezzogiorno, in concomitanza con il Frascino ed il Mazzini che allora si trovava a Londra ed al conte Giuseppe Ricciardi, pensò di promuovere delle insurrezioni simultanee in Calabria, dove l’ energica propaganda della Giovine Italia, soprattutto negli ambienti italo albanesi,   aveva riacceso l’odio contro la tirannide borbonica; e stabilito che, per allora, i rivoluzionari repubblicani e i monarchici costituzionali filo sabaudi  dovessero affratellarsi prefiggendosi come fine ultimo la liberazione dell’Italia, poiché ad obiettivo raggiunto, la questione della forma politica sarebbe stata risoluta da una Libera Costituente Nazionale.

Venuto il ’48, e fondate a Cosenza e in altre città della provincia le associazioni segrete, affiliazioni della  Giovine Italia, in seguito al nefando ritiro della Costituzione da parte di Ferdinando II, del quale parlamento fu eletto deputato,  il Pace appartenne, insieme a Domenico Damis di Lungro, Vincenzo Luci di Spezzano Albanese e Luigi Praino di Cassano Jonio, alla società di Castrovillari, che prese il nome dal fiume Lagaria ed ebbe a sommo sacerdote il sacerdote Raffaele Salerno.  Allo scoppio della rivoluzione fu nominato con Domenico Mauro di San Demetrio Corone, commissario con pieni poteri nel suo distretto, combattendo in quell’anno con il Damis , Placco e Luci al Monte Sant’Angelo. In seguito alla fallita rivoluzione si rese latitante alla dura reazione borbonica. Introvabile dalle forze della polizia borbonica, per ritorsione fu arrestata la madre, la duchessa Maria Baratta, che patì per quattro mesi il duro carcere. Il Pace costretto dal triste evento decise di consegnarsi al nemico e fu il 1851 condannato a morte. Nel 1852 la pena gli fu commutata all’ergastolo che scontò prima nel bagno di Procida e poi in quello di Santo Stefano assieme ad illustri personaggi come  il Settembrini, Poerio, Damis, Spaventa, Placco e Lamenza.  Seppur ergastolano e patendo le durezze della prigionia nel 1855 fu accusato di intrattenere corrispondenze con il Comitato Rivoluzionario di Napoli. Così scrive al riguardo Arrighi: “…Venne condotto a Napoli a piedi, ed incatenato gli fecero percorrere due volte via Toledo, indi venne torturato nelle segrete di Santa Maria Apparente col concedergli solo acqua putrida e cibi guasti, e col tenerlo in luogo umido e privo di aria.”

Essendo considerato dalla polizia borbonica “ elemento pericolosissimo”, Ferdinando II decise, così come fece anche per altri 66 “ pericolosissimi” tra i quali il suo inseparabile compagno di studi Domenico Damis, di esiliarlo in Argentina, ma per il noto fatto del figlio di Settembrino fu sbarcato nella baia di Cork in Irlanda con il resto dei condannati politici. Quindi passò prima a Bristol e poi a Londra e di là rientrò in Italia soggiornando per qualche periodo a Torino. Nel 1860 scese in Sicilia con la seconda spedizione comandata dal generale Medici, e date prove di gran valore, venne con il Damis , quest’ultimo dello Stato Maggiore di Garibaldi, ad organizzare in Calabria il Battaglione degli Albanesi, che al Volturno combattè splendidamente come scrisse Garibaldi a pagina 391  delle sue “ Memorie Autobiografiche.” Ad Unità compiuta, pago del dovere compiuto, rifiutò ogni grado militare, accettando solo il mandato politico in Parlamento dall’elettorato di Cassano allo Jonio nelle elezioni che si fecero nel gennaio del 1861. Visse altri pochi anni, nel 1866, mentre per incarico del Ministero della Guerra veniva in Calabria per organizzare un corpo di volontari che accorresse alla liberazione di Venezia, si spense a soli 42 anni.  Egli fu, come disse Raffaele De Cesare, … “ una delle figure più geniali del risorgimento nazionale, e il suo nome vivrà, malgrado l’oblìo dei suoi concittadini.”

 Ringrazio la Duchessa Valentna Dell'Aira , discendente diretta dell'eroe, per avermi concesso la foto.

Bibliografia essenziale:

 P. Camardella i Calabresi della Spedizione dei Mille; Roma 1913.

G.C. Siciliano, L’utopia popolare della repubblica, gli arbersh e la Gran Corte Criminale Falco editore Cosenza 2009.

 Archivio Damis Lungro.

Foto: Valentina Dell’Aira.

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